Partito di Alternativa Comunista

Polemiche. La Frazione Trotskista e la sua posizione sulla guerra di Gaza

Polemiche.

La Frazione Trotskista e la sua posizione sulla guerra di Gaza

 

 

 

di Victor Alay

 

 

Questo testo è la prima parte di un lavoro più ampio. In questo primo articolo polemizziamo con i compagni della Fazione trotskista (Ft) su diversi aspetti fondamentali della loro posizione sulla guerra genocida di Israele contro Gaza. In un secondo articolo (1) abbiamo analizzato il netto contrasto tra la giusta e dura critica della Ft al neutralismo delle organizzazioni francesi Lutte ouvrière (Lo) e Npa-c (2) nella guerra di Gaza e lo sprezzante astensionismo che la Ft applica alla guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina.

 

Una critica corretta da parte della Ft a Lo e Npa-c

Iniziamo questo articolo facendo nostre le dure critiche che i dirigenti francesi della Ft (Rivoluzione Permanente) muovono a Lo e all'Npa-c, la cui posizione sulla barbarie sionista a Gaza è una vera indecenza per organizzazioni che si dichiarano ancora trotskiste. Queste due organizzazioni dell'estrema sinistra francese, cedendo alla brutale campagna di propaganda sionista dopo la morte di civili israeliani nell'azione militare del 7 ottobre, sono arrivate ad equiparare la principale organizzazione di resistenza palestinese, Hamas, allo Stato sionista. Paul Morao (3) ha assolutamente ragione quando scrive: «“Contro Biden e Macron, contro Netanyahu e Hamas. Proletari di Francia, di Palestina, di Israele... Uniamoci!” si leggeva sui manifesti esposti dai compagni di Lo domenica 22 ottobre in Place de la République [Parigi]. (...) In un articolo redazionale, Lo spiega che il suo progetto “è l'opposto delle politiche nazionaliste volte a difendere gli interessi di un popolo a scapito di altri. In contrasto con la politica di Netanyahu in Israele e di Hamas in Palestina”. In un altro editoriale, sostiene che Hamas e Israele sono nello stesso “campo” degli oppressi. Una posizione che genera grande confusione, in quanto accomuna un'organizzazione che guida in larga misura la lotta di liberazione nazionale palestinese e il governo dello Stato coloniale contro cui combatte. I compagni di Lo, pur sottolineando la responsabilità centrale dello Stato di Israele e dei suoi alleati imperialisti nella situazione, continuano a tornare sulla responsabilità congiunta dei due campi. Lo - continua Morao - sceglie di nascondere sotto il tappeto, nei suoi testi e nei suoi interventi pubblici, la questione della resistenza palestinese. È difficile trovare riferimenti a questa idea, così come alla “lotta” del popolo palestinese. Questo sembra essere anche l'atteggiamento del Npa-c che insiste solo sulla “solidarietà con il popolo palestinese”».
Paul Morao confronta questa posizione con i criteri fondamentali che hanno guidato l'atteggiamento dei marxisti rivoluzionari nel corso della storia: «la solidarietà rivoluzionaria elementare non può accontentarsi di denunciare i massacri o di sostenere i diritti dei popoli oppressi, ma implica mettersi risolutamente nel loro campo quando c'è un conflitto militare con gli oppressori. Storicamente, i marxisti rivoluzionari hanno ritenuto, lungi da ogni pacifismo, di dover sostenere il campo progressista nelle guerre giuste, senza tuttavia concedere un appoggio politico alla sua direzione».
Morao, dopo aver citato Lenin (4) («ogni socialista desidera ardentemente la vittoria degli Stati oppressi, dipendenti, violati nei loro diritti, sulle “grandi” potenze che opprimono, schiavizzano e saccheggiano»), prosegue affermando che questa posizione «si inserisce nella continuità delle battaglie condotte da Marx ed Engels nella Prima Internazionale a favore del sostegno all'autodeterminazione irlandese e polacca e si basa sul principio che la vittoria degli oppressi nel quadro delle guerre giuste contribuisce all'indebolimento dell'imperialismo, qualunque sia la natura dei suoi governanti».
Riprendendo provocatoriamente il discorso di Lenin, durante una discussione sull'antimperialismo nel 1938, Trotsky disse che in caso di guerra tra un Brasile fascista e un'Inghilterra democratica «mi schiererò con il Brasile “fascista” contro l'Inghilterra democratica. Perché? (...) Se l'Inghilterra vincesse, installerebbe un altro fascista a Rio de Janeiro e assoggetterebbe doppiamente il Brasile. Se, al contrario, il Brasile vincesse, potrebbe dare un notevole impulso alla coscienza democratica e nazionale di questo Paese e portare al rovesciamento della dittatura di Vargas. La sconfitta della Gran Bretagna sarebbe, allo stesso tempo, un colpo per l'imperialismo britannico e darebbe un impulso al movimento rivoluzionario del proletariato britannico».
Altrettanto giusta è la critica di Morao a Lo e Npa-c per aver stabilito come «condizione di legittimità della lotta del popolo palestinese» la «fraternizzazione dei popoli israeliano e palestinese», come se fossero classi lavoratrici di due Paesi imperialisti in condizioni simili. Solo che Israele, enclave militare imperialista in Medio Oriente, è uno Stato coloniale costruito sulla pulizia etnica, sul furto violento delle terre palestinesi e su un brutale sistema di apartheid. Ecco perché Morao ha assolutamente ragione quando scrive che il riferimento di Lo alle «politiche nazionaliste che cercano di difendere gli interessi di un popolo a scapito di altri» rasenta l'indecenza nel contesto di una lotta anticoloniale.
Nel 1872, Karl Marx aveva si era già scontrato con i membri della Prima Internazionale che sostenevano tali posizioni, spiegando: «Quando i membri dell'Internazionale appartenenti a una nazione conquistatrice chiedono a quelli appartenenti a una nazione oppressa, non solo nel passato, ma anche nel presente, di dimenticare la loro situazione specifica e la loro nazionalità, di “cancellare tutte le opposizioni nazionali”, eccetera, non danno prova di internazionalismo. Difendono semplicemente l'asservimento degli oppressi cercando di giustificare e perpetuare il dominio del conquistatore sotto il velo dell'internazionalismo».
Paul Morao cita anche la difesa di Lo della tesi dei due Stati.
Assumendo questa rivendicazione, Lo abbandona lo slogan storico dei trotskisti di una Palestina democratica, laica e non razzista in tutto il suo territorio storico (dal fiume al mare) e fa propria la posizione imperialista dei due Stati: una posizione che legittima il saccheggio palestinese e la pulizia etnica, nega il ritorno dei milioni di rifugiati e dimentica che lo Stato coloniale di Israele può sussistere solo sulla base di una guerra permanente di espropriazione e genocidio del popolo palestinese.

 

Gravi errori della Ft

Ma, così come condividiamo le giuste critiche della Ft a Lo e al Npa-c, riteniamo anche che i compagni commettano errori molto gravi nella loro politica palestinese, in contraddizione con le loro stesse critiche a Lo e al Npa-c.
Matías Maiello (5) ha ragione quando difende il criterio generale secondo cui appoggiare incondizionatamente la resistenza palestinese e collocarsi nel suo campo militare non significa dare sostegno politico ad Hamas o mettere a tacere le profonde differenze con questa organizzazione. Le nostre divergenze con la Ft non riguardano quindi questo criterio generale. Il problema è se e come la Ft applica effettivamente tale criterio, perché non tutte le critiche sono coerenti. La Ft rifiuta giustamente i metodi autoritari con cui Hamas ha governato Gaza. Per quanto riguarda il suo programma e la sua strategia, critica anche giustamente la sua politica di alleanze con regimi reazionari come il Qatar, l'Iran o la Turchia e il conseguente abbandono di una politica che incoraggi la mobilitazione indipendente dei popoli della regione. In effetti, durante queste settimane di barbarie genocida israeliana, abbiamo visto la passività di questi regimi, al di là dei loro proclami verbali. Anche il cosiddetto «Asse della Resistenza», che ruota attorno all'Iran, su cui Hamas si è appoggiato, ha dimostrato di non essere disposto a mostrare una reale solidarietà con il popolo palestinese né a scontrarsi con Israele.
Va detto che Maiello non ha aggiornato la sua analisi di Hamas e, di conseguenza, la sua critica. Per questo continua a sostenere che l'obiettivo di Hamas è quello di «instaurare uno Stato teocratico di tipo iraniano». Ma questa è una critica generica, perché non tiene conto del fatto che Hamas, dal 2004, ha smesso di parlare di «Stato islamico palestinese» per pubblicizzare il suo obiettivo come «l'istituzione di uno Stato palestinese sull'intero territorio dell'ex Mandato britannico della Palestina». Nella sua nuova Carta programmatica del 2017, Hamas non rivendica uno Stato teocratico e ha abbandonato il suo legame con i Fratelli Musulmani. Allentando i suoi tratti islamisti, è arrivato a definirsi come un movimento nazionale palestinese «con riferimenti islamici». Maiello non coglie questa evoluzione di Hamas, ma soprattutto dimentica di criticarlo per il suo peccato più grande: la storica marcia indietro rispetto alla Carta del 2017, ammettendo i confini del 1967, abbandonando la storica rivendicazione palestinese e aprendo al riconoscimento di «due Stati».
Maiello si limita a definire il programma di Hamas «reazionario» e Alcoy (6), meno diplomatico, va oltre e dice che Hamas, in quanto tale, ha un «carattere borghese e reazionario». Si tratta di un'enorme unilateralità che dimentica di sottolineare che Hamas è un movimento di liberazione nazionale, di gran lunga il più importante della resistenza palestinese, rafforzatosi nel momento del tradimento di Fatah e dell'enorme discredito in cui è caduta l'Autorità Nazionale Palestinese (Anp).
Maiello e Alcoy omettono di dire che, nonostante le profonde differenze con il programma e la strategia di Hamas (a partire dalla richiesta centrale di una «Palestina laica, democratica e non razzista, dal fiume al mare», che Hamas non assume), la sua lotta contro lo Stato sionista è enormemente progressista. E nulla ci impedisce, seguendo la massima di Lenin «colpire insieme e marciare separati», di lottare a fianco di Hamas e delle masse palestinesi contro lo Stato di Israele e le potenze imperialiste che lo sostengono.
Paradossalmente, Maiello ha parlato di «sostegno incondizionato alla resistenza palestinese e di collocarsi nel suo campo militare» e Philippe Alcoy ha fatto riferimento al diritto dei palestinesi di resistere «con tutti i mezzi a loro disposizione (...) compresa la lotta armata». Questo, se è coerente, può solo significare sostenere incondizionatamente Hamas (e le altre milizie palestinesi) nel loro scontro militare con l'esercito sionista. La Ft, tuttavia, è riluttante a questa formulazione, né chiede la più ampia unità d'azione possibile con Hamas nella lotta contro lo Stato sionista.

 

La Ft ripudia i «metodi di Hamas»

In realtà, la critica della Ft si concentra sui «metodi» utilizzati da Hamas il 7 ottobre, in particolare «l'uccisione di civili» e soprattutto il caso del festival musicale. Ma i compagni della Ft dimenticano di dire, e questa è la prima cosa che va detta, che l'azione del 7 ottobre - dei metodi parleremo più avanti - è stata un'impresa spettacolare che ha sconfitto e umiliato uno degli eserciti più potenti e criminali del mondo, ha rotto il suo assedio di 17 anni su Gaza e ci ha ricordato la vulnerabilità dello Stato sionista e la sua impotenza a porre fine alla resistenza palestinese.
Entrando nel merito dei metodi, pensiamo che sia impossibile ignorare il fatto che Hamas è una resistenza popolare senza aerei, carri armati o navi, rinchiusa nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, sottoposta a un assedio criminale e ad attacchi atroci per 17 anni. In queste circostanze, Hamas non può essere tenuto a un presunto codice morale di combattimento nella sua lotta, largamente impari, contro l'esercito di occupazione.
Né si può dimenticare che gli insediamenti israeliani intorno a Gaza (e, in generale, tutto il territorio israeliano, costruito sul saccheggio delle terre palestinesi e sulla pulizia etnica) non sono solo insediamenti costruiti su terre rubate con la violenza, ma svolgono anche un ruolo militare di accerchiamento della Striscia, collegati a una vasta rete di installazioni militari, attaccate dai miliziani e in gran parte distrutte. Allo stesso modo, bisogna tenere presente che Israele è come una gigantesca base militare dove, oltre alle truppe in servizio, ci sono 400.000 riservisti e un gran numero di civili armati.
Bisogna anche tenere presente che una cosa è la fallace propaganda sionista, massicciamente e ripetutamente riprodotta dai governi e dai media occidentali, un'altra sono i fatti reali, alcuni dei quali sono stati rivelati nelle ultime settimane, anche se sono stati rapidamente messi a tacere. Sappiamo che alcuni dei morti al festival musicale sono stati uccisi dal fuoco indiscriminato degli elicotteri militari israeliani e che - come ricorda anche Maiello - alcuni dei morti negli insediamenti al confine con la Striscia di Gaza sono stati uccisi dalle truppe israeliane che combattevano contro i miliziani palestinesi.
I compagni della Ft, lungi dal contestualizzare le «morti civili» del 7 ottobre, danno loro una centralità che può essere compresa solo dalla pressione brutale e sostenuta della campagna mediatica occidentale. Alcoy si spinge a dare giudizi morali, affermando che «rifiutare la qualifica di “terrorismo” non significa relativizzare e tanto meno giustificare i crimini di Hamas contro i civili palestinesi (7) e israeliani». Ma non dobbiamo mai equiparare la violenza dell'oppressore a quella dell'oppresso. Non possiamo etichettare come «crimini» la morte di civili israeliani, vittime della risposta militare di Hamas alla barbarie di Israele, vero responsabile della loro morte. Comprendiamo che i compagni sostengano che queste morti di civili abbiano reso più facile per il governo israeliano serrare i ranghi e lanciare, in combinazione con i governi imperialisti, una brutale campagna di propaganda per giustificare il massacro genocida contro i palestinesi. Ma non è una critica che aggiunge molto.
Abbiamo anche dei dubbi su cosa intenda Maiello quando sostiene che l'unità dei palestinesi di Gaza con quelli della Cisgiordania, con quelli che vivono ai confini del 1948 e con «i lavoratori israeliani che rompono con il sionismo (…) può essere raggiunta solo con i metodi della classe operaia, come lo sciopero generale combinato con l'intifada e con lo sviluppo di organismi di autodifesa capaci di unire tutti i settori». Quali sono questi «organismi di autodifesa capaci di unire tutti i settori» di cui parla? Sta forse proponendo, come Gilbert Achcar, leader del Segretariato Unificato, che i palestinesi rinuncino alla lotta armata?
Un aspetto che Maiello critica fortemente è la presa di ostaggi israeliani, effettuata dai miliziani palestinesi per fare pressione su Israele e poterli scambiare con le migliaia di ostaggi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Il 7 ottobre i prigionieri palestinesi erano 5200 e ora, 10 settimane dopo, sono decine di migliaia, tra cui diverse centinaia di adolescenti e bambini, la maggior parte dei quali in «detenzione amministrativa» a tempo indeterminato e tutti in condizioni disumane.
La presa di ostaggi è stata negli anni una procedura comunemente utilizzata dalle organizzazioni armate palestinesi per liberare i prigionieri palestinesi. L'attuale grave crisi politica in Israele, provocata dalla mobilitazione delle famiglie degli ostaggi, testimonia l'utilità politica della loro detenzione da parte dei miliziani palestinesi. È difficile comprendere le critiche della Ft (8) in queste condizioni e vorremmo pensare che i compagni si oppongano alle richieste dei governi occidentali e delle forze riformiste affinché Hamas li rilasci senza condizioni.

 

Sulla fraternizzazione tra i palestinesi e la classe operaia israeliana

Una delle ragioni principali della critica della Ft ai «metodi di Hamas» è che li vede come un ostacolo importante alla fraternizzazione della lotta palestinese con la classe operaia israeliana («vittima finale» del sionismo (sic), secondo Alcoy). Abbiamo visto in precedenza come Morao abbia respinto le posizioni di Lo e del Npa-c sulla fraternizzazione, criticando la falsa simmetria che esse stabiliscono tra lavoratori palestinesi e israeliani. Anche Maiello riconosce che la classe operaia israeliana è a stragrande maggioranza sionista, che svolge un ruolo chiave nel regime di colonizzazione e di apartheid e che la sua collaborazione di classe con la borghesia intorno al sionismo è forte e radicata.
Eppure, nonostante le sue stesse affermazioni, Morao ci dice che la fraternizzazione dei lavoratori e dei giovani palestinesi e israeliani è «l'unica possibilità di emancipazione per entrambi i popoli». E Maiello insiste sulla stessa idea, tracciando, ad esempio, un parallelo storico con l'occupazione nazista della Francia durante la Seconda guerra mondiale, per rivendicare la fraternizzazione tra lavoratori palestinesi e israeliani come compito essenziale e per denunciare che, come allora, qualsiasi atto che allarghi il divario tra i due è «direttamente controrivoluzionario».
Il problema di queste tesi è che, se l'Ft avesse ragione, il popolo palestinese e tutti noi saremmo condannati a una lotta senza speranza. È come se la vittoria della rivoluzione algerina fosse dipesa dalla fraternizzazione tra gli algerini e i pied noir francesi, che erano andati in Algeria per impadronirsi delle terre migliori, sostenuti dall'esercito coloniale francese.
Il noto giornalista israeliano Gideon Levi denuncia tre tratti sinistri che caratterizzano la stragrande maggioranza della popolazione israeliana, compresa la classe operaia: si considera «il popolo eletto, con il diritto di fare tutto ciò che vuole»; essendo l'oppressore, si presenta come la grande vittima e pratica una sistematica disumanizzazione della popolazione palestinese, elemento comune a tutte le pulizie etniche, proprio come i nazisti fecero con gli ebrei (9).
Il sionismo è molto più di un'ideologia. È soprattutto uno Stato coloniale e terrorista costruito sul saccheggio della terra palestinese e sulla sua pulizia etnica, uno Stato con un sistema di apartheid e una finta democrazia corrotta. Gran parte degli israeliani, compresi i lavoratori, sono una popolazione proveniente dall'estero, che vive su una terra rubata che non è la loro. Lo Stato di Israele è un'enclave militare statunitense in una regione strategica del mondo.
Una Palestina laica, democratica e non razzista, dal fiume al mare, può avere luogo solo con la distruzione dello Stato di Israele (una formulazione necessaria che non vediamo nei testi della Ft), il ritorno di milioni di rifugiati e la restituzione della terra ai suoi legittimi proprietari. Ciò significa che molti israeliani che nel corso degli anni sono venuti da altri Paesi per occupare terre, luoghi e case palestinesi saranno costretti ad andarsene, mentre una minoranza ebraica che accetterà di vivere in pace e con pari diritti con i palestinesi avrà un posto nel nuovo Stato palestinese.
La vittoria sullo Stato di Israele verrà dalla lotta del popolo palestinese, compresa la lotta armata, dalla solidarietà attiva dei popoli dei Paesi arabi e islamici della regione (che dovranno scontrarsi con le loro vili borghesie) e dalla massiccia solidarietà dei lavoratori e dei giovani degli Stati Uniti, dell'Unione Europea e del resto del mondo. Certo, la collaborazione di una piccola minoranza israeliana antisionista sarà senza dubbio rilevante, ma sostenere che la fraternizzazione sia «l'unica possibilità per l'emancipazione di entrambi i popoli» non solo è completamente fuori luogo, ma è anche un grave errore.

 

Il rifiuto della Ft di difendere lo slogan «Palestina laica, democratica e non razzista, dal fiume al mare»

La Ft non si sente a suo agio con questo slogan storico e centrale del trotskismo di fronte al conflitto palestinese e lo ha sostituito con una «Palestina operaia e socialista» (o, nella versione di Alcoy, una «Palestina operaia e socialista, laica, su tutta la Palestina storica»). Questa sostituzione è un errore gravissimo.
I compagni della Ft affermano che difendere lo slogan «Palestina democratica, laica e non razzista, dal fiume al mare» equivalga a difendere una «fase democratica» e a rinunciare al carattere socialista della rivoluzione palestinese. Ma si sbagliano a metà, perché questo slogan è oggi la principale richiesta del programma per la rivoluzione socialista in Palestina e nell'intera regione. Invece di integrare questo slogan in un programma di transizione, combinandolo con richieste economiche e sociali transitorie e socialiste e dando una dimensione regionale e internazionale alla rivoluzione palestinese (che culmini nella lotta per una federazione socialista del Medio Oriente e del Nord Africa), la Ft lo sostituisce con lo slogan «Palestina operaia e socialista».
Questo slogan rappresenta un ultimatum pretestuoso e settario che impedisce la costruzione dell'unità della lotta delle masse palestinesi e della regione, la loro unità con le masse filopalestinesi dei Paesi imperialisti e anche con la piccola e coraggiosa minoranza ebraica israeliana antisionista. Equivale a imporre loro come pre-condizione che siano d'accordo con una Palestina «operaia e socialista», invece di fare passi insieme e condurli sulla strada della rivoluzione socialista a partire dalla lotta comune per una Palestina democratica, laica e non razzista dal fiume al mare. In realtà, la posizione della Ft riflette una profonda incomprensione del significato della rivoluzione permanente.
Questo grave errore della Ft si scontra con la metodologia con cui i trotskisti hanno affrontato questi problemi nel corso della nostra storia. Trotsky scrive nel Programma di transizione che nei «Paesi arretrati» (cioè dipendenti) dobbiamo combinare «la lotta per le più elementari richieste di indipendenza nazionale e di democrazia borghese con la lotta socialista contro l'imperialismo mondiale». E aggiunge che «le parole d’ordine democratiche, le rivendicazioni transitorie e le questioni della rivoluzione socialista non si suddividono in distinte epoche storiche, ma confluiscono immediatamente le une nelle altre».
Questa stessa metodologia fu applicata da Trotsky in Spagna all'inizio degli anni Trenta, nel pieno della lotta contro la monarchia, quando scrisse ai trotskisti spagnoli invitandoli a prendere l'iniziativa nella lotta per le rivendicazioni democratiche: «Non capire questo sarebbe commettere la più grande colpa settaria. Mettendo al primo posto gli slogan democratici, il proletariato non intende dire che la Spagna si sta dirigendo verso la rivoluzione borghese. Solo dei freddi pedanti imbottiti di formule di routine potrebbero porre la questione in questo modo». Sette mesi dopo, disse loro: «Quanto più coraggiosamente, risolutamente e senza sosta l'avanguardia proletaria combatterà per le parole d'ordine democratiche, tanto prima conquisterà le masse e priverà i repubblicani borghesi e i socialisti riformisti della loro base, tanto più sicuramente gli elementi migliori passeranno dalla nostra parte e tanto più rapidamente la repubblica democratica si identificherà nella coscienza delle masse con la repubblica dei lavoratori» (10).
La disuguaglianza militare era schiacciante in Spagna. La disuguaglianza militare è ora schiacciante a favore di Israele. Ma, come ha dimostrato il Vietnam, se la lotta armata e la mobilitazione di massa nella regione si associano a una nuova Intifada, alle primavere «arabe» e a grandi mobilitazioni nei Paesi imperialisti, in particolare negli Stati Uniti e nell'Unione Europea, possiamo sconfiggere lo Stato di Israele e i suoi alleati. Per questo, lo slogan della Palestina democratica, laica e non razzista dal fiume al mare gioca un ruolo chiave e indispensabile.

 

Note

  1. https://litci.org/es/la-fraccion-trotskista-el-contraste-entre-gaza-y-ucrania/
  2. Nell'articolo si fa riferimento a varie organizzazioni che non necessariamente sono conosciute dal lettore italiano. Lutte Ouvrière è una delle principali organizzazioni francesi che si richiamano al trotskismo, in realtà combina posizioni settarie e opportuniste (in particolare accodandosi alle burocrazie sindacali, come si è visto nelle recenti lotte contro la controriforma pensionistica). Sulla Palestina (tema dell'articolo) ha una posizione molto lontana da quella storicamente assunta dal trotskismo. Il Npa (Nuovo Partito Anticapitalista) fu fondato nel 2009 dalla Lega Comunista Rivoluzionaria, la sezione del Segretariato Unificato (Su), di origine trotskista, nell'ottica (applicata a livello internazionale) di costituire «partiti anticapitalisti» come fusione dei rivoluzionari con «riformisti onesti» sulla base di un programma comune (quindi non rivoluzionario, aggiungiamo noi). Dopo aver raggruppato su queste basi confuse migliaia di attivisti, il progetto è naufragato con l'esplosione nel 2022 del Npa. Dalla scissione (in due parti di dimensioni simili) sono nate due organizzazioni (in scontro tra loro) che mantengono entrambe il nome Npa seguito da una lettera (un richiamo alle diverse frazioni del congresso di scissione). Abbiamo così il Npa-B diretto da Besancenot e Poutou, che mantiene un legame internazionale con il Su e cerca di occupare uno spazio nella sinistra elettorale riformista in alleanza con la France Insoumise di Mélenchon, avendo da tempo abbandonato ogni riferimento al trotskismo; e il Npa-c (di cui si parla in questo articolo) che raggruppa varie delle correnti che animavano la sinistra interna del Npa e che in qualche modo si rivendicano «trotskiste». La Frazione Trotskista (Ft), che è il centro della polemica di questo articolo, è un coordinamento internazionale costruito attorno al partito argentino, di origine trotskista, Pts, da anni contrassegnato da posizioni sempre più esplicitamente elettoraliste. In Francia dirige Révolution Permanente (in Italia è rappresentata dal gruppo che anima il blog La Voce delle Lotte).

(3) «Lutte Ouvrière, l'Anp-c e la lotta per l'autodeterminazione palestinese», pubblicato su Revolution Permanent il 30 ottobre 2023.

(4) Lenin, Il socialismo e la guerra.

(5) «I mezzi e i fini: la posizione dei rivoluzionari sulla strategia di Hamas», pubblicato il 6 novembre 2023.

(6) «Sostenere la resistenza palestinese è sostenere la strategia e i metodi di Hamas?», di Philippe Alcoy, pubblicato l'11 ottobre 2023.

(7) Ci chiediamo a quali «civili palestinesi» si riferisca.

(8) Per quanto riguarda gli ostaggi, consigliamo la lettura dell'opera di Trotsky, “Moralisti e psicofanti”, 9 giugno 1939.

(9) È importante notare i sinistri rapporti di collaborazione del movimento sionista con il regime nazista (si vedano i lavori di Brenner, Schoenman e Ilan Pappé, ebrei antisionisti che hanno studiato questi legami). Degna di nota è anche la perfidia sionista di utilizzare l'Olocausto per giustificare la pulizia etnica dei palestinesi, applicando gli stessi metodi dei nazisti.

(10) «I compiti dei comunisti in Spagna» (13 giugno 1930) e «La rivoluzione spagnola e i compiti dei comunisti» (24 gennaio 1931).

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