Partito di Alternativa Comunista

La crisi greca e l

La crisi greca e l'Unione Europea 

 

di Felipe Alegría (*)

 

L'abbassamento del rating internazionale del debito pubblico greco lo scorso mese di dicembre è stato il segnale per lo scatenarsi di una grande onda speculativa che lasciato la Grecia in stato di choc e ha seminato il panico in seno all'unione europea (Ue). Il problema era che la Grecia doveva rifinanziare 53 miliardi di euro di debito nel 2010, ma che non poteva più farlo e si preparava a sospendere i pagamenti.

All'inizio del 2009 fu l'Irlanda ad essere sul punto di andare in "default" benché si sia infine riusciti ad evitarlo. Adesso è giunto il turno della Grecia, ma questa volta non è stato più possibile contenere la crisi ed il "salvataggio" si è reso inevitabile. La Grecia ha aperto così, undici anni dopo la nascita dell'euro, la prima grande crisi dell'eurozona, trasformandosi nella punta di lancio della profonda crisi che colpisce l'Ue.
La Grecia vive il tormentato finale di una tappa di crescita fondata su un enorme indebitamento pubblico e privato e sulle sovvenzioni europee. Una tappa di cui i grandi beneficiari sono stati le banche tedesche, francesi ed inglesi, che hanno finanziato l'indebitamento, e le grandi multinazionali tedesche (e francesi) che si sono appropriate del mercato greco, a costo di creare un enorme deficit commerciale (superiore al 10% del suo Pil). Sono state queste imprese quelle che si sono impadronite dello sviluppo della rete telefonica ed energetica del paese o hanno monopolizzato il rinnovamento delle flotte di taxi e tram greci, ricorrendo a corruzione generalizzata, come nel caso della tedesca Siemens. In questo periodo, l'economia greca è stata fortemente denazionalizzata, con la compagnia telefonica Ote controllata da Deutsche Telecom, le linee aeree nazionali privatizzate e perfino i porti venduti all'impresa cinese Cosco. Le banche e i grandi imprenditori greci si sono aggregati con entusiasmo a una festa che ha aggravato la diseguaglianza sociale in uno degli Stati europei dov'era già accentuata (80 grandi armatori possiedono un patrimonio equivalente a tutto il Pil greco).
Ma con lo scoppio della crisi finanziaria mondiale tutto è crollato, lasciando il paese inerme di fronte al capitale finanziario europeo, mentre i pilastri dell'economia greca - il turismo, l'industria navale e le costruzioni - entravano in una profonda depressione e le banche greche (il cui debito veniva retrocesso dalle agenzie di rating alla categoria di "titoli spazzatura") apparivano inoltre, coinvolti in affari dei paesi dell'Est, sull'orlo della bancarotta.
La Grecia si trova scaraventata in una profonda recessione. Nel 2009, il Pil è retrocesso del 2% ed è scivolata in un deficit pubblico del 12,8%, che ha portato il debito pubblico greco fino al 115% del Pil (per quest'anno si prevede il 125%). Il pagamento degli interessi rappresenta il 15% delle entrate pubbliche. Il 60% di questo debito è nelle mani di banche tedesche, francesi e inglesi, che sono creditrici di un debito totale doppio rispetto al Pil greco. La disoccupazione ufficiale è al 10% e avanza a passi da gigante.

 

La reazione dell'Ue

La crisi greca ha posto l'Ue in una situazione limite. Quando l'Ungheria, la Romania o la Lettonia (che sono membri dell'Ue ma non della zona euro) erano sul punto di sospendere i pagamenti, l'Ue affidò il "salvataggio" al Fondo Monetario Internazionale (Fmi), con cui l'Ue lavora d'intesa in "piani di adeguamento" che stanno portando la devastazione in questi paesi. Ma la Grecia è un paese dell'eurozona e la delega del "salvataggio" al Fmi rappresenterebbe non solo un'enorme discredito dell'Ue, ma soprattutto l'intromissione degli Usa (attraverso il Fmi) nel controllo della Banca Centrale Europea (Bce) e delle finanze pubbliche europee. Il capitalismo tedesco (le cui banche sono quelle principalmente minacciate dal "default" greco) sa che è obbligato ad intervenire e che inoltre deve farlo violando le norme che esso stesso ha imposto, norme che proibiscono agli stati dell'Ue e alla Bce di "salvare" un paese membro in fallimento, se non per cause di "disastri naturali o circostanze che sfuggano al controllo degli Stati". Ma ha imposto condizioni draconiane per gli "aiuti": verranno concessi solo se la Grecia rispetterà un programma brutale di aggiustamento imposto dall'Ue, a cui dovrà consegnare il controllo della propria economia. Viene sottolineato lo scandalo mediatico montato per la falsificazione dei conti greci (orchestrata dalla banca nordamericana Goldman Sachs, in cambio del rimborso di 300 milioni di euro), mentre tutti erano perfettamente a conoscenza dei fatti e molti paesi, compresi Germania e Francia, hanno fatto ricorso alla "contabilità creativa" al momento dell'accesso all'euro.

 

Il piano d'urto greco

Il governo "socialista" di George Papandreu, che solo un paio di mesi fa prometteva di aumentare il salario ai funzionari pubblici che guadagnavano meno, si è convertito adesso nel viceré del capitalismo tedesco e francese. Il programma d'urto imposto dall'Ue e adottato dal governo greco rappresenta un impoverimento brutale del paese e provocherà il crollo dell'economia greca in una profonda depressione.
La chiave del piano sta nel taglio di 4 punti del deficit pubblico greco nel 2010, per giungere ad un deficit del 2,8% del 2012. Per ottenerlo, il governo si propone di ridurre il salario degli impiegati pubblici fra il 5 e il 20%, ancor di più nel caso degli insegnanti e dei professori. Inoltre, prevede una riduzione della pianta organica attraverso la sostituzione di due soli impiegati pubblici per ogni dieci che andranno in pensione. Per apprezzare la dimensione del provvedimento bisogna tener conto del fatto che gli impiegati pubblici rappresentano il 20% della popolazione salariata greca.
Il governo prevede anche un aumento dell'età media pensionabile dagli attuali 60 anni a 63 e per le donne dai 60 ai 65. Sono previsti ancora una fortissima riduzione dei sussidi sociali e tagli brutali dei finanziamenti agli ospedali pubblici. Gli investimenti pubblici sono stati mutilati e viene ridotta anche la spesa militare. Nel piano è previsto un forte aumento di imposte (casa, carburanti, tabacco, alcool, un incremento generale dell'imposta sul reddito e l'aumento dell'Iva dal 19 al 20%), mentre si preparano un condono fiscale e riduzioni di imposte alle imprese. I provvedimenti si completano con la privatizzazione di ciò che ancora resta privatizzabile del patrimonio pubblico greco.
Il tedesco Jürgen Stark, economista capo della Bce, lo ha espresso brutalmente: "Questo è il minimo assoluto che deve essere messo in pratica immediatamente e saranno necessari altri provvedimenti alla luce del significativo deterioramento della situazione".
Alla Grecia è stato imposto un ultimatum: o accetti le nostre condizioni di "salvataggio" o ti espelliamo dall'euro. Il "piano di adeguamento" dell'Ue significa devastare il paese e dissanguarlo a beneficio del capitale finanziario. La sua uscita dall'euro, nel quadro del riconoscimento del debito e del capitalismo, significherebbe giungere comunque alla stessa rovina, solo in un modo più brusco, alla maniera argentina: attraverso un'enorme svalutazione, un debito aumentato dalla stessa svalutazione, la sospensione dei pagamenti, l'impoverimento repentino del paese, un accelerato arretramento economico e una grande inflazione importata.

 

Convertono la Grecia in un protettorato

La crisi greca ha mostrato crudamente che nell'Ue comandano solo la Germania e la Francia, che essa è, innanzitutto, uno strumento del capitale finanziario tedesco e francese e che ciò ha convertito la Grecia in un protettorato economico, in cui tutte le misure economiche sono imposte e controllate dall'esterno dalle due principali potenze europee. Questo assoggettamento di un popolo orgoglioso come quello greco è giunto fin all'umiliazione quando lo stesso giorno in cui Papandreu si incontrava con il francese Sarkozy e metteva in scena il proprio vassallaggio, è stato annunciato l'acquisto da parte della Grecia di 20 aerei Eurofighter dalla Germania e 6 fregate dalla Francia.
Ma il vassallaggio della Grecia non è casuale. Lungi dall'essere un caso isolato, segna il cammino alla periferia dell'Ue. In realtà, la "governabilità economica europea" di cui parlano non è altro che questo.

 

La crisi dell'Ue

La Ue ha un problema di fondo insolubile, quello, a differenza degli Usa, di non essere (e non lo sarà mai) uno Stato unico, con un governo e un bilancio unici e regole comuni. Al contrario, è un blocco imperialista di Stati, dominati dai suoi due imperialismi centrali, Germania e Francia (fra sé rivali), in cui si raggruppano imperialismi di seconda e terza linea, insieme a paesi, come quelli dell'Est, che sono un semicolonia economica delle grandi potenze europee, in particolare della Germania.
La creazione della Unione Monetaria Europea non si è verificata sulla base di uno Stato unificato, ma sulla consacrazione del dominio finanziario diretto del capitalismo franco‑tedesco, attraverso la Bce, su un insieme di paesi tremendamente differenti, che hanno rinunciato ad emettere moneta e a tenere una politica monetaria propria. Ciò ha permesso una poderosa espansione e il rafforzamento del capitalismo tedesco e francese, i quali hanno utilizzato l'epoca delle "vacche grasse" per estendere e consolidare il loro dominio commerciale e industriale sul mercato europeo. Ma adesso, con la crisi, si invertono le parti e gli enormi fondi prestati dalle banche tedesche e francesi sono in pericolo e fracassano i mercati di esportazione delle loro multinazionali.
Tuttavia, il problema, in realtà, non è la Grecia, che rappresenta il 2,7% dell'economia dell'Ue. Wolfgang Münchau, direttore associato del Financial Times, in un recente articolo ("Perché mi preoccupa più la Spagna che la Grecia"), dice: "Può darsi che la Germania si mostri restia a salvare la Grecia per varie ragioni, ma la Germania lo farà. Però non è ipotizzabile che la Germania possa salvare la Spagna. La Germania e la Francia insieme non possono salvare la Spagna. La Spagna è troppo grande". E la questione non è neanche solo la Spagna, perché il suo "default" trascinerebbe il Portogallo, l'Italia, l'Irlanda o lo stesso Belgio. Il contagio significherebbe il collasso dell'euro, dell'eurozona e della stessa Ue e aprirebbe una crisi di dimensioni impensabili.
L'acuta crisi dei paesi della periferia europea si produce, d'altronde, nel mezzo di un'onda depressiva che colpisce ugualmente in pieno gli imperialismi centrali europei. L'arretramento del Pil tedesco nel 2009 è stato del 4,9% e quello della Francia del 2,2%. Nei casi dell'Italia e della Gran Bretagna ha raggiunto il 4,8%. Per quest'anno l'Ue prevede una crescita rachitica ("crescita" con disoccupazione in aumento) sulla quale pende - avvertono - il pericolo di una "ricaduta" in conseguenza del ritiro degli aiuti governativi. Il debito pubblico della Germania, della Francia e della Gran Bretagna, raggiungerà o supererà l'80% del loro Pil del 2010. Per non parlare dell'Italia (o dell'Irlanda) che giungerà al 120% come la Grecia, con l'aumento sempre più insopportabile di interessi che ciò rappresenta. Le emissioni di titoli pubblici previste per il 2010 della Francia, della Germania e dell'Italia sono enormi, nell'ordine del 25% del loro Pil.

 

Appoggiare i lavoratori e il popolo greco, rompere con l'Ue, sollevare la bandiera dell'Europa dei lavoratori e dei popoli

La crisi greca suona sostanzialmente come una dichiarazione formale di guerra sociale del grande capitale europeo e pone l'Europa in una situazione nuova. Per salvarsi, esso ha bisogno di attaccare frontalmente le conquiste della classe lavoratrice, compresa quella dei paesi centrali, e di impoverire e sottomettere al rango di vassalli i paesi della periferia come la Grecia. Il suo obiettivo ultimo è imporci un arretramento di decenni.
Situazioni come quella della Lettonia, paese membro dell'Ue "salvato" congiuntamente dal Fmi e dall'Ue, mostrano fin dove possono giungere le sue pretese. L'economia della Lettonia, sottoposta ad un "programma strategico di svalutazione interna", è retrocessa in soli due anni di più del 25% (il 18,3% nel 2009), il che può essere equiparato alla distruzione di un paese in conseguenza di una guerra o di una catastrofe naturale di enormi proporzioni.
C'è una sinistra che propugna la "democratizzazione" dell'Ue, da cui esige una politica "sociale ed ecologica". Questo, che sembra un programma "realista", è in realtà una chimera reazionaria. L'Ue è uno strumento del grande capitale europeo contro i lavoratori europei e i popoli del mondo, un aborto antidemocratico che non ammette riforme. E, per quanto ciò non sia condiviso dalla maggioranza della sinistra, il periodo che si apre in Europa obbliga a riprendere la strada rivoluzionaria. Perché non possiamo far fronte alla brutale offensiva capitalistica ed assicurare l'autentica unità europea senza assumere provvedimenti di espropriazione del capitale e senza unirci in un'Europa dei lavoratori e dei popoli.
La dura realtà è che la Grecia può far fronte alla situazione catastrofica che la minaccia solo dichiarando il non riconoscimento del debito che la strozza, rompendo con l'Ue e adottando provvedimenti drastici come l'espropriazione delle banche, la nazionalizzazione delle imprese strategiche sotto il controllo dei lavoratori, la scala mobile delle ore di lavoro affinché lavorino tutti e l'imposizione del monopolio del commercio estero. Con la piena coscienza, inoltre, che i suoi problemi non potranno avere soluzione isolatamente, bensì con l'appoggio della classe lavoratrice europea e nel quadro del progresso verso gli Stati Uniti Socialisti d'Europa.
Siamo all'inizio di una grande offensiva di lungo obiettivo. Ma per i capitalisti non sarà facile. La combattività della classe lavoratrice e del popolo greco, avanguardia della lotta europea, con i suoi due scioperi generali, del 10 e del 24 febbraio, non lo rende semplice. E, a differenza di quest'anno e mezzo di passività, ci sono segnali che le mobilitazioni di resistenza vanno assumendo un ritmo sostenuto, come si è visto negli scioperi in Italia (Sardegna, Fiat Sicilia, ...), in quello degli impiegati della British Airways, della Lufthansa o dei lavoratori delle raffinerie Total in Francia, o nel cambiamento che sembra registrarsi in Spagna.
Nel corso di questo lungo e complicato processo che ora si apre, dovremo costruire la nuova direzione rivoluzionaria di cui la classe lavoratrice europea ha bisogno.

 

(*) Direzione Prt-Ir (sezione spagnola della Lit)

 

 

(Traduzione dall'originale in spagnolo di Valerio Torre)

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