Partito di Alternativa Comunista

No alla tesi:

La politica criminale d’Israele

No alla tesi: “Due popoli- due stati”

 


 

di Claudio Mastrogiulio

palestina

 

Le caratteristiche dello stato sionista

 

Quello israeliano è uno stato a tinte fortemente antidemocratiche, anche sul semplice piano delle considerazioni formali. Presenta una struttura politica incentrata sul parlamentarismo, ma non si può sottovalutare che la gran parte dei primi ministri che si sono succeduti nel corso dei decenni provengano dalle fila dell'esercito. Sin dalla sua fondazione, infatti, Israele si è costituito come uno stato razzista, per la sua ideologia e per le leggi che ne compongono l'ordinamento. Israele si autoproclama "stato ebraico", nella misura in cui non è la nazione di tutti quelli che risiedono nel paese o che vi siano nati, ma possono essere considerati cittadini soltanto quelli di fede o di discendenza ebraica. Il 90% delle terre è riservato agli ebrei, attraverso il Fondo Nazionale Ebraico, il cui statuto definisce queste come "terre d'Israele", le vincola a codesta istituzione, non potendo essere vendute, affittate e neppure lavorate da un "non ebreo". Ai palestinesi è proibito comprare o anche affittare le terre annesse allo Stato dal 1948.
La “Legge della Nazionalità” stabilisce chiare differenze fra ebrei e non ebrei per ottenere la cittadinanza. Per la “Legge della Cittadinanza”, nessun cittadino israeliano può sposarsi con un residente dei territori palestinesi occupati. Ove questo accada, perde i diritti di cittadinanza israeliana e la famiglia, se non è separata, deve emigrare.
Per la “Legge del Ritorno” qualsiasi ebreo del mondo, se si trasferisce nel Paese, può essere cittadino israeliano ed ottenere un'infinità di privilegi che i nativi non ebrei non possiedono mentre i familiari dei palestinesi dello Stato d’Israele che vivono all'estero (molti di loro espulsi dalle loro terre in Palestina, o i loro discendenti) non possono ottenere lo stesso beneficio per il solo fatto di non essere ebrei.
L'obiettivo dell'imperialismo, specialmente quello statunitense, con la fondazione d’Israele, è stato quello di avere un agente militare diretto nel Medioriente. Una regione che, oltre a possedere le maggiori riserve di petrolio del mondo, viveva un forte processo di lotta antimperialista e contro le corrotte "monarchie petrolifere". Si trattava di avere "proprie truppe" al proprio servizio contro il popolo palestinese e le masse arabe. Non è casuale che dalla sua creazione, come autentico "avamposto militare", Israele abbia sempre vissuto in stato di guerra ufficiale o di fatto.
Il motivo della creazione d’Israele, espresso nella precedente cronologia, spiega perché la popolazione israeliana viva sempre "sul piede di guerra". Al compimento dei 18 anni, ogni cittadino deve svolgere un servizio militare obbligatorio, tre anni per i maschi e due per le femmine. Dopo di che, rimangono come "riservisti" fino ai cinquant'anni, con un mese d’addestramento annuale obbligatorio. Per questi "servizi militari", gli Usa inviano "ufficialmente" tre miliardi di dollari l’anno ed ancora due miliardi ad altri vari titoli. A questo, debbono aggiungersi i fondi raccolti dalle organizzazioni sioniste di tutto il mondo. Così operando, Israele riequilibra il deficit della sua bilancia commerciale (dieci miliardi di dollari) ed il suo cronico deficit di bilancio.

 

La repressione del popolo palestinese

 

La falsa coscienza su cui insiste la menzogna della natura "democratica e progressista" dello Stato d'Israele, trova puntuale smascheramento nella constatazione di dati e fatti oggettivi e dunque inoppugnabili. Circa 11.000 prigionieri politici palestinesi imputridiscono nelle carceri sioniste, centinaia di loro sono bambini e donne. Da questo versante, paradigmatica è stata la vile aggressione sionista nei confronti della popolazione di Gaza tra la fine di dicembre 2008 e gennaio 2009, durante la quale vi fu una vera e propria carneficina. A questa politica palesemente genocida, si accompagna quella più subdola e cinica dell'embargo della Striscia di Gaza, che costringe la popolazione palestinese a vivere in condizioni al limite della sopravvivenza. Sono negati gli approvvigionamenti di beni alimentari e medicinali e ciò determina le condizioni storiche per equiparare l'azione sionista alle politiche antisemite di matrice hitleriana che tanto sdegno ancora oggi provocano. E' per questa ragione che il sionismo non può, e non deve, trovare legittimazione politica non soltanto agli occhi delle masse mediorientali, ma anche di quelle occidentali. Perciò merita biasimo la posizione di chi, all'interno della sinistra sedicente radicale, propugna la tesi aberrante "due popoli in due stati".
Una siffatta parola d'ordine è utopistica ed è, inoltre, chiaramente irrealizzabile innanzi tutto per volontà dell'enclave imperialista israeliana che non ha alcuna intenzione di riconoscere politicamente uno stato palestinese. Sul piano politico, inoltre, è evidente che una tale "soluzione" avrebbe, in realtà, l'unica conseguenza di mantenere immutato lo stato attuale delle cose. Pertanto nulla cambierebbe nel quadro geopolitico dato. 

 

L'unica ed autentica soluzione

 

La soluzione all'oppressione del popolo palestinese da parte d’Israele (col nulla osta di tutto l'imperialismo occidentale) continua ad essere la creazione di una Palestina libera, laica, democratica e non razzista, in cui la minoranza ebraica godrebbe di tutti i diritti tipici di una minoranza riconosciuta.
E' un passaggio, questo, che necessariamente presuppone il superamento dello stato sionista d'Israele, per tutte le ragioni precedentemente addotte, e che si manifestano nel rifiuto della logica che sottende all'appoggio imperialista al nazionalismo ebraico, vale a dire il controllo della regione mediorientale.
La liberazione delle masse palestinesi potrà dunque verificarsi solamente nel quadro dello stravolgimento dei rapporti politici e sociali dell'intera regione. In questo senso, gli accadimenti siriani, yemeniti, egiziani, tunisini e libici, lasciano sperare che anche in Israele la scintilla rivoluzionaria possa accendere gli animi delle masse palestinesi e scompaginare il quadro attuale per arrivare, attraverso l’estendersi e il rafforzarsi delle rivoluzioni, alla costruzione di una Palestina unica, laica, socialista con pieni diritti di minoranza nazionale alla popolazione ebraica, nel quadro di una Federazione delle Repubbliche Socialiste Arabe e nell'ottica della Rivoluzione Socialista Mondiale.

 

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