Quali interessi dietro la
torta dell’acqua?
La parola d’ordine è una:
privatizzare!
di Michele Rizzi (*)
I grandi interessi economici che si annidano
dietro la gestione complessiva dell’acqua ormai non fanno più notizia.
Certamente l’acqua rimane, nella stragrande maggioranza del territorio italiano,
ancora pubblica, ma sicuramente sotto forte attacco.
L’inizio del processo di
privatizzazione
Il processo di privatizzazione parte il 1994
con la Legge Galli, che permette agli enti locali la costituzione di società
miste o Spa anche a capitale pubblico che gestiscano l’acqua (come nel caso
dell’Acquedotto pugliese), rompendo con il monopolio delle municipalizzate. Il
quadro è quello dell’inizio del processo di privatizzazione dei servizi pubblici
e di conseguenza l’entrata del capitale privato nella gestione degli
stessi.
Da allora c’è stato un fiorire di società per azioni tra cui la Mediterranea delle Acque del gruppo Iride che fa capo ai comuni di Genova e Torino, la società Acque potabili a metà tra Smat e Comune di Genova, la romana Acea (privatizzata dall’allora sindaco, Francesco Rutelli) del Comune di Roma al 51% e per il restante in mano privata, la Hera di Bologna, il già citato Acquedotto pugliese di proprietà della Regione Puglia e della Regione Basilicata, fino ad arrivare ad un totale di circa 550 Spa. Tutte queste ex municipalizzate sono riunite in un’associazione chiamata Federutility.
Da allora c’è stato un fiorire di società per azioni tra cui la Mediterranea delle Acque del gruppo Iride che fa capo ai comuni di Genova e Torino, la società Acque potabili a metà tra Smat e Comune di Genova, la romana Acea (privatizzata dall’allora sindaco, Francesco Rutelli) del Comune di Roma al 51% e per il restante in mano privata, la Hera di Bologna, il già citato Acquedotto pugliese di proprietà della Regione Puglia e della Regione Basilicata, fino ad arrivare ad un totale di circa 550 Spa. Tutte queste ex municipalizzate sono riunite in un’associazione chiamata Federutility.
Alcuni casi: Lombardia, Sicilia,
Puglia
In Lombardia il caso più eclatante è quello
milanese. Qui è in progetto la creazione di una delle più grandi
multiutility del Nord, che nascerebbe dalle ceneri di società di
servizi pubbliche, già in buona parte privatizzate: l’Asm di Brescia (70%
pubblica e 30% privata) e l’Aem di Milano (42,2 % pubblica e 57,8 % privata). La
multiutility dovrebbe anche incorporare la gestione del servizio idrico
del territorio. Si prospetta, così, il passaggio del capitale interamente
pubblico dell’Amsa (azienda milanese servizi ambientali) e della Mm
(metropolitana milanese) che già gestisce il ciclo idrico, in questa grande
azienda mista, con l’ingresso definitivo del capitale privato nella gestione
dell’acqua.
In Sicilia si è verificato il classico esempio di come si gestisca lo sfascio organizzato della gestione pubblica dell’acqua per favorire la sua privatizzazione. Infatti, a questo, si è aggiunto l’alibi della siccità. In realtà, in Sicilia esistono una trentina di invasi per più di un miliardo di metri cubi di acqua decisamente sufficienti per i cinque milioni di abitanti dell’isola.
Le forze politiche siciliane (di entrambi gli schieramenti) hanno limitato gli investimenti per la ristrutturazione delle condotte e degli invasi, facendo sì, come accade anche per l’Acquedotto pugliese, che molta acqua andasse perduta.
I tanti enti pubblici che fino a qualche mese fa gestivano l’erogazione dell’acqua siciliana, sotto la direzione del commissario per l’emergenza idrica Totò Cuffaro, sono stati pensionati. Infatti, adesso, una gara d’appalto ha aggiudicato la gestione ai privati, nella fattispecie alla Società metropolitana Acque Torino e alla società Acque Potabili (controllata da Smat e dall’ex società municipalizzata di Genova). L’appalto vale ben trenta anni. Una conferenza di servizi dei comuni interessati all’erogazione dell’acqua a Palermo ha visto anche il benestare alla privatizzazione del sindaco di Rifondazione comunista.
In Puglia è ormai risaputa la disputa politica che ha visto protagonisti il presidente Vendola e l’ex presidente dell’Acquedotto pugliese, Riccardo Petrella. Quest’ultimo ha ingaggiato una dura battaglia che ha rimesso in discussione la gestione privatistica dell’Aqp. Lo scontro aveva come oggetto la richiesta di Petrella di eliminare la Spa per ridare l’acquedotto alla gestione diretta della Regione Puglia. Sappiamo poi come è andata a finire, con Vendola che ha indotto alle dimissioni Petrella e l’ha sostituito con un amministratore unico, Ivo Monteforte, conosciuto per lo più per aver diretto la privatizzazione della società dei servizi pubblica di Pesaro.
In Sicilia si è verificato il classico esempio di come si gestisca lo sfascio organizzato della gestione pubblica dell’acqua per favorire la sua privatizzazione. Infatti, a questo, si è aggiunto l’alibi della siccità. In realtà, in Sicilia esistono una trentina di invasi per più di un miliardo di metri cubi di acqua decisamente sufficienti per i cinque milioni di abitanti dell’isola.
Le forze politiche siciliane (di entrambi gli schieramenti) hanno limitato gli investimenti per la ristrutturazione delle condotte e degli invasi, facendo sì, come accade anche per l’Acquedotto pugliese, che molta acqua andasse perduta.
I tanti enti pubblici che fino a qualche mese fa gestivano l’erogazione dell’acqua siciliana, sotto la direzione del commissario per l’emergenza idrica Totò Cuffaro, sono stati pensionati. Infatti, adesso, una gara d’appalto ha aggiudicato la gestione ai privati, nella fattispecie alla Società metropolitana Acque Torino e alla società Acque Potabili (controllata da Smat e dall’ex società municipalizzata di Genova). L’appalto vale ben trenta anni. Una conferenza di servizi dei comuni interessati all’erogazione dell’acqua a Palermo ha visto anche il benestare alla privatizzazione del sindaco di Rifondazione comunista.
In Puglia è ormai risaputa la disputa politica che ha visto protagonisti il presidente Vendola e l’ex presidente dell’Acquedotto pugliese, Riccardo Petrella. Quest’ultimo ha ingaggiato una dura battaglia che ha rimesso in discussione la gestione privatistica dell’Aqp. Lo scontro aveva come oggetto la richiesta di Petrella di eliminare la Spa per ridare l’acquedotto alla gestione diretta della Regione Puglia. Sappiamo poi come è andata a finire, con Vendola che ha indotto alle dimissioni Petrella e l’ha sostituito con un amministratore unico, Ivo Monteforte, conosciuto per lo più per aver diretto la privatizzazione della società dei servizi pubblica di Pesaro.
La nascita dei Comitati “acqua bene
comune” e il ruolo del PdAC
La spinta privatizzatrice dei servizi
pubblici di questo governo, rappresentata nella fattispecie dalla ministra per
gli affari regionali, Linda Lanzillotta e dal suo decreto, dovrebbe riguardare
anche la gestione del settore idrico, anche se alcune fonti governative negano.
Sta di fatto che la mobilitazione dei comitati per l’acqua ha spinto il governo
Prodi a ritardare questo processo. Il consiglio dei ministri ha costituito un
comitato di ministri che punterà, probabilmente, a dilazionare la
privatizzazione.
La fase delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni di questo governo è ormai in una fase avanzata. Localmente il business dell’acqua sta avendo un’accelerazione. Manca ancora una normativa nazionale che obblighi le società pubbliche alla loro trasformazione in società private; il governo Prodi sta provvedendo a tal fine.
I comitati per l’acqua bene comune, pur avendo una piattaforma limitata, hanno comunque il pregio di rimettere al centro della discussione politica la necessità di una vertenza generalizzata sul territorio per la ripubblicizzazione dell’acqua e della sua gestione.
La costituzione di un comitato nazionale, all’interno del quale c’è anche il Partito di alternativa comunista, si pone l’obiettivo di costruire un fronte unico di forze politiche e sociali che si contrappongano nettamente alle spinte privatrizzatrici di questo governo. Il PdAC, che sta impegnando i suoi militanti in questa vertenza sul territorio nazionale, ritiene assolutamente indispensabile spingere questo fronte unico a un’opposizione netta e coerente a questo governo ed alle lobby affariste ad esso collegate, che vanno in direzione del controllo di un bene comune ed inalienabile. L’escamotage che il governo vuole utilizzare come cavallo di troia per mettere mano alla privatizzazione è la separazione della proprietà dell’acqua (che rimarrebbe pubblica) dalla sua gestione (che andrebbe ai privati). Il PdAC e le altre forze politiche e sociali che stanno lottando contro questo piano criminale dicono No anche alla gestione delle Spa, ancorché pubbliche, e continueranno la vertenza fino alla ripubblicizzazione di tutta l’acqua ed alla sconfitta del governo e dei suoi alleati confindustriali.
La fase delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni di questo governo è ormai in una fase avanzata. Localmente il business dell’acqua sta avendo un’accelerazione. Manca ancora una normativa nazionale che obblighi le società pubbliche alla loro trasformazione in società private; il governo Prodi sta provvedendo a tal fine.
I comitati per l’acqua bene comune, pur avendo una piattaforma limitata, hanno comunque il pregio di rimettere al centro della discussione politica la necessità di una vertenza generalizzata sul territorio per la ripubblicizzazione dell’acqua e della sua gestione.
La costituzione di un comitato nazionale, all’interno del quale c’è anche il Partito di alternativa comunista, si pone l’obiettivo di costruire un fronte unico di forze politiche e sociali che si contrappongano nettamente alle spinte privatrizzatrici di questo governo. Il PdAC, che sta impegnando i suoi militanti in questa vertenza sul territorio nazionale, ritiene assolutamente indispensabile spingere questo fronte unico a un’opposizione netta e coerente a questo governo ed alle lobby affariste ad esso collegate, che vanno in direzione del controllo di un bene comune ed inalienabile. L’escamotage che il governo vuole utilizzare come cavallo di troia per mettere mano alla privatizzazione è la separazione della proprietà dell’acqua (che rimarrebbe pubblica) dalla sua gestione (che andrebbe ai privati). Il PdAC e le altre forze politiche e sociali che stanno lottando contro questo piano criminale dicono No anche alla gestione delle Spa, ancorché pubbliche, e continueranno la vertenza fino alla ripubblicizzazione di tutta l’acqua ed alla sconfitta del governo e dei suoi alleati confindustriali.
(*) Coordinatore provinciale Bat del
comitato per la ripubblicizzazione dell’acqua