Partito di Alternativa Comunista

Oggi come ieri, sempre Resistenza!

Oggi come ieri, sempre Resistenza!

 

 

 

di Massimiliano Dancelli

 

Aprile per il movimento operaio italiano è il mese in cui si celebra la fine dell’occupazione nazifascista. Una giornata, quella del 25, ormai istituzionalizzata e fatta propria perfino da quelle organizzazioni, oggi al governo, che guardano con occhi nostalgici al ventennio precedente la Liberazione. Ma quella data non è solo una tappa di quello che venne definito il «nuovo Risorgimento» italiano. Quella data rappresenta gli sforzi, il sacrificio e la lotta di una classe, il proletariato, che non voleva solo liberarsi dall’incubo fascista, ma voleva farla finita definitivamente con tutto il sistema che il fascismo rappresentava e dal quale traeva il proprio sostentamento: il capitalismo.

 

25 aprile: una giornata di lotta

Il 25 aprile è una giornata di festa, perché il ricordo della liberazione dal nazifascismo merita i dovuti festeggiamenti, ma è allo stesso tempo una giornata di lotta e di insegnamento per tutto il movimento operaio italiano e non possiamo permetterci che qualcuno ne abusi o ne distorca il reale significato.
Il percorso che portò alla fine della dittatura fascista, iniziò con gli scioperi del marzo ‘43 - di cui quest’anno è ricorso l’ottantesimo anniversario - alla Fiat di Mirafiori che anche all’epoca era la più grande industria italiana. Quegli scioperi, che si estesero velocemente a tutte le fabbriche del nord ancora occupato, diedero il via a un vero e proprio movimento rivoluzionario che se non portò alla logica conseguenza, la presa del potere da parte del proletariato, fu solo a causa dei tradimenti portati avanti dal Pci di Togliatti, totalmente prono agli ordini che giungevano da Stalin che si era già diviso il mondo con l’imperialismo occidentale a Yalta, lasciando l’Italia nella sfera statunitense.
Quindi noi rivendichiamo per l’oggi tutto quello che il 25 aprile rappresenta: una rivoluzione proletaria. È nostro dovere di rivoluzionari mantenere viva la memoria e trarre da quella straordinaria esperienza i principali insegnamenti per le lotte di oggi.
Per questo motivo ci battiamo contro ogni tentativo di deformare o decontestualizzare quegli avvenimenti e non accettiamo che questa giornata diventi la giornata di tutti, di quelle istituzioni che non sono mai dalla parte di chi è stato il principale protagonista della Liberazione. Ignobili le parole del presidente del senato, ovvero la seconda carica istituzionale dello Stato, La Russa, rispetto all’attacco partigiano di via Rasella (quello che portò per rappresaglia nazista all’eccidio delle fosse ardeatine): «i partigiani hanno attaccato una banda di musicisti in pensione». La Russa offende e cerca di screditare i partigiani, che sarebbero stati solo dei banditi maldestri, legittimando di conseguenza la terribile rappresaglia che ne seguì. Al presidente del senato hanno fatto eco le recenti dichiarazioni del ministro dell’agricoltura Lollobrigida che parla di «inaccettabile sostituzione etnica», riferendosi agli immigrati disperati che fuggono da guerra e fame dai loro Paesi sfruttati dall’imperialismo occidentale (di cui l’Italia uno dei principali rappresentanti).
Ci opponiamo a governo ultra-reazionario di destra, ma allo stesso tempo non accettiamo l’ipocrisia di chi, definendosi di sinistra, cerca di appropriarsi di quegli avvenimenti per farne la propria eredità storica, ma poi, quando tocca a lui governare, difende gli interessi di quei padroni che i partigiani combattevano. Una grande ipocrisia che comincia con l’esaltazione a «più bella del mondo» di quella Costituzione, figlia di un tradimento di classe (1), che, oltre a non vedere mai applicate le sue parti più «progressive», contiene nei suoi principi fondamentali la difesa della proprietà privata dei mezzi di produzione, cioè la difesa della borghesia e del capitalismo.
Infine, condanniamo fermamente chi, tra questi signori della «sinistra», in nome del confronto e della democrazia, invita al proprio congresso la massima rappresentante di quella banda di nostalgici della reazione (ogni riferimento alla «coppia» Landini-Meloni non è puramente casuale).
Noi in questi giochini dal sapore altamente oltraggioso nei confronti di milioni di lavoratori e lavoratrici non ci facciamo trascinare: siamo pronti a dare battaglia a chiunque tenterà di deviare la classe dal percorso della rivoluzione, denunceremo ogni tentativo di collaborazione con i padroni.

 

La giusta direzione di marcia

Noi sappiamo molto bene in quale direzione si deve marciare. La lotta di classe ha ripreso a pulsare forte anche nel cuore dell’Europa, come dimostrano le grandi mobilitazioni che proseguono in Francia contro la riforma pensionistica, così come gli scioperi e le manifestazioni in Inghilterra, Spagna e Germania.
Non si piega, inoltre, la resistenza delle masse proletarie ucraine. Come gli operai italiani del ’43, che diedero poi vita e nerbo alle formazioni partigiane che condussero la lotta armata, continuano a portare avanti la propria battaglia contro l’invasore russo, ma anche contro quell’oligarchia nazionale rappresentata da Zelensky, che da una parte si erge a capo supremo della resistenza e dall’altra colpisce i lavoratori con leggi liberticide e a tutto vantaggio del padronato (compreso quello russo mai cacciato dal territorio ucraino).Come per l’Italia nel biennio ‘43-’45, anche la resistenza ucraina necessita di sostegno attivo. Servono armi moderne e approvvigionamenti quotidiani per far sì che i combattenti ucraini non soccombano all’esercito russo, ma servono anche la solidarietà e il sostegno militante dei lavoratori e delle lavoratrici di tutto il mondo. La vittoria delle masse popolari ucraine sarebbe importantissima per il futuro della lotta di classe in Europa e non solo.
La classe operaia di tutti i Paesi deve quindi mobilitarsi contro la guerra, che non significa chiedere una pace astratta, ma imporsi contro i propri governi pretendendo l’invio di armi efficienti (e non ferri vecchi, come quelli che stanno arrivando) agli ucraini, fermare la corsa agli armamenti dei propri Paesi e smascherare le reali intenzioni dell’imperialismo, che vuole la fine della guerra solo per poter cominciare la spartizione delle risorse naturali dell’Ucraina.
Abbiamo un grande patrimonio storico come movimento operaio italiano e la Rivoluzione iniziata nel ‘43 fa parte di esso. Da qui si deve ripartire: facciamo appello a tutti i lavoratori e le lavoratrici, a tutti i soggetti oppressi e sfruttati, a riprendere in mano il bagaglio ideologico e gli insegnamenti che quegli avvenimenti ci hanno lasciato. Dobbiamo essere i nuovi partigiani per sconfiggere quel nemico che sta conducendo tutta l’umanità al disastro. Costruiamo insieme il Partito internazionale della rivoluzione proletaria.

Oggi come ieri… sempre Resistenza!

 

Note

  1. Per un approfondimento storico serio delle origini della Costituzione, al di là dello stucchevole teatrino messo in scena da La Russa e dal Pd, rimandiamo alla lettura di questo articolo: www.partitodialternativacomunista.org/politica/nazionale/una-rivoluzione-tradita-1943-1948-la-resistenza-operaia-in-italia

 

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