Morti “bianche”... come i colletti dei loro assassini
La guerra per il profitto e le sue morti
Davide Margiotta
La più
grande guerra dimenticata del mondo è quella condotta quotidianamente dai
padroni contro i proletari. Una guerra a senso unico, che ogni anno lascia sul
campo di battaglia oltre due milioni e duecentomila lavoratori (dati dell’Ilo, l’Organizzazione
Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite). In Italia i morti sono quattro
al giorno, in proporzione specialmente tra atipici ed immigrati.
Si
tratta di stime calcolate sicuramente per difetto, che non considerano le
centinaia di migliaia di lavoratori (non solo in nero) che perdono la vita per
malattie professionali che nessuno riconosce come tali. Per non parlare degli
infortuni e delle invalidità.
Il “governo amico”
Ogni
tanto questa tragica mattanza ottiene la ribalta dei media, generalmente dopo
qualche fatto particolarmente eclatante. Così quest’anno Giorgio Napolitano ha affrontato
l’argomento in occasione del Primo Maggio.
Secondo
il Presidente della Repubblica “non esistono soluzioni radicali e facili"
al problema, occorre sentirne “tutto il peso umano e sociale” ed ha ricordato
di avere cercato di assolvere, con i suoi appelli, il dovere istituzionale di
reagire. Ha infine preso atto "con soddisfazione" del disegno di
legge delega presentato al Parlamento per riordinare l'intera normativa e ha
dato atto al ministro Damiano del suo personale impegno. Insomma, giornali e
telegiornali che finalmente trattano dell’argomento, la presenza di un “governo
amico” dei lavoratori, il presidente Napolitano in persona che si fa carico del
problema: tutto lascia pensare che finalmente si affronti la cosa in modo
serio.
La montagna partorisce il topolino: la legge delega
Il
risultato di tutto questo discutere è stato il disegno di legge delega sulla
sicurezza votata in modo bipartisan dal Parlamento, con un solo voto contrario.
Diciamo
subito che il decreto si può riassumere così: ai lavoratori il fumo, ai padroni
l’arrosto.
Accanto
alle solite promesse fumose di lotta al lavoro nero (chi, come e quando la
farà, è un mistero che il decreto non svela), a nuove norme su appalti e sub-appalti (costi per la
sicurezza indicati nei bandi di gara, divieto di ribasso d'asta), e
all’assunzione di trecento (!) nuovi ispettori del lavoro, trovano posto gli
immancabili aiuti alle imprese: venti milioni di euro all’anno tra agevolazioni
e crediti di imposta per formazione e prevenzione. E qualora fossero accertate
delle precise responsabilità per la morte di un lavoratore? Sono previsti
"fino a centomila euro e fino a
3 anni di reclusione". Piuttosto che abbassare i ritmi di lavoro e
rispettare tutte le norme sulla sicurezza, verrebbe da pensare che tutto
sommato ai padroni valga la pena rischiare…la vita del lavoratore!
L’unica soluzione: il controllo dei lavoratori
Abbastanza recentemente si è
scatenato un vero putiferio intorno alle dichiarazioni sulle morti bianche del
leader disobbediente e parlamentare del Prc Francesco Caruso. Secondo Caruso, Treu
e Biagi, avendo ispirato le leggi sulla precarietà, hanno armato le mani dei
padroni (salvo poi ritrattare, dicendo di essere stato frainteso e che si sa “…io parlo un po’ così.
Certo, non ho usato un linguaggio molto garbato”). In realtà per una volta il
buon Caruso aveva ragione visto che le morti sul lavoro non sono un fatto inevitabile;
sono il prodotto di un sistema economico e di produzione, il capitalismo, che
sull’altare del profitto per pochi, sacrifica tutto: sicurezza, ambiente, fino
alla vita degli stessi lavoratori che producono la ricchezza di cui poi i
padroni godranno. Chi ha lavorato in un cantiere o in una fabbrica sa che gli
operai sono costretti a ignorare molte delle norme esistenti sulla sicurezza, ricattati
in mille modi (specialmente precari e immigrati), o semplicemente per non
mettersi in cattiva luce davanti a capi e capetti.
Nessuna legge cambierà la situazione, solo il
controllo diretto e centralizzato dei lavoratori su cosa, come e quanto
produrre può fermare la strage e limitare le vittime a quelle veramente
inevitabili (come si può morire scivolando sul pavimento di casa, ammettiamo
che sia possibile morire lavorando). È di questa opinione persino Sameera Maziadi Al-Tuwaijri,
direttrice del programma dell’Ilo per la sicurezza sul lavoro, e certamente non
una simpatizzante comunista, secondo cui “gli incidenti non sono intrinseci al
lavoro. L'esperienza dimostra che la maggior parte degli incidenti si possono
evitare”. È proprio il grado di sfruttamento cui siamo sottoposti quello che fa
morire tanti lavoratori: ritmi disumani, mancanza di misure di sicurezza per
aumentare i profitti, mansioni pericolose, lavoro nero. La storia dell’umanità
è una storia di lotte di classe.
Da
sempre intellettuali e lacchè al servizio dei potenti hanno cercato di negare
questa elementare verità. In realtà, non è possibile comprendere nulla del
mondo se non si è compreso che oggi come ieri esistono sfruttatori e sfruttati,
in perenne lotta. E’ in corso una guerra per il controllo dei beni prodotti dal
lavoro umano: un pugno di supermiliardari schiaccia sotto il proprio tallone
miliardi di proletari costretti a vendere la propria forza-lavoro per
sopravvivere, quasi sempre in condizioni tali da dover rischiare la propria
vita e la propria salute sul posto di lavoro. L’assassino ha un nome: si chiama
capitalismo. Nessun
governo sarà mai “amico dei lavoratori”, finché non sarà un governo di lavoratori.