Partito di Alternativa Comunista

Kosovo: una falsa indipendenza

 

Kosovo: una falsa indipendenza

SERVE UNA PROSPETTIVA SOCIALISTA

 

 

di Alberto Madoglio

 

Il voto con il quale lo scorso 17 febbraio il parlamento del Kosovo ha proclamato unilateralmente l’indipendenza del Paese dalla Serbia, lungi dal rappresentare un atto volto a rispondere alle legittime aspirazioni della popolazione, per il modo e la forma in cui è avvenuto, facilita solo le mire destabilizzanti dell'imperialismo sui Balcani.

La volontà di indipendenza della popolazione kosovara data da parecchio tempo e ha trovato ulteriori elementi di giustificazione negli ultimi decenni, a partire da quando, alla fine degli anni Ottanta, in una Jugoslavia prossima ormai alla disgregazione, la burocrazia restaurazionista serba aumentava l'oppressione nei confronti dei kosovari, della loro cultura e lingua, delle loro condizioni di vita. Tuttavia, quanto deciso lo scorso mese è in realtà l'accettazione di uno status permanente di colonia al servizio delle maggiori potenze imperialiste mondiali (Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia).
Alcuni fatti ne sono la palese dimostrazione: impossibilità di avere un seggio all'Onu, assenza di un ministero della Difesa e degli Esteri, di un vero e proprio esercito, accettazione della presenza di truppe straniere sul proprio territorio e di una missione capeggiata dall'Unione Europea, chiamata Eulex, formata da poliziotti, giudici e funzionari civili che avranno la possibilità di rendere nullo ogni atto, legge, sentenza giuridica del parlamento, dell'Esecutivo e della magistratura kosovari. La stessa impossibilità di scegliere il nuovo vessillo nazionale prova che nemmeno su questioni simboliche al Paese è consentito manifestare la propria volontà.
La responsabilità di questo stato di cose ricade principalmente sugli attuali leader politici del Paese (Thaci, capo del governo, e Seidju, capo di Stato) che, nell'ultima fase della lotta contro l'oppressione serba, quando erano i capi della guerriglia dell'Uck, capitolarono senza combattere davanti alle potenze imperialiste, appoggiando la guerra mossa nel 1999 al regime di Milosevic.
Se aggiungiamo che nelle aree a maggioranza serba (tutta la zona a nord del fiume Ibar e varie enclavi sparse nel Paese) l'autorità del nuovo governo è pari a zero, il futuro per i dirigenti di Pristina non si presenta certamente roseo.
Come si diceva poco sopra la situazione nei Balcani rischia di precipitare in una nuova stagione di conflitti. A Belgrado ci sono state manifestazioni violente contro la dichiarazione di indipendenza del Paese, vissuta come un'umiliazione inaccettabile.
Per i serbi il Kosovo è la culla della loro identità nazionale (che loro fanno risalire addirittura ad una battaglia combattuta nel 1389 contro i turchi, ma che all'epoca non poteva certo rappresentare un tentativo di difesa dell'idea di nazione, concetto che nasce nell'800, con l'affermarsi del modo di produzione capitalistico) e religiosa (essi aggiungono a Kosovo la denominazione Methoia, cioè Terra dei monasteri): è sui temi di sangue e religione che le classi dominanti di Belgrado stanno oggi soffiando, anche per distrarre l'attenzione da una situazione economica devastante, per cui il 30% della popolazione è disoccupato e chi ha un impiego guadagna in media dai 300 ai 400 euro al mese. Meraviglie della restaurazione capitalista! (avviata negli anni Ottanta da Milosevic e dalla burocrazia titoista che cercava di riciclarsi nel capitalismo, diventando la nuova borghesia del Paese).
Ma in Serbia si gioca anche la partita tra chi, pur rifiutando la scelta indipendentista di Pristina, vuole accelerare il processo di integrazione del Paese nell'Unione Europea, ed è il caso delle formazioni politiche che sostengono il neo Presidente Tadic, e le forze che invece sono più attente ai richiami di una solidarietà panslava rappresentate dall'ex premier Kostunica, che vedono nella Russia di Putin e Medvedev l'alleato principale.
Le elezioni politiche convocate a maggio diranno quale delle due frazioni dei gruppi dirigenti prevarrà sull'altra.
Spinte secessioniste potrebbero nascere anche in Montenegro, Macedonia e Bosnia (dove serbi e croati potrebbero essere spinti a chiedere l'unione con la rispettiva madre patria): la polveriera al di là dell'Adriatico potrebbe così riesplodere da un momento all'altro.
Per ciò che riguarda le potenze imperialiste, Usa e Unione Europea da un lato, e Russia dall'altro, sembrano essere vincitori e vinti in questa partita.
Gli statunitensi riescono a mantenere una presenza importante in un'area strategica in Europa, anche se questo loro successo non riesce a mitigare le sconfitte che stanno subendo in zone per loro ben più determinanti come Iraq, Afganistan e Palestina.
I Paesi europei si sono divisi nel riconoscere il nuovo Stato e anche chi lo ha fatto si è premurato di dire che si è trattato di un'eccezione irripetibile: francesi e inglesi si guardano bene dal riconoscere il diritto all'autodeterminazione per corsi e scozzesi, e vogliono mantenere una presenza coloniale in Irlanda del Nord, Malvinas, Nuova Caledonia e Paesi dell'area dei Caraibi. La Spagna non ha riconosciuto il nuovo Stato, nel timore che l'esempio possa essere seguito da baschi e catalani.
La Russia al momento ha dovuto subire un duro colpo alle sue ambizioni. Un alto diplomatico è arrivato addirritura a minacciare il ricorso alla forza armata per riportare sotto sovranità serba la repubblica ribelle. Si tratta al momento solo di una minaccia con poche, per non dire nessuna, possibilità di essere attuata, ma che indica lo stato di forte preoccupazione che pervade gli inquilini del Cremlino. Umiliati nei Balcani (anche se stanno creando un protettorato nel Montenegro, dove forse riusciranno ad installare una base navale per la loro marina), sicuramente saranno più determinati a difendere i loro interessi in altre zone. L'avamposto statunitense nel Caucaso, la Georgia, rischia di essere il più esposto alla reazione di Mosca: le due autoproclamate repubbliche di Abkhazia e Ossetia del Sud, potrebbero essere riconosciute da Mosca, mettendo in serio pericolo il governo filo Usa di Tiblisi. Stesso discorso vale per la repubblica di Transnistria, al confine tra Moldavia e Ucraina (altro alleato statunitense). Così come un altro focolaio di tensione si avrà se Washington continuerà nel progetto di installazione di uno scudo missilistico (formalmente in funzione anti iraniana, ma nella verità per minacciare la Russia) in Polonia e Repubblica Ceca.
Per concludere, come nel secolo scorso, le varie potenze mondiali intervengono nei Balcani per tutelare e rafforzare le loro mire di dominio mondiale, senza alcun riguardo per le popolazioni locali o le loro legittime aspirazioni all'autodeterminazione.
Commette perciò un grave errore chi, vedendo gli Usa e i maggiori Paesi europei sostenere il governo di Pristina, si schiera al fianco di Mosca e Pechino, immaginandoli paladini di un fantomatico schieramento antimperialista.
Il diritto all'autodeterminazione della popolazione kosovaro rimane storicamente e politicamente giustificato. Ma una vera e piena indipendenza potrà essere ottenuta solo contro e non con l'appoggio dell'imperialismo, solo lottando contro un sistema sociale, il capitalismo, che da quando è tornato a dominare in quell'area ha causato morte, distruzioni, e il risorgere di un brutale odio interetnico. Solo nella lotta per la creazione di una Federazione Socialista dei Balcani si potrà avere la piena garanzia che le varie etnie presenti in quella regione possano vivere in modo pacifico e fraterno fra loro
E' indubbiamente una strada in salita, soprattutto perché manca oggi una direzione politica che agisca coerentemente per questo obiettivo, cioè partiti comunisti rivoluzionari in quei Paesi: ma è l'unica via percorribile e per cui è impegnato il PdAC in Italia e la Lit a livello internazionale.

 

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