Partito di Alternativa Comunista

L'«Asse della Resistenza» sosterrà i palestinesi?

L'«Asse della Resistenza» sosterrà i palestinesi?

 

 

di Florence Oppen

 

 

 

Nel libro The Hundred Years' War on Palestine (2020) lo storico palestinese Rashid Khalidi ha sostenuto che la nuova ondata del movimento di liberazione deve trarre alcune lezioni dagli ultimi decenni di lotta: «Né l'affidamento alla mediazione degli Stati Uniti nei negoziati infruttuosi dell'era Abbas né una strategia nominale di resistenza armata hanno fatto avanzare gli obiettivi nazionali palestinesi negli ultimi decenni. Né i palestinesi possono aspettarsi molto da regimi arabi come quelli di Egitto e Giordania, che oggi non lesinano di firmare accordi importanti con Israele, o dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, che hanno acquistato armi e sistemi di sicurezza israeliani grazie a tagli statunitensi che ne mascherano solo in minima parte l'origine».
Al di là dell'abbandono di una reale solidarietà con i palestinesi da parte di questi regimi borghesi regionali, le masse palestinesi fanno spesso riferimento all'«Asse della Resistenza» come alleato strategico. Questa formula si riferisce a una costellazione di varie forze politiche: la dittatura teocratica sciita dell'Iran, la milizia di Hezbollah con sede nel sud del Libano, le milizie zaydi-sciite Houthi nello Yemen e, in misura minore, le milizie sostenute dall'Iran che operano in Iraq e Siria. Vediamo come stanno le cose.

 

Le parole e i fatti

Nonostante le numerose dichiarazioni del regime iraniano sul suo desiderio di schiacciare Israele e vendicare il popolo palestinese, il confronto militare diretto è stato scarso o nullo. Finora, tutti gli scontri militari sono stati indiretti e secondari. Sebbene queste azioni abbiano fatto emergere la necessità di una solidarietà militare regionale, nessuna è riuscita a dissuadere l'escalation e le azioni genocide di Israele. Dobbiamo analizzare i reali ostacoli che impediscono a queste forze di impegnarsi in un conflitto diretto con Israele e definire qual è la reale alternativa.
Le potenze imperialiste occidentali tentano di screditare e delegittimare le forze di resistenza palestinesi riducendole, nelle loro dichiarazioni, a semplici fantocci dell'Iran. Lo fanno per tentare di presentare il loro coinvolgimento nel genocidio in corso come un conflitto tra regimi liberaldemocratici (Israele) e autocratici (diretti dall'Iran), nascondendo così i propri interessi geopolitici nel sostenere lo Stato sionista. Allo stesso modo, i sostenitori acritici dell'Asse celebrano l'Iran come un centro di resistenza antisionista disinteressato. Questa visione oscura gli interessi regionali dell'Iran e dei suoi sostenitori imperialisti nella regione, il che spiega in ultima analisi la loro inazione.
Dall'inizio della nuova guerra a Gaza, lo scorso ottobre, l'Iran ha cercato di evitare con ogni mezzo un'escalation militare, intensificando al contempo un'offensiva puramente retorica contro Israele, che però alimenta sempre più la pericolosa narrazione di uno scontro di civiltà e religioso. Nel novembre 2023, Khamenei, leader iraniano, ha detto ad Hamas: «Non ci avete avvertito del vostro attacco del 7 ottobre contro Israele, e noi non entreremo in guerra a vostro nome». Questo è stato evidente nella risposta iraniana molto contenuta all'attacco di Israele al suo consolato a Damasco in aprile.
Sono diversi i fattori che trattengono l'Iran da un confronto diretto con Israele e gli Stati Uniti: le crescenti relazioni con potenze imperialiste come la Russia e la Cina, le speranze di una sorta di distensione con gli Stati Uniti e i tentativi dell'Iran stesso di conquistare una sfera di influenza nella regione.

 

Il ruolo della Russia e della Cina

L'imperialismo russo attualmente si barcamena in merito alla sua posizione nel conflitto sostenendo verbalmente la soluzione dei due Stati, ma appoggiando indirettamente Israele attraverso la vendita di petrolio e considerando normale la presenza dell'entità sionista nella regione. La guerra in Ucraina ha rafforzato la partnership dell'Iran con la Russia, che fornisce sostegno militare a quest’ultima in cambio di tecnologia militare avanzata. Putin mira quindi a evitare che l'Iran si impegni in una guerra che possa prosciugare le risorse in Medio Oriente ostacolando così i suoi sforzi bellici.
L'obiettivo principale della Cina in Medio Oriente è quello di difendere i propri interessi economici, soprattutto in campo energetico e commerciale. A tal fine, cerca di mantenere buone relazioni con tutte le componenti della regione, compresi Iran, Israele e Stati arabi. I crescenti legami economici della Cina con Iran e Israele scoraggiano lo scontro militare diretto tra le due nazioni.
Sebbene la Cina abbia espresso il proprio sostegno alla «soluzione dei due Stati» in Palestina, il suo obiettivo principale rimane la stabilità economica e la prevenzione di qualsiasi escalation che possa turbare i suoi interessi commerciali. Usa l'arma diplomatica per mostrare un sostegno ambiguo alla Resistenza palestinese, mentre fa pressione sull'Iran, con cui ha firmato un accordo di cooperazione economica nel 2021, affinché non entri in guerra diretta con Israele. L'obiettivo dell'imperialismo cinese non è la liberazione della Palestina ma, soprattutto, l'espansione della propria influenza nella regione e la sfida al dominio statunitense.

 

Chi sono gli alleati della Resistenza?

Ogni speranza di un pieno sostegno alla resistenza palestinese non risiede nell'appello ai regimi reazionari, nonostante la loro occasionale retorica «progressista», o alle loro milizie, ma nello sviluppo di un'insurrezione popolare di massa nella regione.
Le ondate successive della «primavera araba» - in Tunisia, Egitto, Libia, Siria e Yemen nel 2011, e successivamente in Algeria, Sudan e Iran - hanno mostrato il potere che i movimenti di massa possono avere, e anche l'urgente necessità di una direzione politica che allinei rivendicazioni e strategia. Sono queste le forze combinate che meglio possono affrontare la politica di capitolazione degli attuali governi della regione nei confronti di Israele e scendere in piazza a combattere per la loro causa.Il movimento di liberazione palestinese ha molto da guadagnare se rifiuta di subordinare il sostegno alle lotte di massa nella regione al mantenimento di alleanze politiche con le classi dirigenti della regione e i loro regimi. Questi regimi affamano e opprimono il loro stesso popolo e i palestinesi all'interno dei loro confini. Come spiega Joseph Daher, attivista socialista svizzero-siriano: «Gli operai e i contadini [che hanno partecipato alla Primavera araba] ricordano la lotta dei loro antenati contro il colonialismo, si scontrano con le potenze imperialiste che sostengono i regimi che li opprimono, si identificano con la lotta dei palestinesi e quindi vedono la propria battaglia per la democrazia e l'uguaglianza come legata alla loro vittoria. Esiste quindi una relazione dialettica tra le lotte: quando i palestinesi lottano, si attiva il movimento regionale per la liberazione, e il movimento regionale alimenta il movimento nella Palestina occupata».
la nascita in Medio Oriente di un movimento di massa multietnico, in gran parte composto da proletari e contadini poveri, creerebbe le condizioni per la liberazione della Palestina. Accanto alla lotta del popolo palestinese, unita a quella delle masse della regione, i lavoratori e i giovani americani sono una terza componente della battaglia per una Palestina libera. Le proteste diffuse contro la complicità degli Stati Uniti nel genocidio devono unirsi in mobilitazioni antimperialiste di massa coordinate, con richieste chiare e una strategia efficace.
Porre fine al genocidio israeliano a Gaza! Per una Palestina libera, democratica e laica! Per una federazione socialista del Medio Oriente!

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