Partito di Alternativa Comunista

Perch

Perché difendiamo il diritto dei curdi ad avere un proprio Stato?

 

di Alejandro Iturbe (dal sito della Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale)

Un po’ di storia

 

La storia dei curdi, nella regione che oggi occupano, inizia nell’antichità: si stabilirono in Asia Minore circa mille anni prima di Cristo. Durante il Medioevo la regione fu dominata dall’impero arabo e poi dall’Impero Ottomano. In questo periodo, pur conservando la propria lingua, la maggioranza dei curdi si convertì al ramo sunnita della religione musulmana, anche se una consistente minoranza continuò a professare la sua religione tradizionale: lo Yazidismo. Nel XIX secolo si resero protagonisti di numerose ribellioni indipendentiste, che furono tutte sconfitte.
Dopo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) l’Impero Ottomano, che era stato sconfitto, si disintegrò. Il Trattato di Sèvres riconobbe il loro diritto all’autodeterminazione e propose persino la creazione di uno Stato curdo, ma solo in un terzo dei territori rivendicati da questo popolo, ossia quelli in cui erano la maggioranza assoluta.

Ma questo trattato non entrò mai in vigore e fu anzi rimpiazzato dal Trattato di Losanna (1923), in seguito al quale il popolo curdo restò diviso in quattro Paesi (Turchia, Iran, Iraq e Siria), più un piccolo settore in Armenia (allora facente parte dell’ex Urss). Nel 1925 un’insurrezione fu sconfitta dalle truppe turche.

Nel 1946, nel Kurdistan iraniano, l’appena nato Partito Democratico del Kurdistan (PDK) proclamò la Repubblica di Mahabad, che durò un anno prima che le truppe e le autorità iraniane occupassero la città.

Nei decenni seguenti la lotta dei curdi fu costante in tutte le regioni. Nel 1961 Mustafa Barzani, leader storico del PDK, inizia una guerra di guerriglia in Iraq, ma viene sconfitto nel 1975. Nel 1979 si scatena una nuova ribellione in Iran, questa volta contro il regime degli ayatollah sorto dopo la rivoluzione di quell’anno. La risposta del regime non si fece attendere: fu dichiarata la “guerra santa” contro i curdi. Nel 1984 il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK, fondato nel 1978) inizia un sollevamento guerrigliero in Turchia. Nel 1991, dopo la prima Guerra del Golfo, si scatena un nuovo sollevamento in Iraq contro Saddam Hussein, che riesce a schiacciarlo ad est grazie anche alla passività delle truppe occidentali. Nel 1992 si verifica il “marzo di sangue” in Turchia, durante il quale l’esercito turco uccide 200 manifestanti curdi. 

 

L’attualità

 

Il territorio del Kurdistan storico si estende per 392 mila km² (190 mila in Turchia, 125 mila in Iran, 65 mila in Iraq e 12 mila in Siria). In questi territori si trova una parte importante delle riserve petrolifere irachene e iraniane, e la quasi totalità del petrolio siriano.
Nonostante non vi siano stati censimenti rigorosi, si stima che i curdi siano più di 40 milioni (16 milioni in Turchia, più di 10 milioni in Iran, 8 milioni in Iraq, 2 milioni in Siria e una diaspora stabilitasi in altri Paesi).

I curdi sono attualmente una delle maggiori nazionalità del mondo senza un proprio Stato. Nei Paesi in cui sono stati divisi sono oppressi e discriminati, e quando lottano per le loro rivendicazioni storiche, come abbiamo visto, sono duramente repressi. Per esempio, negli anni ‘90, l’esercito turco distrusse tremila villaggi popolati dai curdi.

Nella Siria della “dinastia” degli Assad furono sempre perseguitati: basti dire che non avevano diritto alla cittadinanza. Per questo, nel 2012, nel corso della guerra civile in questo Paese, si scatena un sollevamento armato contro il regime di Bashar al Assad e i curdi si uniscono alla lotta contro questo regime.

A questo si aggiunge ora l’aggressione dell’IS, che li attacca nell’intento di installare un nuovo Stato reazionario che controlli le zone petrolifere. In Siria le forze curde del PYD che combattono l’IS, in difesa di Kobane e della regione d’Aleppo, stanno lottando al fianco di vari settori della resistenza ribelle anti-Assad.

Dinanzi a questa realtà l’imperialismo, che insieme alle varie borghesie dei Paesi arabi è la causa della divisione di questo popolo, di là dalla sua attuale retorica sui “diritti umani”, con le sue diverse politiche per controllare il petrolio della regione, “si volta dall’altra parte” e lascia correre le aggressioni e l’oppressione dei curdi. Lo dimostrano le recenti dichiarazioni di John Kerry, segretario di Stato degli Stati Uniti, che, di fronte all’aggressione dell’IS, ha dichiarato che “Kobane non è un obiettivo strategico del nostro governo”. E, pur essendo l’unica forza che -alleata di settori della resistenza siriana- combatte effettivamente l’IS, non ha inviato loro alcun aiuto militare per evitare incidenti con il governo turco, suo alleato. 

 

La speciale situazione in Iraq

 

In Iraq i curdi vivono una situazione speciale. Qui occupano la porzione nord del Paese, chiamata Kurdistan iracheno o, secondo la denominazione di questo popolo, “Kurdistan del Sud”, la cui principale città è Mossul (ora in mano all’IS, ndt). E’ una delle zone più ricche di petrolio della regione.
Negli anni ’80, durante la guerra Iraq-Iran, un’offensiva del regime di Saddam Hussein causò il “genocidio d’Anfal”, con dure conseguenze per la popolazione, parte della quale dovette abbandonare il Paese.

All’indomani della prima guerra del Golfo (1991) molti rifugiati vi fecero ritorno, e la regione andò acquisendo autonomia. Tra il 1994 e il 1997 si sviluppa una guerra civile nella quale si affrontano le milizie del PDK e quelle dell’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK, nata da una scissione della prima), con il trionfo del PDK.

In seguito la direzione del PDK, con a capo Masud Barzani (figlio del fondatore del partito) si unisce alla coalizione delle forze imperialiste che invadono l’Iraq e rovesciano il regime di Saddam Hussein.

Sulla base di questo accordo, la Costituzione del 2005 attribuisce al Kurdistan iracheno il carattere di “entità federativa autonoma”, con diritto ad eleggere il proprio governo e il proprio parlamento, e ad avere una propria politica estera. Ma, al tempo stesso, ha sempre avuto rappresentanti curdi nei governi filo-imperialisti durante l’intero periodo d’occupazione. Un curdo, Jalal Talabani, arrivò persino ad essere presidente dell’Iraq.

Inoltre, la borghesia curda della regione ha iniziato a ricevere dal 13 al 30% del valore del petrolio estratto, il che, grazie anche ad una buona produzione agricola, le ha permesso di trasformarsi in una delle più ricche borghesie dell’Iraq, con un’economia molto solida. E’ questa la base sulla quale opera il PDK, che si è trasformato in un’organizzazione palesemente filo-imperialista.

In questo quadro, il governo di Barzani e la borghesia curda dell’Iraq sono sottomessi a due pressioni contraddittorie. Da una parte vi è la sua alleanza politica, economica e militare con l’imperialismo yankee. Dall’altra, la pressione del suo stesso popolo. Per questo le milizie curde dell’Iraq sono le uniche che hanno effettivamente combattuto e frenato l’IS in questo Paese, mentre l’esercito iracheno fuggiva vergognosamente.

Barzani si è visto obbligato persino ad inviare armi a Kobane (attraverso gli aerei imperialisti) e a permettere che migliaia di miliziani si organizzassero con l’obiettivo di andare a combattere al fianco dei loro fratelli di Siria.

Ma, al tempo stesso, ciò che meno vuole è “pestare i piedi” e irritare l’imperialismo yankee (o il suo alleato turco). Per ciò si è limitato, fino ad ora, a reclamare l’indipendenza del Kurdistan iracheno. Quest’obiettivo sarebbe per se stesso progressivo, un passo avanti nella lotta di questo popolo, perché darebbe un punto d’appoggio se posto al servizio della lotta curda nel suo insieme. Ma nelle mani di Barzani e del PDK significa, nei fatti, lasciare da parte la costruzione di uno Stato curdo unificato e abbandonare alla loro sorte i curdi di Turchia, Iran e Siria.

Per ottenere la riunificazione del popolo curdo in un proprio Stato bisogna dunque combattere anche la politica di Barzani e del PDK.

 

Conclusioni

 

Per tutte queste ragioni (per essere un popolo oppresso e diviso in vari Paesi) appoggiamo la lotta dei curdi contro l’imperialismo, i regimi di Turchia, Iran, Iraq e Siria, e contro l’IS. Per questo, inoltre, difendiamo il loro diritto a costruire un proprio Stato unificato in tutto il loro territorio storico.
Questa posizione non è nuova per la Lit né per la sua organizzazione turca: fu espressa già in varie edizioni della rivista Correo Internacional, durante gli anni ’90, nel quadro della lotta di questo popolo contro gli attacchi del regime di Saddam Hussein in Iraq e la feroce repressione dei vari governi turchi.

 

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