Guerra nel Caucaso: uno sporco
affare imperialista
Serve una politica
internazionalista e rivoluzionaria
di Davide
Margiotta
Il capitalismo ha riposto grandi
speranze nella conquista dei mercati dell’ex blocco sovietico per porre un freno
alla caduta del saggio di profitto. Dal crollo sovietico le potenze imperialiste
hanno attuato un progressivo accerchiamento della Russia: nell’Europa Orientale
e nell’Asia Centrale sono state installate basi militari americane e gli Stati
Uniti hanno contribuito a instaurare un governo filo-occidentale dopo l’altro
per mezzo di una serie di “rivoluzioni colorate”, sapientemente orchestrate e
finanziate dalla Cia.
La crisi tra la Georgia e le Repubbliche separatiste di Ossezia del Sud e
Abcasia ha fornito alla Russia l’occasione per porre un freno a questa avanzata
e rilanciare anzi un proprio disegno di egemonia sui Paesi una volta sotto il
suo controllo diretto o indiretto. Dopo mesi di preparativi l’8 agosto la
Georgia ha invaso la Repubblica autonoma dell’Ossezia del Sud. Le operazioni
militari georgiane e il bombardamento della capitale Tskhinvali hanno causato
almeno 1600 vittime e un numero imprecisato di profughi prima che la altrettanto
brutale reazione russa in poche ore sbaragliasse l’esercito di Tblisi,
penetrando fino a Gori e tagliando anche i collegamenti tra la Georgia e
l’Abcasia, l’altra Repubblica autonoma secessionista.
La guerra energetica
mondiale
Le risorse energetiche tradizionali
sono limitate e la produzione è già sostanzialmente insufficiente. La
possibilità di mettere le mani sulle materie prime direttamente o indirettamente
è da sempre una questione fondamentale per ogni Paese, ma in questa epoca di
crisi energetica ha assunto una importanza vitale per la borghesia. La partita
che si gioca nel Caucaso ha più a che vedere con questo problema piuttosto che
con i diritti dei popoli oppressi. Qui infatti si gioca una battaglia
fondamentale nella guerra energetica planetaria.
La russa Gazprom, insieme all’Eni, ha
varato un progetto di gasdotto (chiamato “South Stream”) che arriva direttamente
alle coste del Mediterraneo (fino a Puglia e Slovenia), e che ha incassato
l’adesione di Italia, Bulgaria e Grecia e che punta a tagliare fuori dalle rotte
energetiche i Paesi satelliti degli Usa come l’Ucraina.
Opposto a questo è il
progetto euro-atlantico denominato “Nabucco”, che viceversa mira a escludere
proprio la Russia dalle rotte che da Oriente arrivano in Europa. Il gasdotto
"Nabucco" dovrebbe passare da Turchia e Georgia. Le guerre di questi anni sono
anche sono lo specchio di questa battaglia strategica (dai Balcani, al Kosovo,
al Kurdistan fino alla Georgia) per l'approvvigionamento energetico.
In
questo contesto il presidente georgiano Saakashvili aspira a fare della Georgia
un partner strategico, grazie alla sua posizione geografica e alle relazioni
privilegiate che intrattiene con l'Azerbagian, centro produttivo e possibile
imbuto di aggiuntive forniture energetiche dall’Asia Centrale. Il punto è che i
condotti strategici che portano all’Europa passano dai territori delle
repubbliche ribelli di Abcasia e Ossezia del Sud.
La posizione dei
rivoluzionari
Come rivoluzionari siamo fieri
oppositori tanto dell’avanzata della Nato nella regione quanto delle mire
espansioniste di Putin e Medvedev. Allo stesso modo lottiamo implacabilmente
contro il governo filo-occidentale di Saakashvili in Georgia, che altro non
rappresenta se non un fantoccio nelle mani di Washington (la Georgia ha il terzo
contingente più grande di uomini in Iraq e il primo in rapporto alla sua
popolazione!). Così come i lavoratori georgiani non hanno niente da guadagnare
nel passaggio dalla dominazione Grande Russa a quella della Nato, allo stesso
modo le mire espansioniste di Putin e Medvedev non hanno nulla da offrire ai
lavoratori russi. La propaganda xenofoba di Mosca, che si nutre del sentimento
di offesa del popolo russo causato dall’avanzata della Nato nell’Europa dell’Est
e nelle ex-repubbliche sovietiche, è contraria agli interessi degli stessi
lavoratori russi, facendo credere loro che i responsabili della propria miseria
siano altri lavoratori e non la borghesia che li sfrutta e li usa come carne da
macello.
Noi non vediamo nulla di progressista
nella politica da potenza imperialista della Russia: il nazionalismo Grande
Russo non è un’alternativa progressista alla Nato. Lottiamo contro l’aggressione
georgiana e occidentale in Ossezia del Sud e Abcasia come Putin e Medvedev,
ma non al loro fianco. Anzi, contro di loro!
Per il
proletariato appellarsi alla Nato (in Georgia) o allo sciovinismo (in Russia) è
un errore fatale: entrambi vanno contro gli interessi dei lavoratori,
dividendoli e ingannandoli.
Solo i lavoratori russi possono sconfiggere il
nazionalismo Grande Russo. Anche per questo i lavoratori georgiani hanno
interesse a fraternizzare con essi e non a combatterli. D’altra parte in Georgia
solo un governo operaio e contadino sarebbe in grado di rompere con
l’imperialismo occidentale e al tempo stesso riconoscere il diritto
all’autodeterminazione e anche di secessione di Ossezia del Sud e Abcasia, se lo
desiderano. Il diritto dall’autodeterminazione per i rivoluzionari è legittimo
per ogni popolo ed è l’unica strada che può portare il proletariato dei vari
Paesi a unirsi e non a dividersi.
Per la Georgia una vera indipendenza può
essere ottenuta solo contro e non con l'appoggio
dell'imperialismo.
Questi compiti, che sono urgenti, sono immensi, e solo una
direzione internazionale delle lotte può portare il proletariato al successo e
salvare il pianeta dalla catastrofe. Ecco perché ripetiamo che oggi più che mai
è urgente la rifondazione di una Internazionale proletaria rivoluzionaria.