La lotta deve continuare
L'accordo sul nuovo modello contrattuale, da una parte rappresenta il vero provvedimento anticrisi di governo e padronato in quanto stabilisce che devono essere i lavoratori a pagarne il costo e, dall'altra, ridefinisce i rapporti tra padronato e sindacato dichiarando chiusa la fase della concertazione (quella degli accordi del '93 che hanno fatto precipitare i salari italiani al livello più basso in Europa) per sancire la morte del contratto nazionale e la nascita di un modello di sindacato consociativo, asservito ai padroni, lontano dai reali bisogni dei lavoratori. A questo accordo si arriva dopo un anno di accordi separati, prima il commercio a cui sono seguiti il contratto dei dipendenti pubblici, della scuola e degli artigiani. Il testo dell’accordo si apre e si chiude con la richiesta di maggiore produttività ai lavoratori, più fatica, meno salario e meno diritti, mentre la gestione degli ammortizzatori è affidata agli enti bilaterali, garantendo per questa via la sussistenza degli apparati burocratici sindacali.
- La durata dei contratti è triennale tanto per la parte economica che normativa, con perdita secca di un anno di contrattazione (fino ad oggi la parte economica aveva durata biennale);
- L’inflazione programmata viene sostituita con un nuovo indice previsionale costruito sulla base dell’Ipca (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. Pertanto i salari non recupereranno mai l’inflazione reale - al pari, se non peggio, di quanto avveniva con l’inflazione programmata.
- Nel settore del lavoro pubblico, la definizione del calcolo delle risorse da destinare agli incrementi salariali è demandata ai Ministeri competenti, nel rispetto e nei limiti della necessaria programmazione prevista dalla legge finanziaria, assumendo l’indice Ipca, effettivamente osservato al netto dei prodotti energetici importati. Pertanto nel pubblico impiego non ci sarà più trattativa, deciderà tutto il governo. Inoltre, a differenza del settore privato, dove gli eventuali recuperi degli scostamenti verranno effettuati nell'ambito del triennio di vigenza contrattuale, nel settore pubblico avverranno oltre la scadenza del triennio.
- Nei casi di crisi del negoziato le specifiche intese possono prevedere anche l’interessamento del livello interconfederale. E' questo un modo per esautorare le categorie più combattive.
- Viene previsto un periodo di “tregua sindacale” utile per consentire il regolare svolgimento del negoziato. Sarà impossibile scioperare durante le trattative.
- Il secondo livello di contrattazione - parimenti a vigenza triennale - dove verrà effettuato sarà doppiamente subordinato al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia, competitività, andamento economico delle imprese e agli sgravi fiscali e risparmi contributivi a favore delle imprese. Quindi al di là della propaganda è prevista una stretta anche in questo ambito. Nel settore pubblico i premi e l'incentivo fiscale e contributivo, oltre che essere legato alla produttività sarà subordinato ai vincoli di finanza pubblica (il che vuol dire quasi certamente decurtazione del salario).
- A livello aziendale è inoltre possibile modificare, in tutto o in parte, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria (la cosiddetta "deroga"). Insomma si tratta di un vero colpo al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, ai diritti e alle tutele.
- Entro tre mesi saranno definite nuove regole in materia di rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva: le nuove regole possono determinare, limitatamente alla contrattazione di secondo livello nelle aziende di servizi pubblici locali, l’insieme dei sindacati, rappresentativi della maggioranza dei lavoratori, che possono proclamare gli scioperi al termine della tregua sindacale predefinita. E’ questo un duro colpo al diritto di sciopero nel pubblico impiego.
Allo stesso tempo riteniamo che di fronte alla crisi economica, che è crisi strutturale del capitalismo, occorra una risposta politica complessiva e che questa risposta non possa che partire da chi questa crisi la sta già pagando duramente. Occorre dunque un programma di lotta radicale che unifichi in un'unica vertenza i settori della classe lavoratrice e delle masse popolari e che dica chiaramente che la crisi va pagata da chi, oggi come ieri, ha sempre ottenuto benefici: le banche, le grandi imprese nazionali e multinazionali, i padroni.
* No alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria, precorritrice della mobilità!
* Stabilizzazione di tutti i lavoratori precari del pubblico e del privato!
* No alla riduzione del salario! No ai contratti di solidarietà! Le aziende devono integrare il salario comunque decurtato!
* Scala mobile dei salari e delle pensioni indicizzata mensilmente all’inflazione reale!