E’ LA LOTTA DI CLASSE, BELLEZZA
Gli insegnamenti della
lotta studentesca
Ddl Gelmini: facciamoglielo
rimangiare!
“I Paesi capitalisti vanno incontro a
grandi rivolgimenti e all’aperta guerra di classe.
Il compito dei rivoluzionari consiste
nel preparare le necessarie armi teoriche
e gli strumenti organizzativi per
questa inevitabile guerra che si avvicina”
Lev
Trotsky
Mentre scriviamo si conclude un’altra giornata di lotta
che ha visto protagonisti centinaia di migliaia di studenti. Dopo le oceaniche
manifestazioni del 14 dicembre, gli studenti sono scesi di nuovo in piazza per
il ritiro del Ddl Gelmini, che sancisce la morte di quel poco che ancora resta
dell’Università pubblica. Soprattutto, i giovani non si sono lasciati intimidire
dalle cariche della polizia, dagli arresti, né dalle minacce di quei ministri
che, dopo essere stati ben addestrati in gioventù all’uso del manganello e al
saluto romano, oggi gridano allo scandalo e invocano persino gli “arresti
preventivi” per i manifestanti. Il Ddl Gelmini è stato approvato, ma le lotte di
questi mesi hanno lasciato un segno che gli starnazzi dei ministri ex
picchiatori fascisti non potranno cancellare: si tratta di trarne i giusti
insegnamenti per prepararsi alla stagione di lotte operaie che, anche nel nostro
Paese come nel resto d'Europa, può aprirsi nei prossimi mesi, saldandosi alla
lotta studentesca. Una lotta studentesca che dovrà ora continuare per far
rimangiare al governo le misure appena approvate.
Una generazione
senza futuro nel capitalismo
Le centinaia di migliaia di
giovani e giovanissimi che sono scesi in piazza non sono solo studenti: si
tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di figli di lavoratori che in
questo sistema economico non vedono un futuro. La giovane generazione che ha
dato vita alle barricate per le strade di Roma, ai blocchi stradali, alle
occupazioni delle scuole e delle università, all’assalto ai palazzi è la stessa
generazione che subisce l’attacco padronale nelle fabbriche e nei luoghi di
lavoro. Sono milioni i giovani lavoratori, spesso assunti con contratti
ultraprecari, che stanno subendo l’espulsione dal mondo del lavoro. Le prime
vittime dei licenziamenti di massa in corso nel nostro Paese sono proprio i
giovani precari, soprattutto donne e immigrati: milioni di lavoratori che nel
capitalismo devono rassegnarsi a un futuro di miseria. E’ per questo che le
straordinarie lotte studentesche di questi mesi anticipano le lotte che
verranno: il sistema degli ammortizzatori sociali sta per esaurirsi, il
capitalismo sta per togliersi la maschera. Ministri, sottosegretari, padroni e
padroncini lo sanno bene: quello che è successo per le strade di Roma è solo
l’antipasto, gli antagonismi di classe sono destinati a inasprirsi nei prossimi
mesi. Le burocrazie sindacali gettano acqua sull’incendio della lotta: Cisl, Uil
e Ugl, veri agenti del governo Berlusconi tra le file dei lavoratori, si
inchinano di fronte al peggiore attacco padronale dal dopoguerra ad oggi; la
direzione della Cgil, per voce della neosegretaria Camusso, continua a
procrastinare l’indizione di uno sciopero generale, nonostante venga chiesto a
gran voce non solo dagli studenti, ma anche dalle avanguardie operaie più
combattive. Le responsabilità di queste direzioni è immensa: stanno indebolendo
la lotta, cercando di costringere la classe operaia e i giovani a una sconfitta
storica senza precedenti, come dimostra il caso Fiat. Oggi più che mai è urgente
una direzione alternativa e di classe del movimento operaio.
La via non è
quella istituzionale
Non c'è da stupirsi che il parlamento
(dei padroni) sia stato impermeabile alla grande mobilitazione
studentesca contro il Ddl Gelmini: si tratta di una legge fortemente voluta da
Confindustria e dalla grande borghesia italiana, che vede nella privatizzazione
dell’Università una ghiotta occasione di investimento. Non solo i finiani
l’hanno appoggiata pienamente, ma anche lo stesso Pd, per voce dell’ex ministro
Treu, in commissione cultura si è più volte sperticato in apprezzamenti per “la
sostanza” della legge. Del resto, le stesse rivendicazioni del movimento,
centrate sulla richiesta dello sciopero generale, mostrano che vi è tra le
avanguardie studentesche la consapevolezza della necessità di un’azione di lotta
più estesa, che coinvolga anche i lavoratori, che si sviluppi fuori e contro i
palazzi del potere borghese.
In generale, la mobilitazione ha fin
da subito mostrato una maggiore maturità politica rispetto all’Onda di due anni
fa: dopo aver sperimentato sulla propria pelle l’inganno delle promesse della
sinistra governista (che garantiva “modifiche” in sede parlamentare in cambio di
un acquietamento delle acque), i giovani hanno capito che la sola strada
percorribile è quella della contrapposizione frontale agli industriali, ai
banchieri e ai loro rappresentanti istituzionali. I luoghi attaccati dalla
protesta studentesca hanno un’importanza non solo simbolica: l’assalto al
Senato e l’assedio al Parlamento, le proteste davanti alle sedi di
Confindustria, le contestazioni alla Marcegaglia (ma anche ai burocrati
sindacali, come è successo a Roma contro Bonanni e la Camusso) ci dicono che gli
slogan degli studenti che gridano “noi la vostra crisi non la paghiamo” hanno
alla base la consapevolezza, per quanto embrionale, che questa crisi è la crisi
del sistema dei padroni.
I pompieri della lotta si apprestano
a far risorgere dalle ceneri nuove illusioni: come quella di un referendum o,
peggio, di appelli al presidente Napolitano. L’esperienza ha insegnato con
chiarezza che la via istituzionale è una via perdente per i movimenti di lotta:
le istituzioni rappresentano precisi interessi di classe, quelli della classe
contro cui i giovani e i lavoratori devono lottare, la classe padronale. E’
importante quindi che il movimento studentesco rigetti queste proposte e
prosegua sul terreno della mobilitazione.
Il
teatrino su violenza e non violenza
Ci sembra ridicolo che
qualche intellettuale da salotto gridi allo scandalo della violenza del
movimento per qualche blindato che brucia o per qualche vetrina sfasciata. E ci
pare quasi ridondante ricordare che la vera violenza sta da un’altra parte: è
quella del capitale che dopo aver spremuto fino al midollo milioni di operai li
lascia su una strada per trasferire la produzione dove la forza lavoro costa
meno; è quella dell’imperialismo che sgancia bombe su popoli inermi; è quella
dei poliziotti e degli eserciti (“le bande armate del capitale”, le definiva
efficacemente Engels) che massacrano giovani manifestanti; è quella delle leggi
razziste che fomentano l’intolleranza verso i lavoratori
immigrati.
I comunisti rivoluzionari non
hanno il culto della violenza in sé: non credono che lanciare una molotov o un
sasso contro una vetrina sia una "fonte di piacere" o uno "sfogo della libido",
come per alcuni nostalgici del Toni Negri di qualche decennio fa (il Toni Negri
odierno preferisce i salotti della borghesia). I comunisti rivoluzionari sanno
però che la violenza ha sempre avuto una funzione rivoluzionaria nella storia:
le classi dominanti non hanno mai ceduto il potere in modo indolore. E' ingenuo
pensare di "espropriare gli espropriatori" con il loro consenso, senza
rovesciare il loro sistema economico e la loro falsa democrazia. E senza
rovesciamento del capitalismo non
sarà possibile dare una risposta alle rivendicazioni dei giovani e dei
lavoratori che chiedono quello che il capitalismo non è in grado di offrire:
condizioni di vita dignitose per le masse.
Ma le lotte, se prive di una
direzione, di una organizzazione, non hanno mai portato e non possono portare a
nulla. Per questo, è necessario anzitutto organizzare già oggi l’autodifesa
delle manifestazioni e degli scioperi dalla violenza delle forze dell’ordine
borghese (violenza che è destinata a inasprirsi con l’inasprirsi del conflitto
sociale). Per questo è necessario che le mobilitazioni studentesche si dotino di coordinamenti locali che,
sulla base dell’elezioni di delegati revocabili, portino alla costruzione di un
coordinamento nazionale delle lotte. Soprattutto, è necessaria l’unità di lotta
tra lavoratori e studenti: è urgente l’indizione di un grande sciopero generale,
infrangendo la barriera che frappongono le burocrazie sindacali. Serve uno
sciopero che possa legarsi alle lotte degli altri Paesi, fino a dare vita a uno
sciopero generale europeo accompagnato dall’occupazione delle fabbriche e dalla costruzione di organismi di
direzione delle lotte, democraticamente scelti dai
lavoratori.
Solo così sarà possibile
respingere al mittente l’attacco in corso e rovesciare i rapporti di forza a
vantaggio delle masse popolari, aprendo la strada all'unica alternativa vera,
quella rivoluzionaria.