Partito di Alternativa Comunista

Le contraddizioni del capitalismo e la crisi economica.

Capitalismo o Socialismo
Le contraddizioni del capitalismo e la crisi economica.
O capitalismo (e distruzione) o socialismo (e un futuro per l'umanità)

 
di Alicia Sagra (1)
19 anni fa, il 15 settembre del 1989, cadeva il Muro di Berlino, simbolo del processo rivoluzionario che pose fine ai regimi burocratici diretti dai partiti stalinisti nell’ex Urss e nell’Est europeo. La mancanza di una direzione rivoluzionaria impedì che si potesse arrestare il processo di restaurazione capitalista che quegli stessi regimi burocratici avevano imposto e permise all’imperialismo di sviluppare la sua campagna ideologica sul “fallimento del socialismo e la superiorità del capitalismo”. 

 
eclissi di sole


La grande maggioranza delle organizzazioni di sinistra si fece portavoce di quella campagna e abbandonò la lotta per il potere, sostituendola con i progetti elettorali per guadagnare spazi all’interno del sistema capitalista. Oggi, il crollo di Wall Street manda in frantumi quella falsa campagna imperialista e pone all’ordine del giorno le definizioni e le proposte del socialismo scientifico, del marxismo.
 

Un fantasma si aggira per il mondo …
Il Manifesto Comunista, scritto da Marx ed Engels nel 1848, inizia con queste parole: “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo”. E continua: “Qual è il partito di opposizione che non sia stato tacciato di comunismo dai suoi avversari governativi? E quale partito di opposizione, a sua volta, non ha lanciato, sia ai rappresentanti più avanzati dell’opposizione che ai suoi nemici reazionari, l’infamante epiteto di ‘comunista’?”.
Oggi, quando lo stesso Bush è accusato dai suoi correligionari repubblicani di “essere più socialista di Chávez”, dobbiamo dire che quello “spettro” non si aggira più solo per l’Europa, ma “per tutto il mondo”. E non è casuale: perché questa terribile crisi, della quale parlano tutti i mezzi di comunicazione, sta confermando tutte le definizioni del socialismo scientifico. E, come dice il Manifesto, in questi momenti è di fondamentale importanza che i veri comunisti, i marxisti rivoluzionari, “espongano apertamente a tutto il mondo i loro concetti, i loro scopi e le loro tendenze; che oppongano alla leggenda dello spettro del comunismo un manifesto del proprio partito”. Cioè, è necessario che, a partire dal marxismo, spieghiamo cosa sta accadendo, come i lavoratori debbano affrontare la catastrofe che ci minaccia e quale debba essere l’obiettivo ultimo della nostra lotta.
 

Il fallimento del capitalismo è evidente
Il Manifesto, che Marx ed Engels scrissero 160 anni fa, ci dice: “Durante le crisi, un’epidemia sociale, che in qualunque epoca precedente sarebbe sembrata assurda, si estende sulla società: l’epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie: una carestia, una guerra generale di sterminio sembrano averle tolto tutti i suoi mezzi di sussistenza; l’industria ed il commercio sembrano annientati. E perché tutto questo? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio”.
Ciò che appare un controsenso è quanto sta accadendo oggi nel mondo. Le grandi banche stanno cadendo una ad una perché hanno concesso crediti che non possono riscuotere, perché le grandi imprese costruttrici hanno realizzato più case di quante possano venderne ed i piazzali delle industrie automobilistiche si riempiono di veicoli che non hanno compratori.
In altri termini, apparentemente, vi sono troppe case, automobili e tutto ciò che è fabbricato dagli uomini, però la grande maggioranza di quegli uomini e donne non solo non hanno case, né auto, ma non hanno di che mangiare. Secondo l’Onu, ci sono 925 milioni di affamati nel mondo. Continua a crescere il numero dei denutriti in America Latina, dal momento che Haiti col 58% della sua popolazione sta soffrendo la fame cronica. E le cose si metteranno peggio.
 

La politica dell’imperialismo: socializzare le perdite, privatizzare le ricchezze
Tutti i giornali parlano della grande catastrofe della crisi economica. Ma quello che non dicono è che quella grande catastrofe si ritorce contro di noi: i lavoratori e i poveri del mondo. Perché, come dice Marx, i capitalisti per affrontare la crisi si vedono obbligati “alla distruzione forzata di una massa di forze produttive; a conquistare nuovi mercati e allo sfruttamento più intenso di quelli vecchi”.
Ciò significa chiusura di fabbriche, licenziamenti massicci, sospensione dell’impiego, diminuzione dei salari, abbandono progressivo della sanità e dell’educazione pubblica. Noi abbiamo vissuto questo già nel 2000-2001. Perciò insorgemmo facendo cadere quattro governi (2).
Ma ora non stiamo parlando di un Paese “sottosviluppato”, ora la crisi è scoppiata negli Usa. Ci sono compagni che dicono: “questo è un problema degli yankee, se lo risolvano loro”. Il problema è che i capitalisti yankee sono i padroni del mondo e vogliono che tutti noi paghiamo la loro crisi. Essi hanno deciso che lo Stato aiuterà i banchieri (la stessa cosa che Cavallo applicò in Argentina negli ultimi tempi della dittatura). E proprio questo significa che la crisi la paghiamo noi. La stiamo già pagando. Per poter finanziare le banche, Cristina (3) ha deciso di cancellare il debito al Club di Parigi, agli obbligazionisti, ecc. E per ottenerlo, i capitalisti saccheggiano le casse delle pensioni, c’impongono la mobilità, negano gli aumenti dei salari, cancellano opere già programmate. I capitalisti americani ed europei riducono le spese; pertanto, ci saranno sospensioni dall’impiego e licenziamenti nelle industrie automobilistiche, di componentistica, ecc.
Ma le cose possono essere ancora molto peggiori. Una crisi simile a questa si verificò nel 1907, fu tanto profonda che gli imperialisti finirono per provocare la Prima Guerra Mondiale (nel 1914) allo scopo di contendersi i mercati. E l’altra grande crisi, quella del 1929-30, sfociò nella Seconda Guerra Mondiale.
Ma questi esiti non sono inevitabili, non possiamo dimenticare che quella grande crisi del 1907 ebbe anche un’altra conseguenza, fornendo le basi per lo sviluppo di una direzione rivoluzionaria (il Partito Bolscevico) che dieci anni dopo, nel 1917, portò i lavoratori russi alla conquista del potere.
Dobbiamo affrontare questa catastrofe che ci minaccia. Ma se vogliamo evitare che successive crisi finiscano per distruggere l’umanità, è necessario avere chiaro l’obiettivo della battaglia per una nuova società.
 

La borghesia non può evitare le crisi. Il socialismo è l’unica uscita
I capitalisti non affrontano la produzione in funzione delle necessità della società. Al contrario, come dice il Manifesto, “la condizione essenziale dell’esistenza e della dominazione della classe borghese è l’accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi, la formazione e l’accrescimento del capitale”. Ma questa stessa condizione fa sì che risulti loro impossibile evitare le loro crisi.
Oggi nessuno mette in discussione, neanche gli ideologi capitalisti, la grande scoperta di Marx per cui l’unica cosa che crea valore è il lavoro umano, e che il profitto della borghesia proviene dalla parte di quel valore che gli operai creano in fabbrica e che il padronato non paga loro (il plusvalore).
Ma nella loro ansia di accumulare ricchezza, i capitalisti competono ferocemente gli uni contro altri e si vedono obbligati ad investire sempre più in macchinari, nuova tecnologia, a danno di ciò che investono in manodopera. In altri termini, nell’investimento capitalista ha sempre più peso il capitale morto (le macchine) piuttosto che il capitale vivo (la forza lavoro che è l’unica cosa che crea valore).
In un primo momento, ciò aumenta i loro profitti perché aumenta la produttività e permette loro di battere la concorrenza. Ma, a lungo termine, la proporzione di ciò che guadagnano in relazione a ciò che investono (il saggio di profitto) inizia a diminuire. Allora cominciano a ritirare il loro denaro dalla produzione e iniziano ad investirlo sempre più nella speculazione.
La conseguenza è che il ciclo della produzione comincia a rallentare e, prima o poi, i progetti speculativi crollano e vengono alla luce le grandi crisi.
Come già abbiamo visto, per uscire da queste crisi i capitalisti si vedono obbligati a bruciare capitale (chiudendo fabbriche, distruggendo materie prime, provocando guerre …) e, come dice Marx, in tal modo vanno “preparando crisi più estese e più violente, riducendo i mezzi per prevenirle”. Pertanto, se le cose continueranno così, andremo incontro alla distruzione dell’umanità.
Ma, come già abbiamo detto, ciò non è inevitabile: perché, come dice il Manifesto, “la borghesia non ha soltanto forgiato le armi che la condurranno alla morte; ha creato anche gli uomini che impugneranno quelle armi: i moderni operai, i proletari. La borghesia produce, innanzitutto, i suoi stessi becchini”.
I lavoratori, quelli che creano ogni ricchezza, possono costruire anche una nuova società. Una società solidale che funzioni per rispondere alle necessità di tutta la popolazione e non per aumentare la ricchezza di pochi. Questo fecero i lavoratori russi quando, nel 1917, utilizzarono la crisi mondiale e la guerra per prendere il potere e costruire un Stato basato sulle organizzazioni democratiche dei lavoratori e al servizio delle grandi maggioranze popolari.
Noi abbiamo dimostrato, a partire dalla rivoluzione del 2001, che non abbiamo bisogno del padronato per garantire la produzione. Ci sono la Zanón, la Bauen, la Brukman, come prova (4). Quest’esperienza può essere ripetuta nei singoli Paesi, nei continenti, nel mondo. Ma, per questo, è necessario il trionfo della rivoluzione socialista mondiale. Cioè la continuazione della grande battaglia che vide il suo primo grande trionfo con la rivoluzione russa dell’ottobre 1917. È un compito molto difficile, ma è l’unica cosa in grado di evitare la distruzione dell’umanità.
 

La produzione sociale e l’appropriazione individuale
Abbiamo visto come l’attuale crisi economica mondiale confermi le definizioni centrali del Manifesto Comunista. Vediamo ora come spiega Engels le contraddizioni interne del sistema capitalista e come queste si pongono in relazione con la legge più generale che dà Marx per spiegare le crisi.
Nel suo libro Dal socialismo utopico a quello scientifico, Engels scrive: “Nel Medioevo, non poteva sorgere il problema della proprietà dei prodotti del lavoro. Il produttore individuale li creava, in generale, con materie prime di sua proprietà (…). Non occorreva, pertanto, appropriarsene, poiché erano già suoi per il mero fatto di averli creati. La proprietà dei prodotti si basava, dunque, sul lavoro personale (…). Però [con il capitalismo] si determina la concentrazione dei mezzi di produzione in grandi officine e manifatture, la loro trasformazione in mezzi di produzione realmente sociali (…). I prodotti, creati allora socialmente, non passavano ad essere di proprietà di coloro che avevano realmente messo in moto i mezzi di produzione e che erano i loro autentici creatori, bensì del capitalista (…). La contraddizione fra la produzione sociale e l’appropriazione capitalista si manifesta come antagonismo fra il proletariato e la borghesia”.
Questo è quanto rende impossibile le buone relazioni fra i lavoratori e il padronato e che spiega che non possiamo ottenere il sia pur minimo miglioramento se non attraverso la lotta.
Ma Engels non termina qui la sua analisi, bensì mostra che le contraddizioni del capitale non si manifestano solo nelle relazioni tra il capitalista ed i suoi lavoratori, ma anche nella sua relazione con gli altri capitalisti.
 

Organizzazione della produzione dentro ogni fabbrica e l’anarchia della produzione in tutta la società
Nel Medioevo, l’artigiano aveva il controllo della totalità della produzione. Per esempio, per produrre un abito, tagliava, cuciva, ecc. Col capitalismo si è avuto un grande progresso nella produttività raggruppando vari lavoratori in una stessa officina e realizzando una stretta divisione del lavoro fra loro. Così, alcuni tagliano, altri cuciono... E ciò si è incrementato con l’apparizione dei grandi macchinari e l’installazione delle grandi fabbriche.
Ma quest’organizzazione all’interno della fabbrica si contrappone all’anarchia della produzione a livello della società. Cosa significa questo? Che nella società capitalista non si pianifica la produzione in accordo a ciò di cui ha bisogno la popolazione. Ogni capitalista produce ciò che vuole, ciò che pensa gli darà più profitto. Se ciò che dà più profitto è produrre automobili, spunta una grande quantità di borghesi a fabbricarle; e lo stesso accade con gli altri prodotti. La conseguenza è che si stabilisce una grande concorrenza tra essi. “La stessa cosa che si verifica tra i capitalisti individuali e tra industrie e Paesi interi: il possesso delle condizioni – naturali o artificialmente create – della produzione, decide la lotta per l’esistenza. Chi soccombe è sopraffatto senza pietà (…). La contraddizione fra la produzione sociale e l’appropriazione capitalista si manifesta ora come antagonismo fra l’organizzazione della produzione in ciascuna fabbrica e l’anarchia della produzione all’interno di tutta la società” (5).
E in questa concorrenza intercapitalista sta la base che spiega le grandi crisi economiche, come quella che oggi si sta sviluppando.
 

La caduta tendenziale del saggio di profitto
La concorrenza tra capitalisti fa sì che essi si vedano obbligati all’aumento permanente della loro tecnologia per produrre più a buon mercato e battere sul tempo l’altro capitalista che produce lo stesso prodotto.
Studiando questa tendenza di aumentare sempre di più il grado di tecnicizzazione, Marx scoprì una legge infernale del capitalismo che dice: aumentando il grado di tecnicizzazione, benché inizialmente i profitti aumentino, arriva un punto in cui il tasso di profitto smette di salire e poi tende a cadere.
Cioè, quello che il capitalista guadagna in relazione a ciò che investe (tasso di profitto) tende a diminuire, con l’aumento tecnologico. Se all’inizio, investendo 100 guadagnava 50, dopo qualche tempo guadagna, 40, poi 30, ecc.
Perché accade questo? Si può dare una spiegazione matematica. Nell’analisi di Marx, il capitale investito nella produzione (C) si divide in due: capitale costante (c), destinato a comprare materie prime, macchine, nuove tecnologie, energia, e il capitale variabile (v), destinato a pagare i salari. Il tasso di profitto (Tp) è la relazione tra profitto (plusvalore) ed il capitale totale che si investe. Matematicamente si esprime dividendo il plusvalore (cioè quanto viene rubato al lavoratore) per il capitale totale investito (Tp = p/c+v).
Come si può vedere, con l’aumento della tecnicizzazione, aumenta il capitale costante (c) e si abbassa il tasso di profitto (Tp).
C’è un’altra spiegazione che tocca un problema economico molto profondo. Col miglioramento della tecnologia possono prodursi sempre più merci e più a buon mercato. E se questo processo continua a svilupparsi, si dovrebbe aver bisogno di una sempre minore frazione di lavoro umano. Il che potrebbe essere meraviglioso, se non fosse che il sistema capitalista lo rivolta contro l’umanità. Per esso, la produzione è solo un mezzo per ottenere profitti. Pertanto, utilizza il progresso tecnologico, non affinché gli operai lavorino meno, bensì per diminuire la quantità di lavoratori.
Con questa “modernizzazione”, all’inizio i capitalisti guadagnano più; ma, alla lunga, ciò si ritorce contro di essi, perché spendono sempre più in macchine e meno nell’unica cosa che crea ricchezza: la forza lavoro umano. Così, a poco a poco, continua a diminuire ciò che guadagnano in relazione a ciò che investono.
 

Che cosa sono e come nascono la crisi
L’economia entra in crisi quando il processo normale di produzione si comincia a bloccare. Nel capitalismo ciò si manifesta nella diminuzione della manodopera e degli strumenti utilizzati ed in una sovrabbondanza di prodotti. Per questo motivo si parla di crisi di sovrapproduzione in un mondo di affamati.
Perché nascono queste crisi? Perché i capitalisti, per compensare la caduta del tasso di profitto, cominciano a sottrarre il loro denaro alla produzione, per investirlo nella speculazione.
Questa è l’origine delle famose “bolle”, che alla lunga scoppiano. Per questo motivo è falso che l’attuale crisi sia solo finanziaria, delle banche, e che sia cominciata solo ora. La caduta del saggio di profitto si è cominciato a manifestare a partire dal 2006. In Europa e negli Usa si sono costruite grandi quantità di case, al di sopra della capacità di vendita. Si è promosso il ricorso al credito affinché la gente comprasse. È cresciuto l’indebitamento ed è arrivato un momento in cui la gente non poteva più pagare: di qui il crollo, l’esplosione della “bolla immobiliare”. E la sovrapproduzione si esprime con tale evidenza per cui, in alcuni paesi europei, a chi acquista un’abitazione gliene viene regalata un’altra. Ma tutto è cominciato in quella che i capitalisti chiamano “l’economia reale”, con la diminuzione del saggio di profitto nella produzione.
Perciò diciamo che queste crisi mostrano che “così come, al loro tempo, l’industria manifatturiera e l’artigianato, che continuavano a svilupparsi sotto la loro influenza, si scontrarono con gli ostacoli feudali delle corporazioni (6), oggi la grande industria, arrivando ad un livello di sviluppo più alto, non riesce più a rimanere negli stretti limiti in cui la tiene il modo capitalista di produzione” (7). In altri termini, il capitalismo deve essere rimpiazzato da un altro tipo di società. La società socialista, dove non vi sia più anarchia della produzione né concorrenza, bensì pianificazione al servizio delle necessità dell’umanità. In questa nuova società, potremmo approfittare del progresso tecnologico per garantire tutta la produzione mondiale con sole 2 ore lavorative. Il resto del tempo potremmo dedicarlo a stare con le persone care, a fare sport, a studiare, a realizzare attività artistiche… E ciò si tradurrebbe in grandi progressi scientifici e culturali di tutta l’umanità.
Ma questa sostituzione non avverrà spontaneamente. Il capitalismo, per quante crisi abbia, non morirà da solo. Dobbiamo dargli noi il colpo di grazia. È necessaria l’espropriazione della borghesia per poter costruire la nuova società. Non c’è compito più importante dell’utilizzare queste crisi per avanzare nella costruzione della direzione rivoluzionaria che avvii le nostre lotte verso quest’obiettivo, una direzione rivoluzionaria come quella esistita in Russia nel 1917.
Ed è per questo che la Lit si è assunta il compito di ricostruire la Quarta Internazionale e si rivolge oggi ai rivoluzionari di tutto il mondo per affrontare, unendo le forze, le conseguenze della crisi ed utilizzarla per avanzare nella costruzione del partito che avvicini la sconfitta definitiva del capitalismo mondiale.
 

(traduzione di Valerio Torre dall'originale in spagnolo)
 

Note
 
(1) Alicia Sagra è membro della direzione internazionale della Lit-Quarta Internazionale e della direzione del Fos (Frente Obrero Socialista), sua sezione argentina.
(2) L’autrice si riferisce alla rivoluzione argentina del 2001.
(3) Kirchner, la presidente dell’Argentina.
(4) Sono tre fra le più importanti fabbriche argentine recuperate, durante la rivoluzione del 2001, dai lavoratori che vi si insediarono riprendendo la produzione, riassumendo i loro compagni licenziati e difendendole, armi in pugno, dai ripetuti assalti della polizia che intendeva rimetterle nella disponibilità dei padroni.
(5) Engels, Dal socialismo utopico a quello scientifico.
(6) Le corporazioni erano le organizzazioni degli artigiani che fissavano le condizioni di produzione.
(7) Engels, op. cit.

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