di Francesco Ricci
In gennaio, dopo il varo di una finanziaria pesantissima, Franco Giordano avvistava dal vertice dell'Unione a Caserta una "nuova fase". Grazie alla persuasione esercitata da Rifondazione sulle forze dell'Unione anche Fassino si era convinto “a far coincidere riforme ed equità”, rimettendo il governo “in sintonia con il nostro popolo.” (1)
La borghesia sa che solo grazie al sostegno delle burocrazie sindacali e del Prc è possibile sferrare un attacco contro la classe operaia che non ha eguali nella storia repubblicana, riuscendo al contempo ad ottenere un crollo delle ore di sciopero: dimezzate nel primo anno del governo di centrosinistra in raffronto con l'ultimo anno del governo di centrodestra.
I "comunisti" al governo non hanno spaventato per un solo minuto la borghesia proprio perché era chiaro che, come è sempre successo quando i partiti operai sono stati ammessi nelle stanze (o meglio nell'anticamera) del potere all'interno del sistema capitalistico, il loro ruolo sarebbe stato quello di frenare le lotte. Sul come farlo, su quali paradisi prospettare dopo questa valle di lacrime, è lasciata libertà all'immaginifica dialettica dei Russo Spena ("votiamo i dodici punti di Prodi perché non ci accontentiamo e vogliamo la luna"), delle Gagliardi, dei Migliore. Tutta gente che ha affinato il mestiere e sa vendere bottiglie di Lambrusco annacquato magnificandolo come Barolo d'annata.
La guerra sociale contro i lavoratori si combina con una guerra militare all'estero, in un rilancio in patria e al fronte degli interessi del capitalismo italiano. Nessun governo prima si è spinto tanto in là: pensioni, Tfr, aumento delle spese militari, incremento di truppe e armamenti in Afghanistan.
Lo stesso Giordano (rivolgendosi in questo caso ai padroni per far timidamente presente che devono evitare l'indigestione) si permette di ricordare che "la Confindustria con l'ultima finanziaria ha avuto tanto quanto mai era accaduto nella storia delle finanziarie." E non era che l'antipasto a cui seguiranno ben più sostanziose portate elencate nel menù in "dodici punti" con cui il governo è uscito dalla crisi parlamentare.
Ma gli argomenti che il gruppo dirigente di Rifondazione usa per convincere i militanti e la sua area politica appaiono sempre meno persuasivi per chiunque sia dotato di ragionamento. Non è credibile continuare a promettere un imminente "tempo del risarcimento", quando il governo annuncia un nuovo "tempo dei sacrifici". Non è credibile nemmeno più lo spauracchio del "ritorna Berlusconi": quando proprio grazie alle politiche dell'Unione il centrodestra si sta rafforzando sia a livello sociale sia (come certifica ogni sondaggio) a livello elettorale.
Per questo cresce il disorientamento e l'insoddisfazione si traduce nelle contestazioni alle burocrazie sindacali e a Bertinotti (definito "traditore") da parte degli operai di Mirafiori prima e dagli studenti dell'Università di Roma poi. Per questo anche la situazione interna di Rifondazione è in evidente e rapido degrado. Nonostante il rafforzamento della maggioranza bertinottiana, ora allargata all'area di Claudio Grassi e di Essere Comunisti (che alla Conferenza di Organizzazione di Carrara ha votato la mozione di Giordano, rimuovendo la battaglia "antimperialista" e "partitista" tra abbracci e commozione generale) i circoli vanno scomparendo. Il Prc è masticato e sputato dal governo, come un tempo si faceva con i pezzi di tabacco. E gli attivisti sono sempre più sostituiti da arrivisti. E' quanto ha dichiarato lo stesso Giordano a Carrara, invocando la necessità di "nuove regole" interne per contrastare fenomeni di malcostume: che in realtà sono figli della collocazione governista del partito che lo allontana dalle lotte e demolendo le ambizioni collettive di cambiamento alimenta le ambizioni personali di carriera.
Per legittimarsi come forza di governo agli occhi della borghesia, i dirigenti di Rifondazione sono costretti a ingoiare spazzatura elogiando anche lo chef: ma più vengono riconosciuti come "affidabili" dalla borghesia (la stampa elogia ogni giorno il garbo dell'azzimato presidente della Camera), più si allontanano dai lavoratori; e meno saranno in grado di controllare i lavoratori e i movimenti, meno il loro ruolo risulterà di una qualche utilità alla borghesia (che evidentemente non sa cosa farsene degli sproloqui di Bertinotti sulla "città degli uomini" o su Kant, se non servono a garantire la "pace sociale"). Questa è la contraddizione di Rifondazione e, più in generale, la maledizione di ogni forza socialdemocratica in una epoca segnata dal fallimento storico della socialdemocrazia.
Per uscire da questo vicolo cieco, Bertinotti spera nel rilancio di un nuovo e più grande partito socialdemocratico: è il "cantiere" a cui sta lavorando insieme alla sinistra Ds di Mussi e Salvi che ha rotto ieri, al congresso dei Ds, con D'Alema e Fassino avviati nella costruzione del "partito democratico".
Il nuovo partito dovrebbe poter contare su un numero di iscritti doppio di quelli attuali di Rifondazione (Mussi ha preso il 15% al congresso dei Ds, pari a circa 38 mila voti e a quasi 80 mila iscritti) ma con un insediamento sindacale nettamente superiore. Il "cantiere" dovrebbe quindi erigere un partito socialdemocratico più forte che serva da gamba sinistra di un governo liberale la cui gamba destra (nonché corpo e cervello) sarebbe il Partito Democratico. Probabilmente gli stessi residui riferimenti (peraltro solo simbolici) al "comunismo" sparirebbero o verrebbero progressivamente ridotti (come fu per il simbolo del Pci in quello del Pds). Il nuovo partito avrebbe il compito di garantire l'asservimento politico e sindacale del movimento operaio al governo dei padroni.
A questo "cantiere" anti-operaio non serve certo contrapporre né partiti leggeri con leader pesanti (3) né altri "cantieri" un po' più a sinistra, magari in nome di un ritorno a un presunto bertinottismo delle origini, come propone Turigliatto con Sinistra Critica e il suo progetto "incompatibile con la guerra". Non serve certo un "sostegno critico" o "esterno" al governo della borghesia - come ha proposto Turigliatto alla recente assemblea nazionale di Sinistra Critica- ma la crescita di una opposizione di classe, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e anche nelle istituzioni borghesi. Non un partito che occupi lo spazio liberato da Rifondazione con una socialdemocrazia più movimentista che pretende di "pungolare" (sono sempre parole di Turigliatto) il governo imperialista. Piuttosto un nuovo partito comunista, di militanti, basato sul programma del marxismo, in grado di costruire da subito le lotte necessarie a fermare l'attacco borghese e a rilanciare un progetto di reale alternativa di classe sul piano nazionale e internazionale, come parte di un costituendo partito mondiale. E' appunto il "cantiere" in cui lavora, con le sue modeste forze ma con grande tenacia, il PdAC, sezione italiana della Lega Internazionale dei Lavoratori. E' quanto stanno già facendo ogni giorno, in tante città d'Italia, centinaia di lavoratori e giovani. E' quanto proponiamo a tutti i militanti incompatibili col capitalismo e con i suoi governi e quindi incompatibili con ogni variante di socialdemocrazia.
(1) Dichiarazioni pubblicate in una intervista in prima pagina su Liberazione del 13/01/07 col titolo: "Giordano: 'cos'è stata Caserta? La rivincita del sociale'. " (2) v. Liberazione del 31/03/07 (3) Ci riferiamo al Pcl di Ferrando che si è frantumato in questi giorni nell'assemblea nazionale tenuta in gran segreto a Rimini.
Si è confermato fallimentare il tentativo di costruire un partito senza programma (sostituito da generici "quattro punti"), senza un giornale (ad eccezione di un bollettino semestrale), senza vincoli di militanza, in cui l'unica cosa certa è la centralità di Ferrando. Nonostante i proclami su "migliaia" di iscritti, i dati ufficiali (peraltro contestati dalla minoranza interna) annunciano all'assemblea 1300 iscritti. Di questi, però, 800 (ottocento) non hanno nemmeno partecipato alle assemblee locali -trattandosi evidentemente di iscritti passivi o inesistenti, secondo la migliore tradizione riformista. Dei restanti, un terzo circa ha ritenuto (a torto) che fosse legittimo in una assemblea sostenere degli emendamenti che hanno raccolto il voto unanime di regioni (Veneto, Umbria) o di intere città come Roma. Un dissenso potenzialmente maggioritario: tanto che per fermarlo il leader, dopo aver inutilmente proibito ai militanti, con una circolare di Grisolia, di votare gli emendamenti, ha infine deciso di espellere durante l'assemblea quel terzo del Pcl che non ha mostrato il dovuto rispetto per la linea indicata dalla guida suprema (pare vengano espulsi persino coloro che hanno manifestato accordo con un articolo di critica a Ferrando pubblicato su Contropiano). E' la fine di un equivoco partito virtuale, creato dai mass media.
(Fonte di queste informazioni sono il sito del Pcl di Roma www.pclroma.info e il sito www.arcipelago.org in cui si può leggere l'articolo "La piccola Kronstadt di Marco Ferrando", scritto dai "ferrandiani" di Roma).