Partito di Alternativa Comunista

Perché i filosofi non cambiano il mondo. La critica di Marx ed Engels ai Giovani hegeliani e a Feuerbach

Perché i filosofi non cambiano il mondo.

La critica di Marx ed Engels ai Giovani hegeliani e a Feuerbach

 

di Fabiana Stefanoni

 

 

Ripubblichiamo qui un saggio già pubblicato sulla nostra rivista teorica Trotskismo oggi (2020).

 

Engels alla fine dell’Ottocento scrive un saggio dal titolo Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia tedesca. L’occasione per la stesura di questo testo è la recensione di un libro su Feuerbach uscito in Germania nel 1885 (1). Ma chi era Feuerbach? E perché Engels, a pochi anni dalla scomparsa di Karl Marx (morto nel 1883), ritiene importante ritornare sul pensiero di Feuerbach e riconoscergli un «debito d’onore non ancora assolto» quale «anello di congiunzione tra la filosofia hegeliana e la nostra concezione»? (2) In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande, soffermandoci su quanto c’è di ancora attuale nella critica di Marx ed Engels ai Giovani hegeliani e a Feuerbach.

 

Marx e i Giovani hegeliani

Iniziamo con i Giovani hegeliani. Che rapporto stabilisce con loro il giovane Marx? Tanti libri sono stati scritti sull’argomento, recentemente è uscito anche un film che ricostruisce, in maniera sommaria (e, va detto, con varie imprecisioni), i rapporti tra Marx e questa corrente filosofica (3). Non pretendiamo, in questo articolo, di dar conto dei tanti dibattiti sul tema: sarebbe un argomento lungo, per certi versi d’interesse solo accademico. Ci limiteremo a fare un breve excursus, con l’obiettivo di comprendere cosa ci sia di ancora attuale in queste vicende, che sembravano destinate a rimanere confinate a un piccolo ambiente di intellettuali e professori tedeschi. Sarà solo l’esplosione della rivoluzione in Europa nel 1848 ad assegnare un significato nuovo, un valore storico, a questi dibattiti filosofici. Come spiega bene Engels, come già era accaduto nel Settecento, quando l’Illuminismo aveva anticipato la rivoluzione francese, così nell’Ottocento «la rivoluzione filosofica aprì la strada alla rivoluzione politica» (4).
Il movimento dei Giovani hegeliani nasce negli anni Trenta dell’Ottocento tra gli studenti di filosofia e teologia dell’Università di Berlino, organizzandosi attorno a un club chiamato «Club dei dottori» (Doktorclub). Marx entra a farne parte nel 1837, quando frequenta quell’università (si era laureato in filosofia nel 1841 e in quegli anni aspirava a una carriera accademica). Si trattava di un club ristretto, frequentato da poche decine di intellettuali, ma era l’unico ambiente tedesco dove si tentava di esercitare la libertà di pensiero e di parola. La Berlino del tempo, infatti, era la capitale della Prussia che, come qualcuno ha efficacemente sintetizzato, «non era altro che un’immensa caserma» (5).
Come indica il nome stesso con cui li si suole indicare, i Giovani hegeliani erano i più giovani discepoli di Hegel, rinomato filosofo dell’università tedesca di inizio Ottocento, autorevole rappresentante dell’idealismo, cioè di quella concezione del mondo per cui la storia non è altro che un dispiegarsi dell’evoluzione dello Spirito (o Idea). Hegel era un filosofo conservatore: interpretando l’evoluzione delle società come tappe necessarie e obbligate dell’evoluzione dello Spirito, arrivava a giustificare e legittimare le istituzioni del suo tempo – la monarchia ereditaria in generale e la monarchia prussiana in particolare – da lui considerate come espressioni necessarie dello «Spirito oggettivo»(6).
Al contempo, come scrive Engels nel testo che abbiamo poco fa citato – e come approfondiremo tra un po’ – Hegel ha il merito di aver individuato un metodo di pensiero, la dialettica, che ha un carattere rivoluzionario. Il metodo dialettico, infatti, considera la storia (e la vita) come un processo in continua mutazione e movimento, dimostra cioè che non esistono società e istituzioni eterne. Inoltre, la dialettica hegeliana si basa sul principio che il motore di ogni sviluppo sia il conflitto, che ogni salto in avanti, nella vita come nella storia, possa essere compiuto solamente a partire dalla distruzione di ciò che è dato, di un equilibrio astratto e quindi unilaterale: il «travaglio del negativo» è un momento necessario di ogni sviluppo. Hegel non arrivò in alcun modo a conclusioni rivoluzionarie: come sintetizza efficacemente Engels, il lato conservatore del suo pensiero ha «soffocato» il lato rivoluzionario. Ma è proprio su queste potenzialità implicite nel suo metodo che fanno leva i Giovani hegeliani.
Dopo la morte di Hegel nel 1831 tra i suoi allievi si apre un dibattito. Da una parte troviamo i cosiddetti Vecchi hegeliani (chiamati anche Destra hegeliana), che cercano di dimostrare la conciliabilità tra il pensiero del maestro e l’ortodossia religiosa, difendendo posizioni politiche conservatrici. Dall’altra parte ci sono appunto i Giovani hegeliani (noti anche come Sinistra hegeliana), gli allievi più giovani di Hegel, i quali cercano di trovare nella filosofia hegeliana (e soprattutto nel metodo hegeliano) argomenti contro la monarchia feudale-ecclesiastica del re di Prussia Guglielmo IV (un bigotto reazionario salito al trono nel 1840).
Il tema su cui si concentrano principalmente i Giovani hegeliani è quello religioso. David Strauss (autore della Vita di Gesù, del 1835) e Bruno Bauer sono i più noti esponenti di questa corrente: entrambi cercano di dimostrare il carattere essenzialmente mitico della figura di Gesù - e quindi, del cristianesimo - approdando a posizioni atee. Tra di loro c’è anche Arnold Ruge, che dirige gli Annali di Halle, una rivista di orientamento liberale. Il Doktorclub, nel quale Bruno Bauer aveva un ruolo particolarmente importante, si pone alla testa di questa battaglia (nel 1842 il Club si trasformerà nel cosiddetto gruppo dei Liberi, di tendenze atee e radicali). La reazione di Guglielmo IV non tarderà ad arrivare: nel 1841 vengono soppressi gli Annali di Halle, viene dichiarata guerra ai professori hegeliani, Bruno Bauer è allontanato dall’università nel 1842. Finisce così ogni possibilità di carriera universitaria per Marx che subirà la stessa sorte degli altri Giovani hegeliani (ironia della sorte: fu anche merito di un re bigotto e reazionario se Marx abbandonerà l’università per avvicinarsi al movimento operaio, diventando ciò che è diventato nella storia).

 

Dalla borghesia renana al proletariato parigino

È a partire da questo momento che Marx inizia la collaborazione con la Gazzetta renana. Si tratta di un passaggio fondamentale della sua vita. La Renania (regione dove Marx era nato e cresciuto) era una regione relativamente ricca della Germania, dove si era sviluppata una borghesia benestante, avversa agli aspetti più retrivi e feudali delle istituzioni politiche del tempo. Si era diffusa, tra i borghesi renani, una certa simpatia per le correnti politiche liberali: il loro modello ideale era la monarchia costituzionale inglese, che ai loro occhi garantiva maggiori libertà individuali e, soprattutto, maggiori agibilità negli affari economici. La Gazzetta renana era il principale canale di espressione di questa borghesia. Come evidenzia correttamente lo studioso Michael Löwy, il periodo della Gazzetta renana ha rappresentato «una fase decisiva per l’evoluzione del giovane Marx: ha segnato contemporaneamente la sua entrata nella vita politica e il suo primo confronto con questioni materiali» (7).
Marx non è ancora comunista, ma è proprio nella redazione della Gazzetta renana che inizia a stringere i rapporti con Moses Hess, già comunista grazie alla frequentazione del movimento operaio francese. Anche Engels, che dal 1841 aveva aderito alla corrente dei Giovani hegeliani, collaborava con la Gazzetta renana. Inizialmente, va precisato, i due non si intesero molto (8). Engels approdò prima di Marx al comunismo, probabilmente nel 1842 sotto l’influenza dello stesso Hess (9).
Dal 1842 Marx diviene direttore del giornale, ma l’attività della redazione è continuamente sottoposta alla censura delle autorità prussiane. Per questo, nel 1843 Marx decide di trasferirsi con sua moglie, Jenny, a Parigi, dove resterà fino al gennaio 1845. A Parigi entra a stretto contatto col socialismo francese (Proudhon e i suoi seguaci), conosce l’esule russo Bakunin e, grazie anche alla lettura degli articoli di Engels, inizia lo studio dell’economia politica. Collabora con Ruge – anche lui in esilio - alla pubblicazione degli Annali franco-tedeschi (di cui uscirà un solo numero). Sono mesi di intenso lavoro teorico, in cui Marx scrive molti saggi, alcuni rimasti inediti, altri pubblicati proprio negli Annali: i Manoscritti economico-filosofici del 1844 (rimasti inediti fino al Novecento), La questione ebraica e Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione (entrambi pubblicati sugli Annali nel 1844), e La sacra famiglia (su cui ci soffermeremo), la prima opera che scrive insieme con Engels (pubblicata nel febbraio del 1845).
All’inizio del 1845, su richiesta del governo prussiano, Marx viene espulso dalla Francia. È costretto a recarsi a Bruxelles, dove continua la sua intensa attività di studio e scrittura. È qui che scrive le Tesi su Feuerbach (pubblicate postume da Engels nel 1888) e ultima L’ideologia tedesca (scritta con Engels e rimasta inedita fino al Novecento). È in questo periodo, a partire dal 1844, che Marx diventa comunista. Fattore determinante per la sua adesione consapevole al comunismo, oltre all’influenza di Engels, è l’incontro diretto col movimento operaio e le sue organizzazioni. Marx ed Engels in questi mesi restano profondamente colpiti dall’ondata di scioperi e rivolte operaie nella loro terra d’origine. Nel 1844 giungono a loro gli echi della rivolta dei lavoratori tessili della Slesia (celebrata da Heine in un famoso poema), dell’ondata di scioperi delle fabbriche di cotone di Berlino, delle proteste dei ferrovieri della Westfalia. Durante un loro soggiorno a Londra (estate 1845) incontrano i dirigenti del movimento operaio inglese (cartisti) e alcuni operai emigrati tedeschi. Secondo Rjazanov (10). non è certo se durante quel soggiorno abbiano incontrato Weitling (sappiamo con certezza che iniziano a frequentarlo assiduamente all’inizio del 1846), riconosciuto come un’autorità indiscussa da parte della stragrande maggioranza degli operai tedeschi emigrati a Londra. Sicuramente incontrano altri autorevoli esponenti della Lega dei giusti e dell’Associazione dei lavoratori tedeschi di Londra (11). Una cosa è certa: Marx a questo punto è diventato marxista!

 

Dalle fantasticherie dei Giovani hegeliani al comunismo

Entriamo ora nel vivo dei contenuti e vediamo quali sono le critiche che Marx ed Engels muovono ai Giovani hegeliani nel momento in cui si distaccano definitivamente da loro. Determinante fu, come abbiamo detto, l’incontro con il movimento operaio e le sue correnti. L’evoluzione politica di Marx ed Engels non è l’esito, come molti storici hanno cercato di sostenere, di un percorso meramente intellettuale o filosofico. Senza il contatto vivo con la lotta di classe e gli esponenti del movimento operaio Marx ed Engels non sarebbero diventati i Marx ed Engels che tutti noi conosciamo.
Al contempo, nel percorso intellettuale e politico che i due rivoluzionari stavano compiendo, fu importante la pubblicazione, in quegli anni, di un’opera: L’essenza del cristianesimo di Feuerbach. Scrive Engels: «L’entusiasmo fu generale: per un momento fummo tutti feuerbachiani» (12). Ma di questo parleremo tra un po’.
È La sacra famiglia, scritta nel 1844 e pubblicata nel 1845, il primo scritto a quattro mani di Marx ed Engels, l’opera nella quale i due rivoluzionari chiudono i conti definitivamente con i Giovani hegeliani. Per ora ancora affascinati dal materialismo umanistico di Feuerbach, attaccano impietosamente, con ampie dosi di sarcasmo, Bruno Bauer e compagnia. I due autori sono consapevoli di attaccare un piccolo mondo, esclusivamente tedesco, un minuscolo recinto di intellettuali tronfi e arroganti – come ironizzeranno nell’Ideologia tedesca per i Giovani hegeliani «il theatrum mundi si limita alla fiera libraria di Lipsia»(13) – ma sono anche consapevoli che si tratta, per loro, di un passaggio fondamentale. Era giunto il tempo di rompere definitivamente con l’idealismo hegeliano e le sue appendici, era giunto il tempo di confrontarsi col mondo reale.
Obiettivi polemici principali sono Bruno Bauer e la sua «critica critica»: «Ciò che noi combattiamo nella critica baueriana è la speculazione che diventa caricatura. Essa rappresenta per noi l’espressione più completa del principio cristiano-germanico, il quale tenta il suo ultimo esperimento trasformando “la critica” stessa in una potenza trascendente» (14). Parafrasando: ciò che Marx ed Engels anzitutto criticano dell’approccio di Bauer è la sua tendenza a considerare l’attività intellettuale, precisamente la critica intellettuale, come unico fattore di trasformazione della storia. Quelle che non sono altro, in fondo, che «creature ideali, fantastiche», nell’approccio dei Giovani hegeliani diventano tutto. La «critica critica» ha proclamato sé stessa «l’elemento esclusivamente creativo della storia» (15) dimenticandosi che il mondo reale, concreto, storico è il vero e unico soggetto della storia. Detto in altri termini, Bauer e i suoi discepoli, rinchiusi nel loro piccolo mondo di astrazioni teoriche, pensano di poter cambiare il corso della storia con l’esercizio esclusivo della critica intellettuale, restando lontani dalle masse, cioè dagli elementi concreti che agiscono nella storia.
Si tratta di argomenti che verranno ripresi e approfonditi nell’Ideologia tedesca, opera nella quale il movimento giovane-hegeliano viene liquidato con espressioni sprezzanti: «ciarlataneria filosofica», «meschinità», «grettezza provinciale».(16) Anche lì, l’accusa che Marx ed Engels muovono a Bauer è quella di sovrastimare il ruolo della critica meramente intellettuale, restando così ancorato, suo malgrado, all’approccio idealistico hegeliano (quello per cui l’elemento spirituale conta più di quello materiale): «risulta come egli sia fermo come una roccia nel credere alla potenza dei filosofi e come condivida la loro illusione che un mutamento di coscienza, un nuovo orientamento nell’interpretazione delle condizioni esistenti, possa rovesciare il mondo come è stato finora» (17).
Ecco dunque il punto: per cambiare il mondo bisogna cambiare le coscienze? Basta, cioè, starsene chiusi in una stanzetta e scrivere articoli, o saggi arguti, come facevano i Giovani hegeliani? Chi lo pensa, secondo Marx, rischia di cadere, di nuovo, in una forma di idealismo (o spiritualismo) astratto: «l’atto di trasformazione della società si riduce all’attività cerebrale» (18).
Marx ed Engels quando scrivono queste opere hanno scoperto il proletariato, le cui condizioni di vita e di lavoro sono state già da loro analizzate in precedenti scritti, dal libro di Engels La situazione della classe operaia in Inghilterra ai Manoscritti economico-filosofici di Marx. Nella Sacra famiglia e nell’Ideologia tedesca è ormai chiaro ai due autori che qualsiasi trasformazione radicale del mondo esterno non potrà che avere il proletariato come protagonista. Nessuna congrega di dotti e raffinati intellettuali – preoccupata di preservare la sua «purezza verginale» ritraendosi «inorridita dal contatto con la massa peccatrice, lebbrosa», che si limiti a trattarla come «un grande pubblico» (19) – potrà mai sostituirsi al ruolo storico del proletariato. Questo non significa affatto esaltare o glorificare il proletariato così come esso è, per come si presenta nella società moderna. È proprio il contrario: «è perché nelle condizioni di vita del proletariato sono riassunte tutte le condizioni di vita della società moderna nella loro asprezza più inumana; è perché nel proletariato l’uomo ha perduto sé stesso, ma nello stesso tempo non solo ha acquisito la coscienza teorica di questa perdita, bensì è anche costretto dal bisogno non più sopprimibile, non più ineludibile, assolutamente imperativo […] alla rivolta contro questa inumanità; ecco perché il proletariato può e deve necessariamente liberare sé stesso» (20). E, liberando sé stesso dallo sfruttamento, libererà al contempo tutta l’umanità: «non può togliere le proprie condizioni di vita senza togliere tutte le condizioni di vita inumane della società moderna, condizioni che si riassumono nella sua situazione. Esso non frequenta invano la dura ma temprante scuola del lavoro» (21). Per migliorare le condizioni di vita dell’umanità è necessario, quindi, organizzare il proletariato come classe rivoluzionaria. È necessario fare quello che, proprio in quegli anni, Marx ed Engels iniziavano a fare: prendere contatti col movimento operaio, costruire al suo interno un partito comunista e un'internazionale rivoluzionaria.
C’è, in queste considerazioni, qualcosa di ancora attuale. Non è forse vero che, anche oggi come allora, esiste una frattura tra il mondo intellettuale e le organizzazioni della classe operaia? Non c’è forse una tendenza, negli ambienti colti che si ritengono progressisti, a svalorizzare il proletariato e il suo ruolo storico, a rinchiudersi in un mondo chiuso, lontano dalle masse, relegate, al massimo, al ruolo di pubblico passivo (magari nella forma del pubblico televisivo)? Il proletariato, la «massa lebbrosa», viene così lasciato in balia delle sirene populiste e scioviniste…
Marx ed Engels, in quegli anni, dopo aver passato la giovinezza nei circoli di raffinati e dotti studiosi, dopo aver compreso che i pensieri e le parole di quei filosofi non sarebbero riusciti a cambiare il mondo (e nemmeno a fermare la repressione che si abbatteva su di loro), cambiarono frequentazioni, se così si può dire. Abbandonarono per sempre i circoli supponenti e arroganti di chi pensava di trasformare la realtà con una teoria originale, o con la pubblicazione di un pamphlet: iniziarono una paziente, difficile ma necessaria, azione di organizzazione dell’avanguardia del proletariato. Una volta diventati comunisti, non era più possibile per loro compiacersi di una sterile polemica tra intellettuali. Cominciarono a confrontarsi col mondo reale, con il proletariato. Iniziarono a scrivere e ad agire per il proletariato. Fondarono la Lega dei comunisti (1847). Costruirono le basi necessarie per liberare l’umanità dalle sue catene. Per loro fu fondamentale, anche, fare i conti con Feuerbach, di cui pure si ritenevano debitori.

 

Dall’antropologia alla storia: la critica a Feuerbach

Ma chi era Feuerbach? E perché è così importante nel percorso teorico e politico di Marx ed Engels? Anche Feuerbach era uno studioso di filosofia. Come gli altri Giovani hegeliani, non riesce nella Prussia del tempo, a causa della repressione, a intraprendere una carriera universitaria. Come ricorda spesso Engels, non era attivo politicamente, preferiva dedicarsi alla mera ricerca teorica e si rifiutò persino di collaborare con gli Annali franco-tedeschi di Ruge e Marx (anche se per un breve periodo fu anch’egli trascinato dal clima rivoluzionario del 1848).
Al contempo, la pubblicazione della sua opera più nota, L’essenza del cristianesimo (1841), ebbe, come abbiamo detto, un’eco enorme nel movimento dei Giovani hegeliani. Non si trattò di un best-seller: la sua lettura rimase confinata a una ristretta cerchia di studenti, ex studenti e professori di filosofia. Ma era destinata ad assumere un valore enorme come momento di passaggio dal terreno prettamente filosofico (intellettuale) dei Giovani hegeliani a un recupero del materialismo.
In quest’opera Feuerbach cerca di dimostrare il carattere illusorio di qualsiasi contrapposizione tra divino e umano: «l’oggetto e il contenuto della religione cristiana è interamente umano» (22). Feuerbach, in altre parole, riduce la teologia ad antropologia: il contenuto della religione cristiana è umano perché «nella religione l’uomo pone la sua essenza fuori di sé», la sua essenza diventa quindi «una essenza separata, diversa, anzi, opposta a lui» (23), a cui l’uomo persino si assoggetta: «per arricchire Dio bisogna che l’uomo diventi povero, perché Dio sia tutto bisogna che l’uomo sia nulla» (24). La religione per Feuerbach è alienazione, nel senso che l’uomo proietta fuori di sé (aliena) la propria essenza, i propri bisogni, le proprie aspirazioni, le proprie paure creando un’entità divina: è l’uomo che crea dio e non dio che crea l’uomo.
Marx ed Engels restano folgorati da questa intuizione. Nella Sacra famiglia, la loro opera più feuerbachiana (25), valorizzano anzitutto il fatto che per Feuerbach «la filosofia deve scendere dal cielo della speculazione nel profondo della miseria umana» (26). Egli ha cioè avuto il merito di svelare il fondamento umano, quindi materiale, di tutte le astrazioni teoriche, religione inclusa: ha rimesso sul trono il materialismo, cioè l’uomo concreto (celebre l’espressione di Feuerbach «l’uomo è ciò che mangia»). Se prima di Feuerbach i protagonisti di ogni dibattito teorico erano lo spirito (Hegel) o concetti astratti come l’autocoscienza (Giovani hegeliani), dopo di lui si pongono le basi per la dissoluzione di ogni metafisica: i protagonisti diventavano gli uomini, con i loro bisogni e le loro azioni.
Anche nell’Ideologia tedesca Marx riconosce i meriti di Feuerbach, ma inizia in quest’opera, come nelle Tesi, un distacco critico dal suo pensiero. Nell’Ideologia tedesca Marx ed Engels chiudono definitivamente i conti con la loro «anteriore coscienza filosofica» (27): ribadiscono il loro distacco dai Giovani hegeliani, «pecore che si credono lupi», completamente assorbiti da una «lotta filosofica con le ombre della realtà» (28). Qui precisano meglio la critica già presente nella Sacra famiglia. I Giovani hegeliani sopravvalutano il peso delle rappresentazioni che gli uomini si fanno del mondo, sopravvalutano la forza dei pensieri, della coscienza. Credono che, per liberare l’umanità dalle sue catene, sia necessario e sufficiente cambiare le coscienze degli uomini (la loro mentalità diremmo noi oggi): «questi Giovani hegeliani considerano le rappresentazioni, i pensieri, i concetti e in genere i prodotti della coscienza […] come le vere catene degli uomini» (29). Per questo, pensano che l’obiettivo principale sia proprio cambiare le coscienze, educarle, sono convinti che sia sufficiente insegnare agli uomini a «interpretare diversamente ciò che esiste»: non combattono il mondo realmente esistente ma «soltanto le frasi di questo mondo» (30).
Inizia qui per Marx ed Engels l’elaborazione del materialismo storico, cioè di quella concezione per cui, appunto, non sono le idee, la coscienza, gli elementi spirituali i fattori determinanti dello sviluppo storico, bensì le condizioni materiali di vita e l’azione degli uomini al loro interno. I Giovani hegeliani restano su un terreno astratto, idealistico: pur distaccandosi da alcuni aspetti del pensiero di Hegel, continuano a pensare che l’elemento determinante sia quello spirituale. Ciò che non comprendono è che i pensieri - così come tutte le produzioni spirituali degli uomini (morale, religione, filosofia) – dipendono dalle condizioni materiali di vita, dalle relazioni materiali che gli uomini stabiliscono tra loro: «La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini […] Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza» (31).
Feuerbach ha avuto il merito di dimostrare che il mondo materiale è l’unica cosa reale e che le idee, a partire da quelle religiose, non sono altro che prodotti della materia. Ma, per dirla con Engels, «arrivato a questo punto Feuerbach si arresta» (32). Finisce anch’egli per commettere gli stessi errori dei Giovani hegeliani: pensa che sia possibile cambiare le cose cambiando le idee. Pensa che per superare l’alienazione religiosa basti riconoscerla teoricamente, crede che occorra educare gli uomini all’amore reciproco per liberarli dalle loro catene. Crede, in poche parole, che basti un esercizio teorico, intellettuale, per cambiare il mondo: egli vuole «come gli altri teorici suscitare soltanto una giusta coscienza su un fatto esistente, mentre per il comunista autentico ciò che importa è rovesciare questo esistente» (33). Come gli altri Giovani hegeliani resta quindi, in ultima istanza, su un terreno idealistico: pur comprendendo che alla base dei pensieri ci sono fatti umani, non arriva a comprendere la necessità di un «movimento pratico», di «una rivoluzione»(34). Ecco l’errore in cui incappa Feuerbach: non capisce che «non è possibile attuare una liberazione reale se non nel mondo reale e con mezzi reali […], che la liberazione è un atto storico, non un atto ideale» (35),
La base dell’errore secondo Marx ed Engels sta nel fatto che Feuerbach resta ancorato a una visione astratta (quindi idealistica) dell’uomo: prende in considerazione l’uomo in generale, cioè un uomo, di fatto, che non esiste nella realtà. Gli uomini sono sempre inseriti in un contesto di relazioni economiche e sociali, sono quindi il risultato di un insieme complesso di fattori – l’insieme dei loro bisogni, i mezzi di produzione e di riproduzione, gli scambi e la cooperazione ecc. – che ne fanno un prodotto storico. Non considerando gli uomini nella loro connessione sociale, nel sistema economico in cui sono collocati, non li coglie nel loro vero essere e resta fermo all’astrazione «uomo». Per questo gli sfugge l’importanza di cambiare, con la prassi e l’attività rivoluzionaria, le loro condizioni di vita: ricade «nell’idealismo proprio là dove il materialista comunista vede la necessità e insieme la condizione di una trasformazione tanto dell’industria quanto della struttura sociale» (36).
I motivi per cui è necessario trasformare il materialismo antropologico in materialismo storico e la «filosofia dell’avvenire» in prassi rivoluzionaria sono meglio esplicitati da Marx nelle Tesi su Feuerbach, che ora analizzeremo.

 

Le Tesi su Feurbach: è giunta l’ora di trasformare il mondo!

Nella già citata prefazione di Engels al suo Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, il grande rivoluzionario definisce le Tesi su Feuerbach un testo «di un valore inestimabile», il «primo documento in cui è deposto il germe geniale della nuova concezione del mondo» (37), vale a dire il materialismo storico. Ma di cosa si tratta esattamente?
Come spiega lo stesso Engels, che per primo li pubblicò nel 1888, si tratta di appunti di Marx «buttati giù in fretta, non destinati assolutamente alla stampa», nei quali però Marx fa i conti, definitivamente, anche col pensiero di Feuerbach, illustrando quali sono i motivi principali che lo allontanano dal suo materialismo antropologico. Negli anni più recenti in cui il marxismo andava ancora di moda nell’accademia – come portato della lotta di classe che attraversava l’Europa tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del Novecento – tanti intellettuali si sono sbizzarriti nel cercare di interpretare questo breve scritto (38) – che pubblichiamo in calce a questo articolo – il cui contenuto risulta, a una prima lettura, di difficile interpretazione.
Crediamo che ci sia in queste Tesi il nocciolo della dialettica materialista, quella che Engels definiva «il nostro miglior mezzo di lavoro e la nostra arma più affilata» (39). È qui infatti che si trova, per la prima volta, la sintesi tra il metodo dell’idealismo hegeliano, cioè la dialettica, e il contenuto del materialismo feurbachiano, cioè l’uomo. Questa sintesi è la prassi, precisamente la prassi rivoluzionaria.
Hegel aveva ipotizzato che il soggetto della storia fosse lo spirito: riteneva quindi che tutto il mondo delle relazioni materiali fosse una sorta di dispiegamento di questo soggetto immateriale. Di qui l’impossibilità, per gli uomini, di cambiare il corso della storia: la storia del mondo per Hegel era «la rappresentazione del processo divino e assoluto dello spirito nelle sue più alte forme, di questo corso graduale onde esso consegue la sua verità, l’autocoscienza di sé» (40). Ma se Hegel resta invischiato in queste «pastoie idealistiche», c’è qualcosa di rivoluzionario nel suo sistema filosofico ed è, appunto, il metodo che utilizza, cioè la dialettica. È un metodo che si basa sull’idea che nulla permanga uguale a sé stesso, che in ogni «determinazione» è implicita la sua «negazione», passaggio necessario per una sintesi superiore (Aufhebung). Vale la pena ricordare le parole di Lenin: «Marx ed Engels consideravano la dialettica hegeliana come la più completa, la più profonda e la più ricca dottrina dell’evoluzione, come la più grande conquista della filosofia classica tedesca. Tutte le altre formulazioni del principio dello sviluppo, dell’evoluzione, essi le ritenevano unilaterali, povere di contenuto, tali da deformare e mutilare il reale processo di sviluppo (spesso contrassegnato da salti, catastrofi, rivoluzioni) nella natura e nella società. “Marx ed io siamo stati pressappoco i soli a salvare dalla filosofia idealistica tedesca” (dalla rovina dell’idealismo, quello hegeliano compreso) “la dialettica cosciente e a trasferirla nella concezione materialistica della natura e della storia” (F. Engels, Anti-Dühring)» (41).
Se Feuerbach ha il merito, come dice Engels, di aver «rimesso sul trono il materialismo», al contempo, come tutti i materialisti che l’hanno preceduto, resta ancorato a una visione «reificata» della materia. Anche l’uomo e tutto ciò che lo riguarda restano in Feuerbach fatti statici, analizzati alla stregua di fatti naturali, meccanismi passivi. In questo resta fermo all’approccio del materialismo illuministico del XVIII secolo (42), il materialismo meccanicistico appunto. Era un materialismo incapace «di concepire il mondo come un processo, come una materia soggetta a un continuo perfezionamento storico» (43). Ma se si concepiscono i fatti umani come oggetti passivi si cade in una visione astratta, quindi di nuovo idealistica, dell’uomo: gli uomini in Feuerbach sono estrapolati dal contesto delle loro relazioni economiche e sociali – che sono relazioni pratiche – e quindi sono uomini inesistenti nella realtà: sono uomini irreali quanto le costruzioni teologiche che Feuerbach giustamente contesta (44).
Al contempo, non basta interpretare gli uomini e le loro azioni come meri «prodotti delle circostanze e dell’educazione» (45). Anche in questo caso emerge l’esigenza di recuperare l’elemento attivo (dinamico, dialettico) dell’idealismo a integrazione del materialismo di Feuerbach: egli dimentica che «le circostanze sono modificate proprio dagli uomini e che l’educatore stesso dev’essere educato» (46). Pensare, come faceva Feuerbach, che si potessero cambiare gli uomini solo con l’educazione significa negare l’unico elemento veramente in grado di cambiare le circostanze e quindi di trasformare l’esistente: la prassi rivoluzionaria. In altre parole, l’uomo, a differenza dell’acqua che è «costretta» a trasformarsi in vapore al sopraggiungere dei cento gradi, non è costretto da nessuna legge di natura a subire le condizioni economiche e sociali in cui vive. L’uomo può cambiare quelle condizioni economiche e sociali e può farlo solo praticamente.
È qui che risiede l’importanza dell’undicesima tesi, la più nota: «I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo; si tratta però di trasformarlo» (47). E chi è in grado di trasformare il mondo con la sua attività pratica? Non sono certo gli uomini singoli, siano pure degli eroi: le vere e uniche «forze motrici» della storia sono le grandi masse, le classi, quando entrano in scena non per «un fuoco di paglia rapido a spegnersi» ma per «un’azione di lunga durata» (48). Ecco allora perché, parafrasando Engels, il movimento operaio è l’unico legittimo erede della migliore filosofia: solo al suo interno – lì dove «non esistono preoccupazioni né di carriera, né di guadagno, né di benevola protezione dall’alto» (49) – potremo incontrare le premesse materiali, pratiche, della trasformazione rivoluzionaria.

 

Cambiare le coscienze o fare la rivoluzione?

È di nuovo utile segnalare l’attualità di quanto stiamo analizzando. Ci troviamo spesso a fare i conti con un sentimento diffuso tra i lavoratori e le lavoratrici, inclusi i loro settori di avanguardia: l’idea che per cambiare il mondo serva preliminarmente un «cambio di mentalità» degli uomini. Capita di frequente di ascoltare il ritornello di chi sostiene che la principale arma di trasformazione dell’esistente sia la cultura, o l’educazione. Soprattutto in questo momento storico in cui si stanno diffondendo e ottenendo consenso tra le masse (anche quelle operaie) movimenti xenofobi, sciovinisti e razzisti, l’attenzione di tanti si concentra sulla coscienza. «Le coscienze sono arretrate», ci spiegano. Quindi non resta che rassegnarsi; oppure cambiare, per prima cosa, le coscienze stesse. Marx ed Engels ci hanno insegnato, nei passi che abbiamo poco fa analizzato, che le cose non stanno così. Per cambiare il mondo – e per cambiare le coscienze delle masse - bisogna cambiare le condizioni materiali delle masse stesse: occorre sovvertire il modo di produzione e le forme di relazione finora esistite. Per farlo, lo abbiamo già scritto in altri articoli, non ci sono scorciatoie, la ricetta è sempre quella individuata da Marx ed Engles: «organizzazione del proletariato in classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato» (50).
È chiaro che l’ideologia dominante, che contamina anche le coscienze delle masse proletarie, rappresenta un grosso ostacolo. Non è un caso: la classe che detiene i mezzi di produzione – la borghesia – controlla anche i mezzi della produzione di pensieri, «dispone cioè in pari tempo dei mezzi della produzione intellettuale cosicché a essa sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale» (51). Come spiegano bene Marx ed Engels proprio in una delle opere che abbiamo analizzato in questo articolo, L’ideologia tedesca, all’interno della classe dominante esiste proprio una suddivisione del lavoro tra i «membri più attivi della classe» – quelli che si preoccupano principalmente di far profitti, cioè i capitalisti – e gli «ideologi» – coloro che «dell’elaborazione delle illusioni di questa classe su sé stessa fanno il loro mestiere principale» (52). Se ai tempi di Marx ed Engels il lavoro degli ideologi consisteva essenzialmente nella produzione di libri, articoli di giornali e sermoni domenicali, oggi, con i mass-media, la cassa di risonanza delle idee dominanti è molto più ampia: dai quotidiani alle trasmissioni televisive, dalle case editrici a quelle di produzione cinematografica, tutto è in ultima istanza espressione dell’ideologia dominante, cioè borghese. Non dobbiamo banalizzare pensando che si tratti di un meccanismo completamente controllato, coscientemente, dai capitalisti. Come già nell’Ottocento, anche oggi si possono creare, talvolta, contraddizioni tra gli interessi materiali dei borghesi e l’azione degli «ideologi»: anche nell’ambito della produzione ideologica controllata, materialmente, dai capitalisti (che ne detengono i mezzi di produzione) ci sono correnti di pensiero che sfuggono al controllo della borghesia produttiva e, a volte, sembrano ad essa contrapporsi. Ma sono contrapposizioni che, restando all’interno della sfera ideologica, non possono giungere a mettere in discussione realmente il dominio borghese. Anche qui sono straordinariamente attuali le parole di Marx ed Engels: all’interno della classe borghese la contrapposizione tra la borghesia e i suoi ideologi «può addirittura svilupparsi fino a creare tra le due parti una certa opposizione e una certa ostilità, che tuttavia cade da sé se sopraggiunge una collisione pratica che metta in pericolo la classe stessa: allora si dilegua anche la parvenza che le idee dominanti non siano le idee della classe dominante e abbiano un potere distinto dal potere di quella classe» (53). L’obiettivo principale degli ideologi borghesi sarà allora quello di dimostrare che gli interessi della borghesia sono interessi universali, di tutta la società, anche del proletariato: sarà loro compito difendere il sacro valore delle istituzioni (occultando il fatto che sono istituzioni borghesi), nonché quello di presentare come naturale e inevitabile un sistema economico basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione.
Ma se è vero che la storia è, oggi come ieri, storia di lotta tra classi, allora è anche vero che le premesse materiali per la trasformazione rivoluzionaria della società – quella «scossa rivoluzionaria periodicamente ricorrente nella storia» (54) – si riproducono e riprodurranno continuamente, finché esisteranno delle classi (cioè finché il proletariato non abolirà la divisione in classi instaurando il comunismo). Quando si apre una fase rivoluzionaria si creano anche le premesse per la diffusione di idee rivoluzionarie e per il rafforzamento del partito d'avanguardia: tutto il castello ideologico della borghesia si scioglierà, in poco tempo, come neve al sole. A quel punto, sarà conflitto aperto tra chi deciderà di difendere gli interessi della classe dominante e chi, come Marx ed Engels, si schiererà con la classe rivoluzionaria, cioè il proletariato. Noi sappiamo da che parte stare.

 

Note

1) Si trattava della pubblicazione in lingua tedesca della tesi di dottorato del danese Starke, titolata appunto Ludwig Feuerbach.

2) F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, 1888, La città del sole, 2009, pp. 51-53.

3) Il giovane Karl Marx di Raoul Peck.

4) F. Engels, op. cit., p. 53.

5) B. Nikolaevskij, O. Maenchen-Helfen, Karl Marx, Einaudi, 1969, p. 49. È utile citare l’intero passo per avere un’idea dei livelli a cui arrivava la censura prussiana: «La Prussia non era altro che un’immensa caserma. Una censura odiosa che nelle mani di uomini di corte vedute conduceva una guerra spietata contro lo spirito. Fu allora che un censore (…) potè sopprimere nella Kölnische zeitung [Gazzetta di Colonia] l’annunzio di una traduzione della Divina Commedia di Dante (…) con questa osservazione: “Non si devono fare commedie con le cose divine”».

6) «La personalità dello Stato è reale solo in quanto è persona: il monarca […] È la più vicina alla verità quella rappresentazione secondo cui il diritto del monarca è fondato sull’autorità divina, perché in questa autorità è contenuto il carattere incondizionato del monarca […] Ora, il compito della considerazione filosofica è appunto quello di comprendere concettualmente questo carattere divino». G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1820, Rusconi, 1996, pp. 477 e 479.

7) M. Löwy, Il giovane Marx, Massari editore, 2001, p.52.

8) Per una ricostruzione dettagliata e puntuale delle relazioni iniziali tra Marx ed Engels rimandiamo alle lezioni d Rjazanov: «In ciò si manifesta l’influenza delle diverse condizioni in cui si erano formati Marx ed Engels, e in particolare il fatto che Marx non aveva conosciuto l’oppressione religiosa, il giogo intellettuale a cui era stato sottoposto Engels nella sua adolescenza. Per questo Marx si entusiasmava di meno per la lotta religiosa e non riteneva necessario consacrare tutte le sue forze a una violenta critica antireligiosa», in D.B. Rjazanov, Marx ed Engels, 1923, Samonà e Savelli, 1972, p. 29.

9) Ivi, p. 31.

10) Ivi, p. 53. Secondo altri studiosi del pensiero di Marx, ad esempio M. Rubel, già nell’estate del 1845 Marx ed Engels incontrarono Weitling.

11) Per conoscere i dettagli di queste vicende, nonché le tappe successive dell’evoluzione dei rapporti tra Marx ed Engels e le associazioni operaie, rimandiamo al saggio di F. Ricci, La Lega dei comunisti e il Manifesto, in Trotskismo oggi, n. 5, 2014, pp. 20-29.

12) F. Engels, op. cit., p. 63.

13) K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, 1846, Editori Riuniti, 1991, p. 33.

14) K. Marx, F. Engels, La sacra famiglia, 1844, Editori Riuniti, 1967, p. 3.

15) Ivi, pp. 22 e 44.

16) K. Marx, F. Engels, op. cit., 1991, p. 6.

17) Ivi, p. 79.

18) K. Marx, F. Engels, op. cit., 1967, p. 110.

19) Ivi, p. 6.

20) Ivi, p. 44.

21) Ivi, p. 44.

22) L. A. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, 1841, in Opere, Laterza, 1965, p. 195.

23) Ivi, p. 210.

24) Ivi, p. 203.

25) Per essere precisi, anche nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx elogia il pensiero di Feuerbach: «Feuerbach è il solo che sia in un rapporto serio e critico con la dialettica hegeliana, e che abbia fatto delle vere scoperte in questo campo e sia insomma il vero vincitore della vecchia filosofia. La grandezza dell’opera e la tacita semplicità con cui Feuerbach l’ha data al mondo stanno in un contrasto singolare con l’inverso atteggiamento altrui». K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, 1974, p. 259.

26) K. Marx, F. Engels, op. cit., 1967, p. 48.

27) F. Engels, op. cit., p. 51.

28) K. Marx, F. Engels, op. cit., 1991, p. 3.

29) Ivi, p. 7.

30) Ivi, p. 8.

31) Ivi, p. 13.

32) F. Engels, op. cit., p. 70. A conferma del giudizio di Engels, all’inizio di Principi della filosofia dell’avvenire Feuerbach dichiara che il principale compito dell’età moderna è «quello di realizzare ed umanizzare Dio, vale a dire risolvere la teologia nell’antropologia». Feuerbach, Principi della filosofia dell’avvenire, 1844, Einaudi, 1946, p. 71.

33) K. Marx, F. Engels, op. cit., 1991, p. 34.

34) Ivi, p. 29.

35) Ivi, p. 15.

36) Ivi, p. 18.

37) F. Engels, op. cit., p. 53.

38) Ci limitiamo a ricordare qui la celebre interpretazione di Louis Althusser che ha considerato questi appunti un passaggio fondamentale nell’evoluzione del pensiero di Marx verso un approccio più scientifico: «Una “rottura epistemologica” senza equivoci è chiaramente presente nell’opera di Marx, laddove Marx stesso la colloca, nell’opera non pubblicata mentre era ancora in vita, che costituisce la critica della sua antica coscienza filosofica (ideologica): L’ideologia tedesca e le Tesi su Feuerbach, che non sono che poche frasi, segnano l’estremo margine anteriore di questa rottura […]. Certi brevi lampi delle Tesi su Feuerbach colpiscono con la loro luce tutti i filosofi che vi si accostano, ma tutti sanno che un lampo acceca più di quanto non illumini e che non c’è niente di più difficile da ubicare nello spazio della notte di uno sprazzo di luce che la rompe», in L. Althusser, Per Marx, 1965, Editori Riuniti, 1972, pp. 16 e 19.

39) F. Engels, op. cit., p. 91.

40) G.W.F. Hegel, Lezioni di filosofia della storia, 1837, Laterza, 1997, p. 62.

41) V.I. Lenin, Marx ed Engels, Shake edizioni, 2013, pp. 26-27.

42) Con l’espressione materialismo illuministico si fa qui riferimento al pensiero di alcuni filosofi illuministi – La Mettrie, d’Holbach, Helvétius – che, contrapponendosi alle dottrine religiose e metafisiche tradizionali, riconoscevano come unico principio causale la materia. Era una forma di un naturalismo meccanicistico, con cui si interpretavano l’uomo e le sue azioni come espressioni di leggi naturali, sottoposte a una rigida necessità. Se queste dottrine avevano l’indubbio merito di far piazza pulita di tutte le superstizioni religiose e spiritualistiche, al contempo riducevano l’uomo a una macchina, negando la possibilità dell’azione storica trasformatrice.

43) F. Engels, op. cit., p. 71.

44) K. Marx, Tesi su Feuerbach, in appendice a F. Engels, op. cit., pp. 115-122. Si veda a tal proposito in particolare la sesta tesi, dove si spiega perché Feuerbach presuppone «un individuo umano astratto – isolato».

45) Ivi.

46) Ivi.

47) Ivi.

48) F. Engels, op. cit., p. 98. Vale la pena riportare l’intero passo: «Quando si tratta, dunque, di indagare le forze motrici che – consciamente o inconsciamente, e, a dire il vero, assai spesso inconsciamente – si nascondono dietro ai motivi che muovono gli uomini ad agire sulla scena della storia, non si può trattare tanto dei motivi che spingono all’azione gli uomini singoli, siano essi eminenti quanto si voglia, quanto dei motivi che mettono in movimento grandi masse, popoli interi e, in ogni popolo, intere classi; e che li mettono in movimento non per un balzo momentaneo e passeggero, per un fuoco di paglia rapido a spegnersi, ma per un’azione di lunga durata, che mette capo a una grande trasformazione storica».

49) Ivi, p. 110.

50) K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, 1848, Einaudi, 1998, p. 23.

51) K. Marx, F. Engels, op. cit., 1991, p. 35.

52) Ivi, p. 36.

53) Ivi, p. 36.

54) Ivi, p. 30.

 

 

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