Partito di Alternativa Comunista

Ben scavato, vecchia talpa! Note (e polemiche) sulla rivoluzione siriana

Ben scavato, vecchia talpa!

Note (e polemiche) sulla rivoluzione siriana

 

 

di Fabiana Stefanoni e Francesco Ricci

 

 

In queste ultime settimane, la Palestina e la Siria sono al centro della politica mondiale. In entrambi i casi, si è dimostrato che non c’è apparato militare né regime sanguinario che possa fermare la determinazione dei popoli oppressi che lottano per la libertà. Quanto più grande sarà il dispiegamento di forze militari, risorse economiche, apparati di intelligence e di propaganda da parte dei tiranni, tanto più gloriosa sarà la vittoria dei popoli che resistono. È quello che è successo in Siria: non sono bastati gli aiuti militari della Russia né i tesori di palazzo per sopire le forze ribelli e, soprattutto, la volontà di riscatto delle masse siriane. La rivoluzione, apparentemente sconfitta, ha continuato a scavare come la vecchia talpa di marxiana memoria (1). Bashar Assad alla fine è fuggito, la Siria si è finalmente liberata della dittatura sanguinaria. E, presto, speriamo di poter festeggiare, oltre alla caduta di Assad, anche la definitiva cacciata dei sionisti dalla Palestina.

Per quanto riguarda le novità relative alla guerra in Palestina, rimandiamo ad altri articoli pubblicati su questo sito (2). Ci soffermeremo qui sulla Siria. Nella prima parte dell’articolo, ricostruiremo la storia della Siria, premessa necessaria per comprendere quello che sta accadendo oggi. Nella seconda parte, polemizzeremo con le letture più diffuse a sinistra, a nostro avviso profondamente errate.

Se interpretiamo correttamente la concezione materialistica di Marx ed Engels, dobbiamo anzitutto precisare che non esistono formulette per comprendere gli eventi storici. Parafrasando Engels, non si approccia la storia come se fosse un’«equazione di primo grado». Non ci sono né leggi universali e necessarie né schemi semplicistici che ci possano aiutare a inquadrare fatti di portata mondiale come quelli di queste ultime settimane. Come ci ha insegnato Lenin - al di là delle strumentalizzazioni che riformisti e opportunisti hanno cercato di fare di questa frase - dobbiamo addentrarci nell’«analisi concreta della situazione concreta».

La situazione in Siria è molto complessa e semplificarla ci porterebbe fuori strada. Cercheremo di analizzare gli ultimi eventi, segnalando quelli che sono a nostro avviso i più frequenti errori di interpretazione.

 

Una caratterizzazione della Siria

Il 27 novembre è iniziata un’offensiva che l’8 dicembre ha portato alla caduta di Damasco e quindi del regime e alla fuga di Bashar Assad in Russia.

La Siria è un Paese dipendente, come la gran parte dei Paesi della regione, Palestina inclusa. È una regione dove tutti i popoli sono storicamente oppressi, fin dai tempi dell’Impero ottomano (per limitarci agli ultimi secoli). All’indomani della prima guerra mondiale, dopo la caduta degli Ottomani, la regione è diventata oggetto delle mire dell’imperialismo - e, da un certo punto, dell’Urss stalinizzata - che hanno considerato questi territori come un bottino da spartirsi o da contendersi militarmente. È quello che continuano a fare oggi gli attuali imperialismi (e alcuni Paesi non imperialisti che però esercitano un ruolo egemone nella regione, come la Turchia e l’Iran).

Da anni la Siria è occupata da quattro eserciti stranieri: Usa, Russia, Turchia e Iran. È fortemente divisa al proprio interno su base etnica, ci sono nazionalità ed etnie differenti: da quella araba, che è quella maggioritaria, a quella curda; anche queste divise al loro interno, basta pensare alle differenze tra sunniti, sciiti, drusi, alawiti… nonché alla presenza di Daesh. Molte di queste divisioni e il fatto che i curdi rivendichino il controllo di alcuni territori è una conseguenza del modo in cui la Siria è stata divisa dopo la prima guerra mondiale: i confini sono stati disegnati a tavolino dalle potenze imperialiste.

Durante la prima guerra mondiale, la Siria ha guadagnato l’indipendenza dall’Impero ottomano, passando però sotto mandato francese. Nel 1946 è stata riconosciuta Stato indipendente, ma sotto il controllo di Gran Bretagna e Lega araba. Negli anni Cinquanta, si sono intensificati i rapporti con l’Urss stalinizzata: nel 1963 la Siria è entrata nella sfera sovietica e ha visto il consolidamento al potere del partito Baath («Partito del risorgimento arabo e socialista»), di cui ha preso la direzione la famiglia Assad, che ha poi costruito un potere familiare oppressivo, resistito fino a dicembre del 2024.

Negli anni Settanta, la Siria degli Assad ha avuto alcuni scontri con Israele, determinati dal contesto internazionale (quello della guerra fredda): Israele rappresentava (e rappresenta) gli interessi economici e geopolitici degli Usa nella regione, mentre la Siria rientrava nella sfera di influenza sovietica. La Siria degli Assad, va precisato, è anche entrata in scontro più volte con le organizzazioni palestinesi. Hafez al-Assad (padre di Bashar) invase il Libano nel 1976 per impedire che l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e il Movimento nazionale libanese cambiassero il regime del Paese. Negli anni Ottanta, la Siria ha bombardato i campi di rifugiati palestinesi in Libano (come vedremo tra un po’, non sarà l’ultimo bombardamento di campi palestinesi).

A differenza di quello che pensano molti stalinisti, la storia dagli anni Settanta è andata avanti. Negli anni Novanta, dopo la caduta dell’Urss, gli Assad hanno intavolato varie trattative con Israele, pur senza grandi risultati, e si sono schierati con gli Usa nella guerra contro l’Iraq. Dopo l’11 settembre del 2001 (attacco alle Torri gemelle), Bashar Assad, che ha ereditato il potere nel 2000, è di nuovo entrato in scontro con gli Usa.

Un passaggio fondamentale sono state le cosiddette «Primavere arabe» del 2011, quelle che noi preferiamo chiamare «rivoluzioni arabe», rivoluzioni che hanno, in pochi mesi, sconvolto gli assetti della regione.

 

Lo spartiacque delle rivoluzioni arabe

Questa ondata rivoluzionaria ha avuto inizio, per la precisione, nel dicembre del 2010, dopo un gesto estremo di un piccolo venditore ambulante in Tunisia che si era dato fuoco dopo maltrattamenti da parte della polizia. Fu la scintilla che fece scoppiare un incendio.

Iniziò un’ondata di rivoluzioni che travolsero Tunisia (a gennaio venne cacciato il capo del governo Ben Ali), Egitto (a febbraio fu rovesciato il regime di Mubarak), Libia (a ottobre venne cacciato e ucciso Gheddafi), Yemen. Ci furono proteste rivoluzionarie anche in Algeria, Giordania, Baherein, Marocco e Siria. Tutto questo all’indomani di grandi mobilitazioni in Europa, da Madrid (indignados) alla Grecia, tradite dalle direzioni riformiste: i partiti riformisti di Podemos e Syriza usarono le proteste come trampolino di lancio per politiche di governo che non misero in discussione il capitalismo… e i risultati oggi si vedono.

Come ci hanno insegnato Lenin e Trotsky, ci sono anni in cui sembra non succedere nulla, poi, nei momenti rivoluzionari, ci sono giorni che valgono anni: è quello a cui abbiamo assistito allora. Non esitammo nemmeno un istante nel definire quegli eventi come rivoluzioni, indipendentemente dalle direzioni egemoni, basandoci su quello che abbiamo appreso dai rivoluzionari del secolo scorso. Come scriveva Trotsky, «La storia della rivoluzione è per noi, innanzi tutto, la storia dell'irrompere violento delle masse sul terreno dove si decidono le loro sorti» (3).

Mancava una direzione rivoluzionaria marxista e, quindi, anche dove le rivoluzioni sono riuscite a rovesciare i regimi che parevano eterni, non hanno portato a risultati positivi: non arrivando all’esproprio della borghesia (non avendo cioè posto all’ordine del giorno la transizione al socialismo) e portando al potere altre direzioni borghesi, non hanno consolidato nessun sostanziale cambiamento per le masse oppresse.

Emblematico è il caso dell’Egitto. Piazza Tahrir, occupata giorno e notte, divenne il simbolo di queste rivoluzioni, ma l’esito politico fu catastrofico: dopo la caduta di Mubarak, presero prima il potere i Fratelli Musulmani e poi, dopo un’altra insurrezione, si insediò Al Sisi, la cui politica non è sostanzialmente diversa da quella dei suoi predecessori (basta solo pensare al caso Regeni o alla politica codarda durante la guerra di Gaza).

La Siria è stato uno dei Paesi dove la rivoluzione è stata più dura e lunga: non è riuscita subito a rovesciare la dittatura sanguinaria di Assad, e c’è anche un motivo, che vedremo tra poco.

La Lit-Quarta Internazionale ha sostenuto quelle rivoluzioni (4), lottando per la costruzione di una direzione rivoluzionaria, a partire da due presupposti: senza una direzione rivoluzionaria marxista le rivoluzioni non hanno possibilità di vincere veramente, nemmeno sul terreno dei diritti democratici (rimandiamo su questo ad altri articoli da noi scritti sul tema della rivoluzione permanente) (5); per essere credibili nella costruzione di una direzione politica alternativa è necessario sostenere attivamente le rivoluzioni, parteciparvi se possibile, evitando di fare i grilli parlanti che si limitano a dare lezioni guardando gli eventi dalla finestra.

 

Siria: un processo rivoluzionario più lungo

In Siria, il processo rivoluzionario è stato, dicevamo, più lungo e duro, con una guerra civile che è andata avanti per anni, anche per l’intervento costante di forze straniere. Non c’è da stupirsi di questo intervento: si tratta di una regione strategica dal punto di vista energetico per l’imperialismo, con petrolio, centrali idroelettriche, gas naturale.

La rivoluzione siriana è iniziata nel marzo 2011, sull’onda delle altre rivoluzioni. Un gruppo di bambini aveva scritto sul muro della scuola «Libertà» e «Il popolo vuole la caduta del regime»: vennero arrestati e torturati. Fu la scintilla che fece scoppiare un incendio. Ci furono grandi proteste di massa contro la dittatura di Assad. Si formarono vari eserciti (con defezioni dall’esercito del regime).

Le rivoluzioni non seguono gli schemini semplicistici di alcuni presunti rivoluzionari che non prendono mai posizione perché aspettano la rivoluzione perfetta (che non arriverà). Le rivoluzioni sono piene di contraddizioni e anche quella siriana lo è stata, sia per l’eterogeneità del fronte rivoluzionario, sia per la complessità delle relazioni politiche nella regione, sia per l’intervento di soggetti esterni interessati a controllare quei territori.

Nel fronte contro Assad c’erano (e continuano ad esserci) una pluralità di forze. Alcuni ribelli erano legati alla Turchia, che ha sempre cercato di approfittare della guerra civile per estendere il suo dominio sulla regione (e opprimere i curdi). Altri ribelli appartenevano a formazioni islamiste. Molti combattenti erano di orientamento democratico o anche marxista (alcuni battaglioni erano diretti perfino da militanti che si rivendicavano trotskisti). Anche i Curdi siriani (Pyd) si sono schierati contro Assad: giustamente rivendicavano il diritto a un loro Stato. Al contempo, le loro direzioni politiche hanno assunto spesso posizioni ambigue, alleandosi con gli Usa e arrivando a compromessi con lo stesso Assad.

Come in ogni processo rivoluzionario che si apra in un Paese dipendente, l’imperialismo non è rimasto a guardare: sia Stati Uniti che Francia che Gran Bretagna hanno cercato di prendere il controllo di alcuni settori di ribelli, intervenendo anche direttamente con bombardamenti. Della situazione hanno approfittato anche forze islamiste profondamente reazionarie come il Daesh (Is), che ha occupato alcuni territori.

Nel campo di Assad, invece, fin da subito abbiamo trovato, oltre ai settori dell’esercito fedeli al dittatore, anche la Russia di Putin - che ha effettuato dei bombardamenti contro i ribelli e aperto diverse basi militari in Siria - e il regime iraniano, che ha inviato delle milizie. Anche Hezbollah ha appoggiato la dittatura, inviando milizie a sostegno di Assad. Lo stesso hanno fatto alcune milizie irachene, afghane e yemenite.

Bisogna segnalare il ruolo nefasto svolto dallo stalinismo e dai suoi epigoni (Cuba e Venezuela in primis) in questo contesto: come oggi in Ucraina, Cuba e Venezuela sono al fianco di Putin, nel 2011 hanno da subito dato appoggio incondizionato ad Assad. Si sono resi complici della mancata solidarietà internazionale del movimento operaio alla rivoluzione siriana, contribuendo a rendere difficoltosa la costruzione di una direzione marxista in Siria. Analizzeremo tra poco le deliranti teorie delle organizzazioni staliniste amiche di Putin, Maduro e del regime borghese cubano.

Per un lungo periodo la rivoluzione è parsa sconfitta. Ma i fatti delle ultime settimane hanno dimostrato che non era spento il fuoco sotto la cenere.

 

Le complicità di Assad con il sionismo e la caduta del regime

Anche noi abbiamo festeggiato la caduta di Assad, insieme con tanti siriani. È il crollo di un regime che durava da 54 anni, basato su sistematica repressione, torture, omicidi di dissidenti. La ferocia senza scrupoli della dittatura ha provocato più di mezzo milioni di morti, milioni di profughi (tanti di loro morti nel Mediterraneo).

Il regime di Assad è stato anche complice del massacro del popolo palestinese. Nel 2012 ha bombardato ripetutamente il campo profughi palestinese di Yarmouk fino al suo smantellamento. Come gli altri Paesi arabi, non è intervenuto nella guerra iniziata nel 2023, preferendo mantenere accordi di non belligeranza con Israele. Non è un caso che Israele abbia deciso di distruggere solo dopo la caduta di Assad gli armamenti e le basi siriane: lo ha fatto perché non aveva più le garanzie che gli offriva precedentemente Assad. Tutto l’imperialismo, in realtà, ormai considerava Assad come un male minore, un baluardo contro il rischio di una rivoluzione popolare dagli esiti imprevedibili. E tutto l’imperialismo ora è preoccupato di quello che potrebbe succedere in Siria.

Al contempo, pur festeggiando la caduta del regime e pur considerandola un esito della rivoluzione siriana, non difendiamo l’attuale direzione politica della rivoluzione (Hts), essendo una componente settaria del fronte anti-Assad legata alla Turchia, che non ha intenzione né di rompere con l’imperialismo, né di smantellare totalmente le istituzioni del vecchio regime, né di affidare il potere alle masse popolari. L’Hts non chiede il ritiro immediato dei militari statunitensi, russi, turchi e nemmeno sta respingendo l’attacco israeliano. Non espropria i milionari che si sono arricchiti sotto il regime di Assad e ha avviato trattative con i Paesi imperialisti.

Va precisato che i ribelli filo-turchi di Hts non sono gli unici che hanno partecipato all’offensiva. Alcuni territori sono stati liberati da altri gruppi ribelli, settori dell’Esercito siriano libero o da gruppi di insorti. Le strade si sono riempite rapidamente: oggi il popolo vuole partecipare attivamente alla costruzione di un nuovo regime politico.

Non si è trattato certo di un complotto della Cia, come qualcuno vuole farci credere: l’Hts rientra tra le organizzazioni qualificate come terroriste dagli Usa. Ma è chiaro che gli Usa sono ora pronti a trattare con loro (e per questo stanno ridimensionando il sostegno ai curdi, loro storici alleati). Putin, impantanato in Ucraina, ha nei fatti, al di là dell’ospitalità a corte, scaricato Assad, preferendo trattare per il mantenimento delle basi a ovest (Mediterraneo). La Turchia si appoggia sull’Esercito nazionale siriano per attaccare i curdi. Hezbollah si sta ritirando dalla Siria, lo stesso dicasi per l’Iran.

Quello che ci hanno insegnato le rivoluzioni arabe e, in particolare, la rivoluzione siriana è che le rivoluzioni possono esplodere da un momento all’altro e hanno un potere di contagio enorme. Non esistono rivoluzioni «perfette»: persino la migliore delle rivoluzioni della storia, quella dell’Ottobre 1917, era piena di contraddizioni, basta leggere la Storia della rivoluzione russa di Trotsky per capirlo. Dobbiamo sostenere e intervenire nelle rivoluzioni, favorendo la costruzione di comitati-consigli di lavoratori e proletari e lottando per la costruzione di una direzione marxista.

Da trotskisti, pensiamo che il programma che serve nei Paesi dipendenti, come la Siria e la Palestina, sia il programma della rivoluzione permanente: nessuna conquista democratica (indipendenza nazionale inclusa) potrà essere guadagnata se non si intreccia la lotta per le rivendicazioni democratiche con quella per le rivendicazioni socialiste, se non si rovescia lo Stato borghese per sostituirlo con un governo dei lavoratori (la dittatura del proletariato).

 

Polemiche a sinistra

La quasi totalità della sinistra ha espresso un giudizio opposto al nostro. Prima di vedere che posizioni sono state espresse in queste settimane, è bene ricordare alcune cose che spiegano da dove nasca quella che è una divergenza di interessi più che di idee.

I partiti riformisti hanno sempre difficoltà a riconoscere le rivoluzioni. Le rivoluzioni, cioè la fase acuta della lotta di classe, sono per loro un orizzonte astratto che non si raggiunge mai nella realtà. Nella loro visione del mondo c'è spazio al più per una lotta di classe che resti interna al mondo capitalistico: un mondo che, al di là di qualche richiamo retorico che serve per convincere i propri militanti in buona fede, non hanno nessuna intenzione di cambiare. Ciò vale soprattutto per le direzioni riformiste che hanno una base burocratica, cioè che hanno interessi materiali all'interno di questa società, aspirazioni di entrare (o rientrare) in qualche parlamento o governo o devono tutelare piccole nicchie sindacali.

A ciò si aggiunga che la gran parte delle organizzazioni della sinistra internazionale e italiana si collocano, convintamente o «criticamente», in quello che definiscono come un «campo anti-imperialista», diretto (nella loro immaginazione) da Russia e Cina. Ignorando che il capitalismo è stato restaurato in tutti gli ex Stati operai, e che Russia e Cina sono oggi due imperialismi emergenti in lotta contro l'imperialismo predominante ma in declino degli Stati Uniti, si riferiscono a questi due Paesi (o a uno dei due) come se fossero «socialisti»: in particolare si possono leggere nelle loro pubblicazioni lunghi trattati sul «socialismo cinese».

In questo chimerico «campo» diretto da Putin e/o da Xi Jinping, includono i Paesi amici di costoro: la Cuba (capitalista) che reprime le esplosioni popolari contro il regime castrista, il Venezuela di Maduro, una delle peggiori dittature dell'America Latina, e, appunto, la Siria di Assad. Non a caso il regime anti-comunista di Assad godeva del sostegno dei due partiti «comunisti» stalinisti siriani.

Solo tenendo presente tutto ciò si può comprendere come Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista, ex ministro alla Solidarietà sociale (sic) di un governo imperialista (Prodi 2), abbia bollato il rovesciamento di Assad come diretto da «terroristi islamici» (sic) e «tagliagole» apparentati ai «nazisti ucraini» (termine con cui Ferrero indica la Resistenza ucraina all'invasione russa) (6).

Mentre la Rete dei Comunisti, l'organizzazione che dirige (in forma non dichiarata) il sindacato Usb, ed è parte di Potere al Popolo (Pap), considera «retorica» parlare di rivoluzione siriana e di «crimini inenarrabili del regime» e conclude che «l'imperialismo Usa e gli altri attori regionali reazionari ottengono in pochi giorni quello che non erano riusciti ad ottenere in anni e anni di guerre e trattative col regime precedente» (7). Regime precedente che la Rete dei Comunisti includeva tra quelli da celebrare come quello venezuelano, motivo per cui ha inviato proprio nei giorni scorsi una delegazione a Caracas a partecipare alla manifestazione «Giuro con Maduro» e al lancio della «Internazionale Antifascista» promossa dalla «Repubblica bolivariana del Venezuela» (8).

Potere al Popolo, per parte sua, descrive l'avanzata delle masse e la caduta di Assad come qualcosa che «ha lasciato alla mercé dei jihadisti le popolazioni della zona» e come una sorta di avanzata dei barbari tanto che, secondo Pap, «già si hanno notizie di donne catturate per essere vendute come schiave» (9).

Per avallare la loro tesi e renderla appetibile nel movimento che sostiene la Palestina, queste forze affermano che la caduta di Assad avrebbe fatto il gioco di Israele che avrebbe sostenuto l'Hts. Una affermazione che è smentita dal fatto che Israele ha iniziato a bombardare le strutture militari siriane solo quando Assad era già scappato in Russia, distruggendo in quasi 500 attacchi la flotta siriana e le principali infrastrutture militari proprio perché ancora non si fidava degli insorti. C'è da aggiungere poi che lo stesso Hts (prima della sua attuale evoluzione filo-occidentale) aveva espresso il proprio sostegno all'azione palestinese del 7 ottobre.

La realtà è piuttosto rovesciata: in mezzo secolo il regime siriano della famiglia Assad non ha sparato un solo colpo contro l'avamposto sionista dell'imperialismo ed è stato in Siria una garanzia di stabilità per Israele molto di più dell'attuale situazione di caos. Ricordiamo peraltro che l'Hts non è l'unico gruppo in lotta e le masse siriane armate non hanno alcuna simpatia per Israele. Aggiungiamo anche che Assad, oltre a non essere un pericoloso nemico di Israele, nel 2015, come dicevamo sopra, bombardò il campo profughi palestinese di Yarmouk ed è sempre stato un avversario nei fatti della causa palestinese. Questo spiega perché la sua caduta, presentata dalle forze fin qui citate come un «complotto sionista» o della Cia, è stata festeggiata dai palestinesi.

Riformisti e stalinisti non sono comunque i soli a sostenere certe posizioni. Alle loro stesse conclusioni arrivano anche partiti che pure definiscono giustamente il crollato regime siriano come «reazionario».

La Tir (un gruppo in cui figurano vari dirigenti del Si Cobas) ha sottoscritto una dichiarazione congiunta col Partido obrero argentino in cui si afferma che con la caduta di Assad «Non siamo di fronte a una vittoria popolare o democratica ma ad una nuova divisione della Siria che la colloca (...) nel “campo” internazionale della Nato». Sempre secondo questa dichiarazione saremmo «di fronte al tentativo di instaurare un regime filo-imperialista» e l'insurrezione siriana sarebbe solo «un episodio della guerra imperialista» (la medesima posizione che porta la Tir a essere equidistante tra l'imperialismo russo e la Resistenza ucraina) (10). Sulla stessa lunghezza d'onda troviamo anche la Frazione Trotskista (Ft) diretta dal Pts argentino (11).

L'argomento variamente articolato da queste tre organizzazioni parte dall'identificare il processo rivoluzionario siriano con la sua attuale direzione (l'Hts), per constatare che l'Hts non è certo comunista e quindi concludere che si tratta di una lotta reazionaria. A conferma ulteriore della tesi si fa notare che nello scenario interviene anche l'imperialismo.

La falsità di questo sillogismo, che prevede il riconoscimento di una rivoluzione solo laddove sia diretta fin dall'inizio da comunisti e non ci sia nessuna intromissione dell'imperialismo, si può dimostrare per assurdo. Se il ragionamento fosse corretto, non bisognerebbe sostenere neanche la lotta palestinese, considerando che al momento la componente maggioritaria della sua direzione è nelle mani di Hamas, di certo non una forza socialista. Ma si può andare oltre: se applicassimo la formula secondo cui ogni processo rivoluzionario si giudica dalla sua direzione iniziale, di fatto non ci sarebbe nella storia degli ultimi due secoli nessuna rivoluzione definibile come tale: non la Comune di Parigi (in cui i marxisti puri erano meno di cinque), non il 1905 russo (che iniziò come una marcia di supplica allo zar diretta da un prete che si rivelò poi essere al soldo dello zar), non la Resistenza italiana (diretta dagli stalinisti), non la rivoluzione spagnola, quella portoghese... ma neppure lo stesso 1917 dato che, prima di Ottobre e per poter arrivare a Ottobre, i comunisti dovettero passare per la rivoluzione di Febbraio, diretta da partiti riformisti che sostituirono inizialmente lo zar con un governo presieduto da un principe, per poi difendere la proprietà borghese arrivano anche a mettere fuorilegge Lenin e i comunisti.

La medesima linea ora descritta è sostenuta, seppure in forma più raffinata, anche dalla neonata Icr («Internazionale Comunista Rivoluzionaria»), ex Imt, di Alan Woods, rappresentata in Italia dal Pcr (già Scr). Nella loro interpretazione la cacciata di Assad sarebbe opera non di un movimento di massa, sviluppo di una rivoluzione iniziata anni fa, ma di gruppi reazionari «tacitamente appoggiati dalla Cia e dal Mossad» (12).

In verità la concezione sostenuta (con argomenti diversi) dalle tre organizzazioni citate è al contempo fatalista e opportunista. Fatalista perché non concepisce la lotta per la costruzione di una direzione rivoluzionaria alternativa come una necessità che implica la partecipazione ai processi così come si danno: chi attende rivoluzioni pure, diceva Lenin, non ne vedrà mai. Opportunista perché, dietro l'apparente «purezza» della posizione, consente di nuotare nel senso della corrente alimentata nei movimenti dai partiti riformisti e stalinisti.

Come abbiamo argomentato in altri articoli non vogliamo certo sostenere che in una rivoluzione la direzione politica sia irrilevante. Al contrario: solo una direzione coerente, armata di un programma rivoluzionario (il programma della rivoluzione permanente), può consentire una vittoria strategica e la transizione al socialismo. Ma se si crede che questa direzione nascerà limitandosi a criticare la realtà perché non corrisponde al proprio schema, si può attendere a lungo. Solo partecipando attivamente alla lotta delle masse e scontrandosi con le direzioni riformiste o borghesi attuali si può provare a cercare di costruire la direzione rivoluzionaria internazionale che manca.

 

L'intreccio con la lotta in Palestina

Non è tema centrale di questo articolo ma è utile aggiungere in conclusione qualche riga sulla tregua in Palestina perché si intreccia con la vicenda siriana e soprattutto è al centro del dibattito nel movimento di sostegno alla Resistenza palestinese (13).

Noi pensiamo che la tregua a Gaza, a prescindere da quanto durerà (proprio in queste ore le truppe israeliane hanno intensificato le aggressioni in Cisgiordania), e assodato che non è la vittoria strategica della lotta di liberazione palestinese, vada celebrata come una importante battaglia vinta a cui ha contribuito anche, indirettamente, l'insurrezione che ha rovesciato Assad. È infatti proprio perché teme l'effetto contagio della Siria (in aggiunta alle esigenze contingenti legate al suo insediamento) che Trump ha imposto al recalcitrante Netanyahu l'accettazione della tregua. L'imperialismo statunitense in particolare ha bisogno di una diminuzione del conflitto nell'area per proseguire con gli «accordi di Abramo» tra Israele e Arabia Saudita, funzionali a cercare di mantenere un'egemonia statunitense nella regione, limitando l'inserimento degli imperialismi concorrenti di Russia e Cina.

Soprattutto è importante ricordare che se c'è oggi una fragile tregua a Gaza e se Israele ha dovuto liberare centinaia di prigionieri dai suoi lager ciò è dovuto principalmente alla eroica Resistenza palestinese che ha saputo tenere testa per oltre un anno e mettere in forte difficoltà uno degli eserciti meglio armati del mondo. E l'insurrezione siriana, accrescendo l'instabilità in quei territori, favorisce la causa palestinese così come incoraggia altri popoli ad unirsi alla lotta contro l'entità sionista e i regimi reazionari filo-imperialisti.

Una conferma che le lotte di resistenza e le rivoluzioni possono avanzare e vincere. Checché ne dicano gli scettici riformisti incapaci di alzare il naso dal putrido mondo capitalista.

 

 

Note

(1) Quella della «vecchia talpa» rivoluzionaria che scava instancabilmente per poi riemergere in superficie è una metafora che Marx utilizza nel Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, adattando un verso dell'amato Shakespeare nell'Amleto (Atto I, scena 5). Anche Hegel (nelle Lezioni sulla storia della filosofia) aveva ripreso questa immagine.

(2) Si veda in particolare l'articolo di Fabio Bosco, «Cessate il fuoco a Gaza: una vittoria parziale per i palestinesi»

https://www.partitodialternativacomunista.org/politica/internazionale/cessate-il-fuoco-a-gaza-una-vittoria-parziale-per-i-palestinesi

(3) Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, volume 1 – Prefazione.

(4) Sul sito del Pdac alternativacomunista.org si possono trovare numerosi articoli sulle «primavere arabe».

(5) Sulla rivoluzione permanente ci permettiamo di rimandare a un nostro saggio divulgativo pubblicato sul numero 1 della rivista teorica del Pdac, Trotskismo oggi, scaricabile gratuitamente a questo link https://libreria.alternativacomunista.it/trotskismo-oggi/?product-page=3

(6) Si veda l'articolo di Paolo Ferrero: «Ora in Siria i “terroristi” sono nostri alleati: una ripulitura tipica dei media occidentali» https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/12/11/siria-terroristi-alleati-media-occidentali/7800546/

(7) Citiamo dalla rivista della Rete dei Comunisti, Contropiano, l'articolo di Giovanni Di Fronzo: «Siria: forze in campo e possibili scenari»  

https://contropiano.org/documenti/2025/01/13/siria-forze-in-campo-e-possibili-scenari-0179263

(8) Vedi https://contropiano.org/documenti/2025/01/13/internazionale-antifascista-il-programma-0179279

(9) La posizione di Pap è espressa nell'articolo https://poterealpopolo.org/cosa-sta-succedendo-in-siria/

(10) La dichiarazione congiunta della Tir (Tendenza internazionalista rivoluzionaria) col PO (Partido obrero di Argentina) si può leggere a questo link

https://pungolorosso.com/2025/01/04/per-il-raggruppamento-degli-internazionalisti-contro-la-guerra-imperialista-partido-obrero-tir-nar-sep-italiano-english/

(11) La Frazione Trotskista (FT), proiezione internazionale del Pts argentino, è rappresentata in Italia dal blog La Voce delle Lotte. Sulla Siria ha polemizzato con la nostra posizione nell'articolo

www.laizquierdadiario.com/La-LIT-CI-ante-la-caida-de-Al-Assad-otro-episodio-de-su-capitulacion-en-Medio-Oriente

La risposta della Lit può essere letta a questo link [2] https://www.laizquierdadiario.com/La-LIT-CI-ante-la-caida-de-Al-Assad-otro-episodio-de-su-capitulacion-en-Medio-Oriente

 (12) La posizione della Icr (ex Tmi), in Italia Pcr (ex Scr), sulla Siria è sintetizzata nell'articolo significativamente intitolato «La caduta di Assad. Gli islamisti prendono il controllo della Siria»

https://rivoluzione.red/la-caduta-di-assad-gli-islamisti-prendono-il-controllo-della-siria/

Per una critica delle posizioni generali di questa tendenza rimandiamo al nostro recente https://www.partitodialternativacomunista.org/politica/nazionale/polemica-con-scr-ora-pcr-e-altri-come-alcuni-leninisti-deformano-lenin

(13) La posizione più complessiva della Lit e del Pdac sulla tregua è argomentata nell'articolo di Fabio Bosco citato nella nota 2.

 

 

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