Uno sguardo alle ultime elezioni amministrative
di Michele Rizzi
In
questa tornata di elezioni amministrative, che hanno riguardato 1274 Comuni
chiamati al voto per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali, un dato
molto evidente è stato il nuovo aumento dell’astensione, passando dal 67,42% di
votanti delle comunali scorse al 62,14 % di domenica, con picchi di astensione molto
alti a Milano, Bologna, Torino, dove c’è stato un calo di votanti attorno al
13%, dato che rivela il crescente disinteresse popolare verso le elezioni
borghesi.
Il
capo del governo, Renzi, conscio della difficoltà di queste elezioni per il Pd
e per il suo esecutivo, ha preferito dedicarsi nelle ultime settimane alla
campagna mediatica a favore del referendum costituzionale di ottobre sul quale
basa la sua sopravvivenza politica, cercando di ridimensionare mediaticamente le
sconfitte annunciate, da Roma a Napoli.
La crisi del partito democratico e le difficoltà del renzismo
Sul
fronte del Pd c’è stato un vero e proprio crollo dei consensi
da Nord a Sud.
A Milano, il Pd resta attorno al 28% ma in termini assoluti perde 25 mila
voti. A Bologna i
voti persi sono 12 mila, mentre a Torino ben
32 mila con il Pd che perde 5 punti percentuali (dal 34,5 passa al 29,8%).
A Roma il partito
di Renzi crolla totalmente passando dal 26 al 17% con una perdita di 71 mila
voti. A Napoli passa
dal 16 all’11% lasciando sul campo 28 mila voti. Il calo tocca anche gli altri
due capoluoghi di Regione dove c’erano le elezioni comunali, Trieste e Cagliari. Nel capoluogo giuliano il
Pd passa dal 23 % al 18,7%, mentre nel capoluogo sardo perde circa 5 mila voti.
In
Emilia, a Ravenna perde il 7% e a Ravenna il 4%, mentre in Toscana a Grosseto
il 9% e in Sardegna a Carbonia il 18%. A Benevento, Brindisi, Latina, Cosenza
perde in media il 7%.
In
totale il partito del presidente del Consiglio perde 210.000 voti nei 24
capoluoghi di provincia.
Si
tratta evidentemente di un partito e un governo in chiare difficoltà, in crisi
di fiducia e di consensi che difficilmente vanno a finire in direzione delle
altre forze politiche borghesi in campo, ma per lo più in direzione
dell’astensione, salvo i casi di Roma e Torino.
Dato
importante ed emblematico è che il Pd perde consensi nei quartieri popolari ed
operai delle grandi città dove aumenta l’astensione, mantenendo consensi nei quartieri
borghesi e benestanti soprattutto in virtù delle sue politiche capitaliste.
Una
difficoltà figlia di una forte crisi economica e delle misure antipopolari
messe in campo dal governo ad uso e consumo della borghesia italiana, dal Jobs
act che ha cancellato l’art. 18 e precarizzato sempre più il lavoro, ai tagli a
sanità, scuola, servizi sociali, oltre alla crescita impressionante della
disoccupazione (al di là della falsa propaganda governativa su un presunto
aumento dell’occupazione), ai favori alle banche e alle multinazionali e infine
ad un’economia stagnante.
Di
fronte a tutto questo, la propaganda renziana regge poco nonostante il 90% dei
mezzi di informazione totalmente schierati dalla parte del governo nazionale.
Il Movimento 5 stelle
I dati del primo turno ci dicono che il M5 s, al di là della propaganda grillina, ottiene un grosso successo a Roma, dove si giocherà la vittoria con grosse possibilità di riuscita e il ballottaggio a Torino, ma non sfonda nelle altre città importanti, ottenendo risultati in media attorno al 15%, finendo terzo anche dietro ad un derelitto centrodestra (tra l’altro rispetto alle politiche del 2013 il M5s perde il 4%). Sicuramente, a fronte della crisi del renzismo e della sinistra riformista, il Movimento 5 stelle appare agli occhi di molti, anche lavoratori e studenti, quale unico argine alla crisi di sistema, nonostante sia un movimento basato su un programma reale fortemente reazionario e estraneo al mondo del lavoro e alla lotta di classe. Però la tanto annunciata avanzata elettorale non si è avuta.
La crisi del centrodestra
Il centrodestra, con la spaccatura avvenuta a Roma, si giocava la leadership tra l’anziano capo di Forza Italia e il capo della Lega, Salvini. Il risultato della capitale aumenta la conflittualità interna senza però favorire una definitiva successione a Berlusconi, non essendoci stato lo sfondamento della Lega al Nord. Il blocco sociale del centrodestra regge in molti posti, non prefigurando però al momento la costruzione di una vera alternativa borghese di governo al Pd e al centrosinistra.
La sinistra riformista e centrista
Il
fronte socialdemocratico guidato da Sinistra italiana, nelle città dove non si è
coalizzata con il Pd, ottiene risultati risibili con il 4,7% di Fassina a Roma,
il 3,7% di Airaudo a Torino, fino ai picchi più negativi con Rossi a Trieste
allo 0,8% e Pandolfo a Varese con l’1,8%.
La
tanto decantata “nuova sinistra” ottiene risultati che in molti casi non le permettono
nemmeno di entrare in consiglio comunale, con buona pace di Fratoianni, ex
rifondaroli ed ex Pd. Questi dati creano una forte crisi di prospettiva che si
evidenziano anche in una confusione di linea, tra potentati locali che spingono
per una ricomposizione con il Pd e apparati nazionali che puntano a creare una "Syriza
italiana". Molto evidente è la spaccatura a Roma tra Fassina, che ha già
annunciato l’astensione per il ballottaggio e dirigenti locali di Sinistra
Italiana che invece puntano ad un appoggio al candidato renziano Giacchetti.
Stessa dinamica a Torino. Vecchi apparati politici e crisi del programma
socialdemocratico dovuto alla crisi pesantissima del capitalismo che non
permette alcuno spazio redistributivo rendono il progetto di Sinistra Italiana
fallimentare in partenza.
Il
Prc di Ferrero invece non si presenta quasi da nessuna parte con il proprio
simbolo preferendo inserire propri candidati in liste civiche con esponenti di
Sel e non ottenendo da nessuna parte eletti.
Nel
campo dell’estrema sinistra, si erano presentati in qualche città anche il Pc
stalinista di Rizzo e il Pcl di Ferrando, formazioni politiche che, al di là
delle dichiarazioni, attribuiscono alla presentazione elettorale un ruolo centrale,
subordinando spesso ad esse tutto il resto.
Il
Pc di Rizzo, dopo aver condotto una campagna elettorale spesso tinta da un
misto di toni reazionari e riformisti, ottiene lo 0,7% a Roma e lo 0,8 con
Rizzo a Torino.
Il
Pcl ottiene lo 0,4% a Milano, lo 0,08% con Prudente a Napoli, l’1% con
Lorenzoni a Bologna. Chiaramente il problema non sta nelle percentuali
irrisorie: ma nel fatto che sono state ottenute in molti casi presentando
programmi non sostanzialmente differenti da quelli delle liste riformiste (fino
ad arrivare a chiedere, come ha fatto Lorenzoni a Bologna, "più
telecamere" nei quartieri e "il sindaco di notte" per aumentare
la "sicurezza").
Il Pdac
Il
Pdac, che pure quando può utilizza le elezioni borghesi per sviluppare la
propaganda su un programma rivoluzionario, ha preferito non presentarsi a
questo turno elettorale perché si è ritenuto più opportuno in questo momento non
sottrarre energie alle lotte messe in campo in questi mesi.
In
virtù di questo e proprio partendo dalla considerazione che la crisi
capitalista aumenterà di certo nuova conflittualità sociale, saremo impegnati
ad unire le lotte, farle crescere partendo dalla necessità di rafforzare il
nostro piccolo partito, combattivo e rivoluzionario.