Partito di Alternativa Comunista

Verso il 25 novembre: ancora una volta un tragico bilancio

Verso il 25 novembre: ancora una volta un tragico bilancio

 

 

 

di Celine Danti

 

Femminicidio è un vocabolo con un significato ben preciso, che lo distingue dall'omicidio in sé e per sé: si usa quando il genere femminile della vittima è causa essenziale, movente ben preciso di un crimine, nella stragrande maggioranza dei casi compiuto da uomini che le donne conoscevano, spesso all'interno di legami familiari (mariti, compagni, ex, padri) o amicali.

 

Nessuna risposta istituzionale alla violenza

Intorno alla metà di settembre di quest'anno ben 7 donne sono state uccise in una sola settimana, segno che il fenomeno della violenza di genere non accenna affatto a diminuire, nonostante se ne parli molto di più rispetto a qualche anno fa. I dati testimoniano un continuo aumento della violenza sulle donne, specialmente da quando è iniziata la pandemia da Covid-19. Lo scorso anno per le misure di isolamento sociale, assolutamente necessarie per contenere l’avanzata della pandemia, molte donne sono rimaste prigioniere in casa con i loro aguzzini: l’isolamento obbligatorio ha aumentato i maltrattamenti e ha reso molto difficile denunciare i soprusi subiti. Quest’anno da gennaio ad ottobre sono state 96 le donne uccise in Italia, 82 delle quali in ambito familiare o affettivo.
Nonostante le cifre che non accennano a diminuire, non vi è alcuna risposta istituzionale a questo fenomeno sistemico nella società borghese e capitalista perché non vi è una reale volontà di fermarlo. Ad esempio molti centri antiviolenza, fondamentali per la salvezza e la rinascita della donna, chiudono per mancanza di fondi pubblici; si stima inoltre che la percentuale delle donne che sporgono denuncia sia molto basso, circa del 12%. Questo fenomeno può essere ricondotto alla vittimizzazione secondaria: le donne che denunciano abusi, maltrattamenti, minacce o episodi di stalking spesso non vengono credute e non si dispongono misure di protezione. Inoltre nei tribunali borghesi le donne che denunciano spesso non ottengono giustizia e vedono assolti i propri aguzzini.
Il femminicidio non è causato da raptus di follia o da problemi psichiatrici dell'uomo, come tante volte i media cercano di far credere, ma è solo il capitolo finale di una serie di atti violenti a cui la donna è sottoposta, sessualmente, fisicamente, psicologicamente ed economicamente. Atti violenti che non le sono inferti solo dal proprio carnefice: noi crediamo che la violenza contro le donne in ogni sua forma sia il prodotto del sistema capitalista che utilizza il maschilismo, come altre realtà divisive, per favorire il controllo di una classe sull’altra.
Il maschilismo - e le sue conseguenze nefaste per le donne - è radicato profondamente nella nostra società di stampo capitalista, che propugna il sessismo e considera ancora la donna come angelo del focolare e subordinata per natura al maschio.
Ha destato scalpore una frase che la giornalista borghese Barbara Palombelli ha pronunciato durante una famosa trasmissione televisiva; non ci stupiamo di questo episodio perché la Palombelli non ha fatto altro che esprimere quello che la sua classe, la classe borghese, pensa davvero su questo tema, anche se ipocritamente a parole si dice contro la violenza sessista. La sua affermazione «a volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c'è stato anche un comportamento esasperante e aggressivo anche dall'altra parte» fa ribrezzo e si innesta nella narrazione tossica per cui se c'è femminicidio, maltrattamento, abuso, allora qualche colpa deve averla avuta anche la donna, che in questo modo subisce un' ulteriore violenza.
È molto facile dare la colpa alla donna, soprattutto se proletaria, perché il sistema borghese cerca in ogni modo di relegarla in casa a badare ai figli, agli anziani e alle faccende domestiche e nello stesso tempo cerca di fare di lei l’ancella del proprio partner, così da risparmiare sui servizi che dovrebbero essere garantiti dallo Stato. L'indipendenza economica è fondamentale per l'emancipazione della donna e per permetterle di lasciare un compagno violento e maltrattante. Purtroppo sappiamo che i contratti che vengono offerti alle lavoratrici sono precari o part-time e questo non favorisce la piena indipendenza della donna, che si trova quindi a dover subire il ricatto economico dell'uomo e ad avere meno risorse per lasciarlo.

 

Uniamo la classe per combattere il sistema

La violenza di genere è sistemica nel capitalismo, poiché il sistema economico sociale e culturale in cui viviamo incoraggia e alimenta il maschilismo con questa stereotipata divisione dei ruoli. È dunque solo combattendo e sconfiggendo questo sistema, la cui cifra sono l'oppressione e lo sfruttamento, che si può porre fine ad essa.
In questa lotta, non ci può essere un'alleanza con la borghesia, che porterebbe inevitabilmente ad una soluzione istituzionale. Abbiamo, in altre occasioni e in questo stesso articolo, denunciato l'atteggiamento indifferente da parte di tutti i governi, o dei politici borghesi (molti dei quali coinvolti persino in scandali di violenza e molestie) nel proteggere i diritti di donne e ragazze, atteggiamento che non può essere visto come una semplice superficialità. La loro mancanza di volontà politica e la loro connivenza hanno a che fare con il fatto che il capitalismo beneficia della violenza e dell'oppressione per dividere i lavoratori e sottometterli ancora più al servizio dello sfruttamento di tutta la classe e del super-sfruttamento di interi settori di essa, come le donne. Non vi è una prova più chiara di ciò come il fatto che anche se le donne governano la violenza aumenta.
Dall’altra parte non si può pensare ad un’emancipazione individuale come teorizzano i movimenti femministi borghesi perché le risorse a disposizione delle donne nelle diverse classi sociali non permettono soluzioni individuali di pari possibilità. Le conseguenze della ormai più che decennale crisi economica del capitalismo sono particolarmente crudeli per le donne lavoratrici perché la combinazione di oppressione e sfruttamento, che le pone già così in una situazione di disuguaglianza nella società, le trasforma nell'obiettivo preferito degli attacchi, facendo delle donne povere, delle donne di colore e delle immigrate rifugiate quelle che soffrono di più. L'attuale crisi umanitaria e le sue conseguenze per le rifugiate sono la prova inalienabile che il capitalismo decadente non risolve la disuguaglianza tra uomini e donne, ma la approfondisce.
L’unica lotta che può portare alla sconfitta di questo sistema e al miglioramento delle condizioni di vita di ogni essere umano è quella che unisce donne e uomini della classe lavoratrice, perché ogni diritto sottratto alle donne proletarie è un diritto sottratto all’intera classe lavoratrice, perché ogni atto maschilista, razzista o xenofobo compiuto da un lavoratore è un’alleanza con il padrone che lo sfrutterà ancora di più. È essenziale che l'intera classe lavoratrice, in occasione del prossimo 25 novembre, si unisca per marciare insieme alle donne proletarie per chiedere la fine della violenza, del maschilismo e dello sfruttamento capitalista, nella consapevolezza che per unificare la classe e mettere le donne sullo stesso piano nella lotta contro lo sfruttamento capitalista, tutti i lavoratori (donne e uomini) devono collocarsi in modo deciso contro il maschilismo e la violenza e marciare uniti verso un sistema che, togliendo le basi materiali di oppressione e sfruttamento, elimini definitivamente il fenomeno della violenza di genere

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