Partito di Alternativa Comunista

Il Venezuela e la crisi del chavismo

Il Venezuela e la crisi del chavismo
 
 
 
Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale
 
Le gravi difficoltà economiche affrontate dal Paese dopo la crisi economica mondiale sommate alla megasvalutazione del Bolivar Forte (moneta locale), oltre alle dimissioni di importanti ministri e chavisti “storici”, scioperi e manifestazioni operaie e il ritorno delle proteste studentesche, compongono l’attuale scenario politico del Venezuela.
 
chavez crisi
 
Le crisi precedenti si sono verificate nel quadro dell’ascesa del chavismo e sono state risolte attraverso sviluppi favorevoli a Chávez che gli hanno offerto l’appoggio delle masse popolari e della classe operaia. Oggi, al contrario, crescono sempre di più la disillusione e lo scetticismo dei settori poveri della popolazione, oltre alla rottura di settori della classe lavoratrice con il governo.
Perfino difensori storici di Chávez come Heinz Dieterich, ideologo del cosiddetto “socialismo del XXI secolo”, hanno preso a criticare apertamente il governo. “La politica del presidente non ha costruito alcuna istituzione che possa definirsi socialismo del XXI secolo”, dice Dieterich, che aggiunge: “Nulla di ciò che si fa in Venezuela è diverso dai mercati in Europa. I programmi sociali sono molto positivi, ma nulla di questo è socialista” (Correspondencia de Prensa, 25 marzo 2010).
Ma quali sono le ragioni che portano chavisti della prima ora a criticare e perfino a rompere con il governo? Perché aumenta la disillusione fra i lavoratori rispetto alla “rivoluzione bolivariana”? Una prima spiegazione ci è offerta dall’attuale situazione economica del paese.
 
Il Venezuela e la crisi
All’inizio della crisi economica mondiale, Chávez dichiarò che “il socialismo del XXI secolo avrebbe immunizzato il Paese”. Nulla di più lontano dalla realtà. Di tutto il Sudamerica, il Venezuela è stato il paese più colpito dalla crisi. Nel 2009, l’economia venezuelana ha registrato la caduta del 3,3%, mentre l’economia mondiale ha registrato l’1,1%. In America Latina la caduta è stata dell’1,8%.
La risposta di Chávez alla crisi non è stata molto diversa dalle politiche realizzate dagli altri governi del mondo, cioè scaricare il peso della crisi sulle spalle dei lavoratori. In gennaio, Chávez ha annunciato la megasvalutazione del Bolivar Forte per “combattere” la più alta inflazione dell’America Latina, pari a quasi il 26% nel 2009 secondo i dati ufficiali. La svalutazione ha abbattuto ancora di più i salari dei lavoratori, già colpiti dall’inflazione.
D’altronde la misura è stata accolta molto bene dai capitalisti. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) , “la svalutazione della moneta costituisce un buon provvedimento per il Venezuela”. Il presidente della Federazione industriale venezuelana ha dichiarato che “l’adeguamento del cambio protegge la maggioranza del popolo venezuelano”. La ragione per cui questi signori plaudono alla svalutazione è semplice. La megasvalutazione imposta da Chávez ha drasticamente diminuito i salari pagati ai lavoratori e ciò, pertanto, aumenterà i tassi di profitto degli imprenditori. In tal modo, le multinazionali che continuano a sfruttare il paese (come gli azionisti delle “imprese miste”, tra cui la Pdvsa, l’impresa statale venezuelana del petrolio) spenderanno solo la metà dei dollari che spendevano prima per pagare gli operai. La “eccedenza” sarà rimessa alle loro case madri fuori del Paese.
Agli effetti della crisi si aggiungono gli autentici disastri amministrativi praticati nell’economia e nell’infrastruttura del paese. Ricco di petrolio, il Venezuela dipende dall’importazione di quasi tutto, perfino di generi alimentari. La produzione di elettricità, nonostante le immense rendite del petrolio, continua ad essere una vera calamità. Benché sia uno dei maggiori produttori di energia del pianeta, fino ad oggi la distribuzione di elettricità è frequentemente interrotta da blackout.
Al contrario di quanto sostenuto da Chávez, il Venezuela non era immune dalla crisi perché il governo non aveva cambiato il regime di proprietà del Paese. Mantenendo il capitalismo, le crisi economiche approfondiscono ancora di più la miseria dei lavoratori.
 
Violenza, repressione e corruzione
Se il “socialismo del XXI secolo” di Chávez non ha immunizzato il Paese dalla crisi, neppure ha impedito l’aumento della corruzione e del degrado sociale.
La disoccupazione e il precariato (che colpiscono la metà della popolazione) provocano un’ondata di violenza nella capitale, Caracas, che è considerata attualmente la seconda più violenta delle Americhe. L’esplosione di violenza costituisce una dimostrazione del fatto che le politiche assistenzialiste non sono neanche state efficaci per dissimulare il degrado sociale.
D’altro canto, la “rivoluzione bolivariana” è stata molto gentile con i nuovi settori arricchiti. I cosiddetti “boliborghesi” (1) sono ormai i nuovi ricchi della borghesia del paese. Poiché si sono arricchiti all’ombra del governo, spesso sono coinvolti in scandali di corruzione, come nel caso di Ame Chacón, fratello di Jesse Chacón, ministro e figura storica del chavismo, che ha partecipato con Chávez alla sollevazione militare del 1992. Ame Chacón si è convertito dalla sera alla mattina in un milionario proprietario di banche ed era associato ad un altro “boliborghese”, l’imprenditore Ricardo Fernández.
È di pochi giorni fa la notizia delle dimissioni dalla vicepresidenza del Psuv del generale Alberto Millar Rojas. Intervistato su come valutasse i primi mesi del 2010, il generale ha risposto che la situazione è pessima: “tutto ciò che sta accadendo non è buono per il processo rivoluzionario. Stiamo abbandonando l’internazionalismo, caratteristica delle rivoluzioni, in cambio di un nazionalismo piccoloborghese che non rappresenta le aspettative della società”, ha sentenziato. Millar Rojas ha anche chiarito che nel Psuv esistono molti borghesi: “Sì, esistono, perché il loro tenore di vita lo dimostra” (Diario Panorama, 28 marzo 2010).
 
Repressione contro gli operai
L’esperienza col chavismo si approfondisce anche nella classe operaia. Negli ultimi due anni, i lavoratori, specialmente gli operai dell’industria, sono stati protagonisti di lotte duramente represse dal governo o da paramilitari. Vari dirigenti sono stati assassinati dalla polizia.
Nel gennaio dell’anno scorso, due operai, uno della Mitsubishi e un altro dell’impresa Macusa, fornitrice di sedili per quest’ultima, furono assassinati dalla polizia dello Stato di Anzoátegui, governato dal Psuv, in un fallito tentativo di sgombero dell’impresa giapponese occupata dagli operai in sciopero.
Oggi gli operai della Mitsubishi sono in lotta contro più di 200 licenziamenti effettuati dalla fabbrica con l’avallo del ministero del lavoro. La maggioranza assoluta dei licenziati è composta da attivisti legati al sindacato o da operai con malattie professionali. Nel settembre dello scorso anno sono stati licenziati più di 150 operai e solo nelle ultime due settimane ne sono stati cacciati altri 49.
Si stima che attualmente, in tutto il Paese, quasi 2400 attivisti del movimento operaio, popolare e studentesco, siano penalmente perseguiti e sottoposti a giudizio. Alcuni sono stati già condannati, come Rubén Gonzalo, dirigente sindacale della Ferrominera Orinoco (impresa ferroviaria legata al complesso industriale della Cvg - Corporazione Venezuelana della Guayana), che è agli arresti domiciliari dall’anno scorso per aver diretto uno sciopero proclamato per migliori condizioni di lavoro e sanitarie e per un aumento di stipendio.
 
La politica dell’opposizione borghese
L’imperialismo e l’opposizione di destra, al contrario di quanto afferma la sinistra chavista, non stanno preparando un golpe militare contro il governo. Scommettono invece sul discredito di Chávez nelle elezioni legislative di settembre.
La reazione del governo di fronte alla crisi rafforza soltanto la destra. Chávez ha un atteggiamento sempre più autoritario, imprigiona rappresentanti e candidati della destra. Con la sinistra chavista che capitola di fronte al governo, l’opposizione di destra capitalizza la crisi venezuelana. Il movimento studentesco, che è sceso in piazza per scontrarsi contro l’autoritarismo di Chávez, è diretto da correnti di destra.
 
Una soluzione indipendente
Lo scontro di settori della classe operaia con il governo potrà aumentare. Chávez cerca di scaricare la crisi sulla classe lavoratrice, diminuendo il salario, l’impiego e attaccando le condizioni di lavoro.
Più di un decennio di regime chavista non ha portato alcun cambiamento strutturale nel Paese e neppure porterà quest’ultimo verso una “transizione al socialismo del XXI secolo”. Per questo, l’unica soluzione per i lavoratori venezuelani è la costruzione di un’alternativa operaia, indipendente dai padroni e dal nazionalismo borghese di Chávez.
 
________________
(1) Esponenti della c.d. “borghesia bolivariana”.
 
 
(traduzione di Valerio Torre dall'originale in spagnolo)
 
 

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