Partito di Alternativa Comunista

RIPRENDIAMO LA LOTTA!

A partire dallo sciopero della scuola e dell'università del 18 marzo
RIPRENDIAMO LA LOTTA!
 
 
di Fabiana Stefanoni
 
La protesta contro la Gelmini e il governo non è sopita. Proteste studentesche esplodono continuamente in varie città d'Italia: da Torino - dove si è costituita una "rete di resistenza" che coinvolge studenti, operai e immigrati - a Bologna, dove il rettorato è stato recentemente occupato.
Sicuramente, l'onda, rispetto all'autunno, per un periodo è parsa arrancare: ha pagato il prezzo della mancanza di una direzione in grado di offrire al movimento dei lavoratori e degli studenti un programma e un'organizzazione capaci di vittorie durature. Ma non si è trattato di un'illusione perduta, né dello sgretolamento definitivo della mobilitazione.
 
L'attacco alla scuola e all'università continua
La scuola e l'università italiane sono allo sfascio. Il piano del governo prevede il licenziamento di 130 mila lavoratori della scuola, ma già ora la stragrande maggioranza degli istituti pubblici ha i conti in rosso. A farne le spese non saranno solo le centinaia di migliaia di precari che si troveranno, già nei prossimi mesi, a ingrossare le file dei disoccupati, ma anche gli insegnanti di ruolo (che, dopo decenni di insegnamento, si vedranno costretti a cambiare luogo di lavoro, completando l'orario in altre scuole o in materie di cui non hanno alcuna competenza) e, soprattutto, le famiglie e gli studenti.
Il taglio dei finanziamenti alla scuola pubblica passa - oltre che per l'introduzione del maestro unico alle elementari con la scomparsa di fatto del tempo pieno - anche e soprattutto per l'aumento del numero di alunni per classe (già inaugurato dal ministro Fioroni, col sostegno di Padoa Schioppa, che sognava classi di 40...). Gli insegnanti "in esubero" verranno utilizzati per insegnare materie "affini" alle loro, di cui non hanno competenza: un modo per risparmiare sull'assunzione di precari. Gli edifici, oltre ad essere fatiscenti e pericolosi, non sono tra l'altro in grado di ospitare classi così ampie (ma la Gelmini ci rassicura: "chiuderemo le scuole poco sicure e le accorperemo ad altre"... sic).
Dal 2010 alle superiori scompariranno tutte le sperimentazioni, con la riduzione delle ore di lezione settimanali: un taglio di posti di lavoro non indifferente, che si tradurrà nello scadimento dell'offerta formativa. Alle elementari e alle medie inferiori spesso l'attività didattica è un optional: classi affollatissime in cui l'insegnamento si riduce al contenimento dei fenomeni di bullismo. La presenza di studenti immigrati che non hanno potuto usufruire di percorsi paralleli di inserimento si traduce spesso in fenomeni di razzismo ed esclusione, che, in un clima di criminalizzazione dell'immigrato, nell'ambito della scuola trovano espressioni in fenomeni di vero e proprio apartheid (come nel caso delle "classi ponte").
Questo quadro disastroso sta diventando sempre più drammatico. L'insieme degli istituti pubblici nazionali si trova indebitato per centinaia di milioni di euro, debito che si è accumulato nel corso degli anni e che i ministeri dei governi di entrambi gli schieramenti non hanno mai inteso saldare. Non è più possibile pagare i supplenti, che o non vengono chiamati oppure lavorano gratuitamente. In compenso, gli istituti devono sborsare migliaia di euro per pagare le visite fiscali fin dal primo giorno di malattia: e ammalarsi oggi significa nel pubblico impiego incarcerarsi, dato che si ha l'obbligo di restare in casa dalle 8 di mattina alle 6 di sera, con un'ora d'aria dalle 13 alle 14.
Le cose si aggraveranno ulteriormente se verrà approvata la Legge Aprea, che prevede la definitiva trasformazione delle scuole in fondazioni private, con le chiamate dirette dei supplenti da parte dei presidi (con in connessi fenomeni di clientelismo e discriminazione), la cancellazione delle Rsu, lo svuotamento degli organi collegiali (che verranno sostituiti nelle loro funzioni da "consigli di amministrazione" sul modello aziendale).
All'università le cose non vanno meglio. I tagli determineranno già dal prossimo anno accademico la chiusura di moltissimi atenei. Altri, per sopravvivere, saranno costretti ad alzare le tasse. Di fatto, il diritto a un'istruzione universitaria si trasformerà in un privilegio per pochi. Tutto questo mentre la gran parte dell'attività didattica viene svolta da ricercatori e borsisti sottopagati (o, spesso, non pagati), senza più prospettive di assunzione. Le proteste degli ultimi mesi hanno sicuramente ottenuto un piccolo risultato, ma non dobbiamo dimenticare che la privatizzazione definitiva degli Atenei è stata solo rimandata, non cancellata.
 
La lotta paga, ma...
La straordinaria mobilitazione dei mesi scorsi - che ha visto scendere in campo lavoratori, studenti e famiglie di lavoratori contro la Gelmini e i progetti di privatizzazione del governo - ha dato qualche frutto: ha ostacolato la piena applicazione del maestro unico, costringendo il governo a una parziale retromarcia (alle famiglie è stata data la possibilità di scegliere, e la gran parte ha optato per le 40 ore, rifiutando l'opzione del maestro unico a 24 ore: siamo curiosi di vedere come faranno a garantire il servizio con in tagli previsti); ha costretto il ministro a rimandare la privatizzazione degli atenei e la ristrutturazione delle superiori.
Ma le briciole ottenute sono briciole velenose: hanno di fatto contribuito a smorzare la protesta e, allo stesso tempo, non cambiano nulla rispetto al piano di ristrutturazione generale. I 130 mila posti di lavoro tagliati restano, così come i progetti di privatizzazione.
Perché, quindi, la protesta è andata progressivamente scemando? E' una domanda che si pongono in molti e che, purtroppo, ha una risposta a nostro avviso molto semplice: tutti le mobilitazioni, incluse quelle più radicali, non hanno vita eterna. Sorgono spontaneamente ma, senza una direzione che le conduca alla vittoria, sono destinate al riflusso o, peggio, alla demoralizzazione. Certo, sappiamo che la brace apparentemente spenta può ravvivarsi con facilità: e questo sta già succedendo, non solo nella scuola (già Pomigliano e altre importanti realtà operaie hanno imboccato la strada della lotta ad oltranza).
Quello che è successo nella scuola deve servire da monito e da lezione. Le burocrazie sindacali, in primis quelle di Cisl e Uil - che hanno sottoscritto un contratto al ribasso avallando i tagli e la distruzione della scuola pubblica - ma anche quelle della Cgil hanno giocato un ruolo di primo piano nella smobilitazione. La mancata partecipazione dei confederali allo sciopero generale del sindacalismo di base del 17 ottobre e l'indizione da parte di Cgil, Cisl e Uil di uno sciopero della scuola "in concorrenza" e fuori tempo massimo il 30 ottobre (il giorno dopo l'approvazione del decreto che introduceva il maestro unico!) hanno fin da subito tagliato le gambe alla protesta: il governo ha avuto buon gioco a definire lo sciopero un "momento rituale e inutile". Lo sciopero generale del 12 dicembre - indetto dalla Cgil e, su piattaforma più avanzata, da Cub, Cobas e SdL - è stato un momento importante, che tuttavia è risultato depotenziato da una piattaforma Cgil al ribasso, dall'indizione da parte della Cgil di sole 4 ore di sciopero anziché dell'intera giornata (mentre negli stessi giorni in Grecia i sindacati proclamavano uno sciopero di 24 ore...), dal conseguente indebolimento della mobilitazione, frammentata in manifestazioni regionali. Anche la mobilitazione della scuola ha risentito di questa scelte al ribasso: l'onda che da mesi pervadeva scuole e università non ha trovato nello sciopero generale, così depotenziato, un momento di crescita.
Ancora più determinante nell'affossare la protesta nella scuola è stata la decisione di non coinvolgere i lavoratori della scuola e dell'università nello sciopero dei metalmeccanici e degli altri lavoratori del pubblico impiego del 13 febbraio (scelta purtroppo condivisa, sebbene in un'ottica diametralmente opposta, settaria e autoreferenziale, anche dalle dirigenze dei sindacati di base). Mentre la classe operaia invadeva le città di Roma, le burocrazie Cgil hanno preferito evitare il rischio di saldare in un'unica grande manifestazione le avanguardie di lotta più avanzate degli ultimi mesi: le avanguardie operaie i precari della scuola e i lavoratori dei trasporti. Evidentemente per non disturbare troppo - e sperare di tornare presto al tavolo della concertazione - si è preferito indire uno sciopero dei soli lavoratori della scuola un mese dopo.
Nonostante le intenzione dei burocrati, tuttavia, lo sciopero della scuola e dell'università del 18 marzo è uno sciopero importante per cercare di rilanciare le mobilitazioni dell'autunno: occorre ripartire da qui, per far sì che anche la primavera dia del filo da torcere al governo. Tuttavia, solo saldandosi alle proteste operaie (che esplodono quotidianamente, da Modena a Padova, da Milano a Roma, con scioperi, picchetti e, in alcuni casi, occupazioni, come alla Innse di Milano) e solo con una direzione politica e sindacale che sappia tramutare le lotte in vittorie (a partire dal ritiro di tutti i provvedimenti sulla scuola e l'università) l'onda, che sta risalendo, può evitare di infrangersi di nuovo. 

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