TRA RUTELLI E ALEMANNO
SCEGLIAMO L'OPPOSIZIONE DI CLASSE
Il dibattito a sinistra e il ritornello del "battere le destre"
di Pia Gigli (*) e Francesco Ricci (**)
Tutta la grande stampa
padronale -a partire da Repubblica- riscopre così le virtù
dell'antifascismo, riporta in luce le prodezze mussoliniane di Alemanno da
giovane, chiama a grandi mobilitazioni per il 25 aprile.
La Sinistra Arcobaleno -o
quello che ne resta- fa una tripla capriola mortale (con salto carpiato) e
sostiene l'esatto contrario di quanto ha detto sia nella campagna per le
politiche che nel bilancio dopo il voto. A Roma non avremmo così più i due
"poli gemelli con programmi fotocopia" di cui parlava Bertinotti fino
a poche settimane fa; scompare il "carattere confindustriale" del
Partito Democratico che ancora Bertinotti denunciava a gran voce prima del 13
aprile. Tutto da accantonare per "battere le destre".
Fin qui nulla di nuovo né di
inaspettato, tanto più per i lettori di questa newsletter e del nostro sito
web. Più interessante (anche se non ne siamo particolarmente sorpresi) è
l'atteggiamento di chi fino al 15 aprile ha criticato aspramente e con
argomenti spesso condivisibili la schizofrenia dell'Arcobaleno.
I fascisti stanno per prendere il governo di Roma?
Ci riferiamo a Sinistra
Critica. Per tutta la campagna elettorale Flavia D'Angeli ha denunciato questa
contraddizione dell'Arcobaleno e ha ripetuto proprio l'esempio di Roma. Come si
fa, sosteneva fino a quindici giorni fa, a denunciare il carattere
confindustriale del Pd se poi a Roma si sostiene Rutelli che del Pd è (laddove
fosse possibile fare una gerarchia) uno degli esponenti più reazionari,
filo-clericali, ecc.? Ottima domanda che andrebbe ora rigirata alla stessa
D'Angeli, visto che Sinistra Critica ha deciso di dare indicazione di voto per
Rutelli: anche se lo fa usando giri di parole ("dire di non votare per le
destre e non dire di votare per Rutelli" è lo scioglilingua coniato da
Nando Simeone, dirigente romano di Sc).
Le dichiarazioni ("A
Roma votiamo antifascista per fare opposizione") riportate sul sito di Sc e
sul manifesto di oggi ("Sinistra Critica sceglie Rutelli: Un voto
antifascista") meritano di essere lette perché costituiscono un capolavoro
nell'arte della contraddizione. All'improvviso il polo di centrodestra non è
più uno dei due poli liberali che si alternano nei governi ma viene indicato
come "le destre" in combutta con "il fascismo".
Si offre una lettura
emergenziale di un fenomeno che pure esiste (certamente non è da sottovalutare
la pervasività delle organizzazioni di destra in settori popolari e
sottoproletari della città e tra gli studenti), per sorvolare sul dato vero e fondamentale:
abbiamo a Roma, come nazionalmente, due poli dell'alternanza borghese, con due
programmi identici (sul tema della cosiddetta "sicurezza" e della
caccia agli immigrati e ai Rom, Rutelli è forse riuscito a scavalcare
Alemanno), confindustriali, liberali. Insomma i trascorsi fascisti di Alemanno
o le amicizie e le relazioni diplomatiche con l'estrema destra che Alleanza
Nazionale coltiva non bastano certo per definire "fascista" né An né
il Pdl raccolto attorno ad Alemanno.
Ma se anche volessimo
accettare, per pura ipotesi, l'idea che Alemanno rappresenti un fascismo
mascherato (mentre noi pensiamo che rappresenti, come Berlusconi, un diverso
settore della borghesia), ne dovremmo forse trarre la conclusione che la
vittoria di Rutelli fermerebbe il fascismo? O non dovremmo piuttosto chiamare i
lavoratori e i giovani proprio alla difesa delle organizzazioni del movimento
operaio (la prima cosa che il fascismo attacca) non affidandoci per nulla alla
borghesia "progressista" che persino storicamente (davanti al
fascismo di Mussolini) non ha mai costituito un argine al fascismo? Tanto più è
grave il pericolo di destra (fascista o meno) tanto più è necessaria la piena
autonomia di classe del movimento operaio dalla borghesia e dai suoi governi,
di qualsivoglia colore.
Sinistra Critica prigioniera di schemi semi-riformisti
Certamente Sinistra Critica
tende a distinguersi, criticamente, dall'Arcobaleno e precisa che in ogni caso
l'indicazione di voto per Rutelli non corrisponde a un accordo politico ma
significa solo "scegliere noi a chi fare opposizione, ovvero a Rutelli e a
questo centrosinistra". Ma la contraddizione è dietro l'angolo: perché se
davvero i fascisti sono alle porte e si ritiene che Rutelli (seppure
"amico dei palazzinari e subalterno al Vaticano", come scrive Sc) costituisca
in qualche misura un argine da rafforzare, l'indicazione critica di voto di
oggi potrebbe diventare un sostegno critico domani.
E difatti l'argomento non è
nuovo. E' stato utilizzato -esattamente con le stesse parole- da Franco
Turigliatto, senatore di Sinistra Critica, per giustificare il sostegno critico
alla prima Finanziaria di Prodi, alla missione militare in Afghanistan, ai
"dodici punti" con cui Prodi rilanciava il suo governo, ecc.
Alternando per due anni voti a favore, astensioni, "non partecipazioni al
voto" e coniando varie formule come quella della "opposizione
tendenziale" o della "fiducia distante". Anche in quel caso
perché -si diceva- "vogliamo scegliere noi a chi fare opposizione".
E' la vecchia logica del "meno peggio" che, come dovrebbero aver
ormai capito tutti, è l'anticamera del "peggio". E' infatti la stessa
vecchissima logica che ha distrutto in questi anni l'autonomia di classe del
movimento operaio e, subordinandolo al centrosinistra, ne ha indebolito il
radicamento, portando a un rafforzamento della ideologia razzista della Lega e
alla terza vittoria di Berlusconi.
La verità è che le destre
(siano esse fasciste o più semplicemente reazionarie, come è il caso del Pdl
tanto nazionalmente come a Roma) non si battono sostenendo la borghesia
progressista (né governandoci insieme né criticandola da fuori), non si battono
nelle urne ma costruendo un'alternativa di classe.
Diversi compagni avevano creduto
a una "svolta a sinistra" di Sinistra Critica e a un superamento
delle posizioni oscillanti che ne hanno contraddistinto la storia in tutti
questi anni e su cui si è basato il sostegno per anni alla maggioranza
bertinottiana del Prc quando quest'ultima era nella sua fase
"movimentista", scambiata dai dirigenti di Sc come una
"riscoperta della rivoluzione", mentre apriva la strada alla fase
governista e al suo fallimento attuale. La rottura di Sc col Prc assomigliava a
una rottura con la stagione precedente, incluso il periodo in cui Sinistra
Critica, pur ricollocata all'opposizione del bertinottismo (congresso di
Venezia, 2005), ancora difendeva la possibilità di un "sostegno
esterno" al futuro governo Prodi. In realtà, il gruppo dirigente di
Sinistra Critica non ha rotto con le concezioni che noi definiamo
"centriste", che oscillano cioè al centro tra le posizioni riformiste
e quelle rivoluzionarie. In altri testi (si veda in particolare sul nostro sito
web l'articolo "Perché tre forze a sinistra dell'Arcobaleno? Le differenze
tra trotskismo e centrismo") abbiamo analizzato più diffusamente e in modo
argomentato che cosa distingue una sinistra rivoluzionaria da una sinistra
semi-riformista. Al centro di queste differenze vi è sicuramente la questione
della piena indipendenza di classe del movimento operaio dalla borghesia. Una
questione che, come si vede, non riguarda dibattiti accademici ma costituisce
invece il discrimine da cui ripartire per non condannare il movimento operaio a
ripercorrere (seppure con scarpe diverse) la strada che ha portato la sinistra
riformista nel burrone.
(*) Direttivo Sezione di Roma del PdAC
(**) CC del PdAC