I programmi di austerità varati dai governi europei nelle scorse settimane, colpendo duramente le condizioni di vita di milioni di loro cittadini, non potevano essere approvati senza creare un ampio movimento di protesta e ribellione.
Se per le sorti dei capitalisti del continente il governo di Atene ha mostrato una piena e incondizionata attenzione, lo stesso non si può dire per le sorti dei propri cittadini più deboli. Dopo aver negato o minimizzato gli effetti della manovra, l'esecutivo greco ha dovuto ammettere che il Paese sarà in recessione per almeno altri due anni (che, aggiunti ai due già passati, fanno quattro anni di contrazione economica, peggio che al tempo della dittatura dei Colonnelli).
Per queste ragioni la classe operaia greca è oggi all'avanguardia della lotta contro le politiche economiche imposte dal capitale.
Sulla stampa borghese abbiamo letto dei brevi dispacci in cui si diceva che forse la popolazione si starebbe rassegnando a fare quei sacrifici che Fmi e Ue reclamano a gran voce. A sostegno di questi auspici, si riportavano dati dell'ultimo corteo di scioperanti che sarebbe stato, sempre secondo la propaganda dei pennivendoli del Capitale, un mezzo fallimento.
In verità decine di migliaia di lavoratori in corteo per l'ennesima volta, il blocco quasi totale dei trasporti del Paese (marittimi, di terra e aeroportuali) così come la convocazione di un nuovo sciopero generale per gli inizi di luglio (1), quando il parlamento sarà impegnato nella votazione della finanziaria presentata dal governo, dimostrano l'esatto contrario. La Grecia sta vivendo da quasi 18 mesi (non dobbiamo infatti dimenticare che massicce mobilitazioni sono iniziate già nel dicembre 2009, più precisamente dopo l'omicidio di un giovane militante anarchico da parte della polizia ellenica) una situazione di mobilitazione permanente, che è lungi dall'aver iniziato la sua parabola discendente.
Ma se la terra di Omero è oggi la punta più avanzata della lotta di classe, non è certo un caso isolato.
Qualche giorno fa a Bucarest migliaia di manifestanti hanno tentato l'assalto con bombe molotov (Atene insegna) al Parlamento rumeno. Il crollo dello stalinismo e la reintroduzione del capitalismo non hanno dato i risultati che i cantori del libero mercato si immaginavano. Per la Romania, così come Polonia, Ungheria, Russia, la democrazia occidentale ha portato immense ricchezze per pochi oligarchi (di norma ex dirigenti dei locali partiti stalinisti), per la stragrande maggioranza della popolazione ha provocato una regressione delle condizioni di vita, causata dalla distruzione delle conquiste sociali che il sistema precedente garantiva, pur se gestito non nell'interesse dei lavoratori ma principalmente della casta burocratica dominante. Questo sta creando non solo forti tensioni sociali nei differenti Paesi, ma anche un nazionalismo dai toni sempre più accesi.
Il governo di destra in Ungheria, nel quale è presente una forza dichiaratamente fascista, per cercare di togliere l'attenzione della popolazione dalla crisi che sta duramente colpendo il Paese, ha annunciato il varo di una norma per dare la cittadinanza agli slovacchi di etnia ungherese. La barbarie nazionalista è un altro dei frutti avvelenati che la Grande Recessione sta lasciando dietro di sé.
Altro tratto comune è il ruolo sfacciatamente filo governativo delle direzioni sindacali, che a Madrid ha forse raggiunto uno dei livelli più acuti degli ultimi anni.
Davanti a oltre 4 milioni di disoccupati (pari al 20%), a tagli di bilancio su pensioni, salari pubblici, welfare, per oltre 50 miliardi di euro, le direzioni di Ugt e Ccoo stanno cercando in ogni modo, al di là di alcune dichiarazioni sdegnose per le scelte governative, di salvare il governo socialista di Zapatero. Quando a maggio il premier aveva annunciato in diretta televisiva la cura draconiana che riservava al Paese, si sono limitate a convocare uno sciopero del settore pubblico a distanza di un mese, cercando sia di dividere il fronte del lavoro tra pubblico e privato, sia di depotenziare al massimo la rivolta popolare. Poi, quando per fronteggiare il crescente malcontento, hanno proclamato finalmente uno sciopero generale, la data è stata fissata per fine settembre! Verrebbe da sorridere se non si trattasse di un vero e proprio crimine contro i lavoratori che quei burocrati sindacali dicono di voler rappresentare: ecco cosa voleva dire Lenin quando affermava che i dirigenti riformisti delle organizzazioni operaie sono "agenti al soldo della borghesia".
Tuttavia la forza della lotta di classe è infinitamente maggiore del più solido e sperimentato apparato sindacale concertativo. Un esempio a sostegno di questa affermazione ci viene ancora dalla Spagna, dove nella capitale Madrid è stato indetto dai lavoratori della metropolitana, contro le loro stesse direzioni sindacali maggioritarie, uno sciopero ad oltranza, senza la garanzia del servizio minimo, che sta avendo un enorme successo. Nonostante minacce di ritorsioni da parte della direzione aziendale i lavoratori continuano non solo ad astenersi dal lavoro, ma anche a difendere la loro lotta per mezzo di picchetti di sciopero, che a quanto riporta la stessa stampa borghese spagnola, si sono estesi sulle varie linee e stazioni della metro.
Nella fase attuale della crisi, i lavoratori e le classi subalterne, invece che retrocedere di fronte agli attacchi che sferra loro il capitale, cercano di ribattere colpo su colpo. Si tratta, tranne il caso greco, di una riposta ancora non generalizzata, ma dimostra che coloro i quali per anni ci hanno raccontato favole sulla fine della classe operaia, e sulla inutilità dello scontro di classe, hanno fatto male i loro conti.
La questione centrale che si pone oggi è su quale direzione, politica e sindacale, i lavoratori possano fare affidamento per estendere, intrecciare, organizzare e quindi sviluppare le lotte.
Le direzioni tradizionali (partiti e sindacati riformisti) continuano a dar prova del loro tradimento, cercando di disarmare la rabbia dei lavoratori. Allo stesso tempo vediamo che embrioni di nuovi soggetti che vogliono trovare una soluzione a questo dilemma stanno nascendo in tutto il Vecchio Continente.
Sul versante sindacale la nascita di nuovi soggetti o l'unificazione di sigle (Usb in Italia, pur con tutti i limiti che abbiamo più volte segnalato) o lo sviluppo che stanno avendo altri di più vecchia data (Co.bas in Spagna), sono una prima risposta a questa esigenza.
Dal lato politico, qualche accenddo di sviluppo e un maggior radicamento di organizzazione rivoluzionarie, pur se nella maggior parte dei casi ancora di modeste dimensioni rispetto alle necessità oggettive, come è il caso delle sezioni europee della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale, dimostrano che l'urgenza di costruire nuove organizzazioni politiche alternative ai vecchi apparati riformisti sta diventando un'esigenza sentita da settori più larghi di lavoratori. Da parte nostra raccogliamo questa sfida, facendo tutto quanto possibile perché questa occasione non sia sprecata e per questo continuiamo a impegnarci contemporaneamente per costruire un più largo fronte unitario delle lotte e una nuova direzione politica rivoluzionaria: che potrà nascere solo dall'unificazione di centinaia di militanti (oggi dispersi e separati) attorno a un programma rivoluzionario, internazionalista. Le due cose dovranno marciare di pari passo: il partito che ancora non c'è non si potrà costruire solo nel fuoco dele lotte operaie e giovanili; le lotte potranno svilupparsi fino alle loro logiche conseguenze solo se si costruirà questo partito. Per questo possiamo ben dirci soddisfatti della temperatura sociale che cresce in tutta Europa e auspichiamo che questa sia davvero una lunga estate calda.