Contratto nel Commercio
UN ACCORDO DA SEPARATI IN CASA
di Enrico Pellegrini (*)
L’assenza della firma della Filcams Cgil sull’ultimo rinnovo del Ccnl Tds (Commercio) ha suscitato sorpresa e stupore tra gli ambienti sindacali ma, per chi vive realmente dentro le contraddizioni della categoria e ne coglie limiti e condizionamenti, tutto questo viene visto come un semplice “incidente” di percorso.
Oggi in Filcams si grida allo scandalo, al mancato rispetto della democrazia di mandato e al consapevole sfregio fatto verso milioni di lavoratori ai quali non s’è voluta prestare attenzione in seguito alla richiesta (compiuta dalla stessa Filcams) di sospendere e far ripartire le trattative riguardanti le nefandezze che Confcommercio aveva messo sul tavolo, prontamente recepite da Fisascat e da Uiltucs (Cisl e Uil).
Ad onor del vero, alla Filcams va dato atto di aver compiuto una scelta in totale controtendenza rispetto a parecchi decenni di assoluta convergenza unitaria di categoria. Ma esaminiamo bene alcuni aspetti dell’intera vicenda.
La pausa di dieci giorni non avrebbe risolto granché e, date le metodologie messe in atto negli ultimi anni per far approvare qualunque cosa (Tfr nei fondi pensione, protocollo sul Welfare ecc.), era ipotizzabile l’apertura di una discussione assolutamente formale tra piccoli gruppi di burocrazia interna e di vertice, per poi far digerire all’intera platea le proposte indecenti che sono state successivamente avvallate dalle sole due sigle categoriali di Cisl e Uil.
Altrettanto facile e comodo risulta appellarsi alla “sacralità” della democrazia sindacale: la piattaforma iniziale non aveva nemmeno ricevuto il voto dei lavoratori ma era stata presentata e accettata in maniera pressoché bulgara solamente da un’assemblea di delegati, tenutasi negli ultimi giorni del dicembre 2006. Non parliamo poi dell’esito delle votazioni dell’ultimo rinnovo in cui hanno potuto esprimersi non più di 30.000 lavoratori nelle poche assemblee organizzate attraverso una pratica democratica più che discutibile! Molto probabilmente qualcuno ritiene di servirsi della democrazia di mandato quando fa più comodo, in maniera intermittente, a seconda di particolari momenti e precisi tornaconto.
Altra grave contraddizione riguarda il senso stesso di una piattaforma che non ha mai rappresentato l’apice di una serie di richieste che arginassero le voracità delle dirette controparti. E’ proprio in questa fase che trova posto l’errore (?) strategico di chiedere la suddetta pausa per le consultazioni: ciò che restava di quella piattaforma non avrebbe sortito nulla in termini di mobilitazione e consenso, ragion per cui si dovrebbe, ora, ripartire da una serie di proposte aggiornate, molto più avanzate e non basate su impostazioni tardo-concertative del tutto arretrate e perdenti.
Non da ultimo, la questione della firma della Filcams sul rinnovo del Ccnl Distribuzione Cooperativa si rivela come un grosso elemento di debolezza e un segnale di assoluta volontà nel far passare al più presto tutta la “dolorosa” vicenda riferita all’altro tavolo.
L’accordo firmato con i membri del mondo cooperativo prevede tra le altre “belle” cose (aumento di sei mesi del periodo d’apprendistato formativo e diminuzione delle ore di riposo tra un turno e l’altro) un aumento salariale di 150 euro in quattro anni, in perfetta sintonia con quello (non) firmato con Confcommercio. Il tutto viene giustificato come semplice necessità di scelta sindacale imposta dal mercato, allo scopo di non far uscire le diverse imprese cooperative dal mercato della distribuzione.
Tralasciando il senso del ridicolo in cui, da una parte, si condannano i miseri aumenti salariali nel rinnovo con Confcommercio e dall’altra si firmano quegli stessi aumenti sotto altri comparti, appare evidente come il concetto del salario inteso come variabile dipendente dagli spazi che offre il mercato sia diventata ormai l’unica bussola valida di riferimento su cui imbastire percorsi controversi di recupero del potere d’acquisto salariale dei lavoratori.
Dietro a tale intesa però, si cela un metodo che scavalca la categoria stessa ed è questo, uno dei motivi della mancata firma della Filcams: in sostanza, con un meccanismo furbescamente proposto da Confcommercio, si finge di dare spazio ad accordi di secondo livello per poi far approvare attraverso una “clausola di garanzia” (qualora non si raggiungano soluzioni) delle aperture molto pesanti in sede normativa. E’ l’esempio delle domeniche lavorate; dice infatti il testo che, passati quattro mesi dalla firma senza alcun accordo integrativo raggiunto, le aziende potranno imporre il lavoro domenicale nei limiti del passato decreto Bersani (dodici) più il 30% di quello imposto da comuni / regioni (in pratica circa 26 in totale).
Al di là dell’ipocrita scelta di tempo dei quattro mesi (con le ferie di mezzo si arriva si e no a due, massimo tre mesi!) colpiscono le dichiarazioni di Carlo Sangalli presidente di Confcommercio il quale afferma che “finalmente si lascerà grande agibilità ad… accordi aziendali”! Affermazioni che smentiscono il vero. Accordi aziendali sono stati fatti ovunque ma qui la questione è un’ altra, ovvero, recepire già nel testo del Ccnl nazionale aperture normative assai appetibili per i moderni “signori del vapore” al solo scopo di sfruttare al meglio la loro forza lavoro mortificando, di fatto, la tanto decantata impostazione iniziale presuntamente integrativa.
Non manca nemmeno la solita demagogia preparatoria che giustifica tale innovazione: le domeniche lavorate saranno pagate a tutti i lavoratori (precari e altre figure comprese) col trenta per cento di maggiorazione salariale, attuando di fatto non un avanzamento per le suddette figure più deboli (tutelandole imponendo loro un tetto massimo com’era prima per gli altri lavoratori) ma un’uniformità generale al ribasso, coinvolgendo in questo caso chi “godeva” di questi privilegi.
Di fronte a tali episodi risulta evidente che ha pesato molto il tavolo generale di discussione sul nuovo modello contrattuale a cui sono seduti sindacati, governo e diverse controparti. Da qui, obbligatoriamente, si deve partire per rinforzare il no alla firma sul Ccnl commercio e cercare di dimostrare la pericolosità di tali scelte in una prospettiva futura.
Non basta -come dice Marinella Meschieri della Filcams nazionale- andare alla “guerra” confrontandosi sul “merito" senza insulti a Cisl e Uil, e proporre come obiettivo finale la sempreverde consultazione certificata unita ad una brevissima fase di mobilitazione generale in cui spiegare alacremente i motivi del no della Filcams anche ai “poveri” iscritti delle altre due sigle sindacali.
Occorre investire di questo gravoso impegno tutta la confederazione, spingerla a ritirarsi dal tavolo nazionale e, unificando le diverse vertenze in atto presenti anche in altre categorie (pubblico impiego in primis), costruire un fronte di lotta più ampio in grado di condurre in autunno ad un grande sciopero generale contro Governo e Confindustria, unica reale mandante di certe scellerate decisioni.
Scelte diverse,quindi, che liberino forti energie potenzialmente presenti nel mondo del lavoro e che costruiscano un percorso che inizi a dare più di qualche risposta di merito dopo i tragici quindici anni di politiche concertative in cui a guadagnare sono stati solo padroni, banche, e speculatori di ogni sorta.
Unicamente così si daranno risposte concrete non solo ai lavoratori del comparto della distribuzione, oggi messi sotto tiro, ma anche a tutti coloro che, comprendendo la minaccia reale inserita inoltre nel testo varato da Cgil Cisl e Uil sul nuovo modello contrattuale, sono pronti a dire la loro.
(*) Rete 28 Aprile Filcams Cgil