Dove sono gli ultrà?
Viaggio nel mondo del tifo organizzato /1
di Stefano Bonomi e Alberto Madoglio
"Nell'anno 2010 fui invitato ad assistere a una gara di calcio. Lo stadio era pieno, presi quindi posto in tribuna. Era uno stadio nuovo, con tutti gli spettatori rigorosamente seduti ai loro posti. Nessun colore, nessun calore. Solo un brusio era permesso all'interno di quella costruzione, perfetta nella forma, incredibile, asettica. La partita era cominciata da un po’ quando la squadra ospite passò in vantaggio tra timidi applausi: né gioia né dolore né noia né stupore. A un tratto, da un lato dello stadio illuminato dal sole, qualcosa, qualcuno, incominciò a muoversi, a tenere un comportamento strano, lontano nei tempi. Il loro brusio diventò voce, la loro voce diventò grido, il loro grido diventò boato. Dieci, cento, mille si erano uniti a loro. Quella parte dello stadio si colorò, un enorme striscione coprì le loro teste, l'incitamento diventò incessante, continuo, ritmato. Da dentro mi salì un caldo, dolce ricordo e una grande certezza: 'vivono ancora liberi per volare in un sogno'."
Non potevano che essere le parole scritte, alla fine degli anni 90, dal grande Emiliano Mondonico (1) l’apertura di quest’ articolo che cerca di proporre una lettura “dinamica” dell’ultimo fenomeno di aggregazione giovanile di massa. Se andiamo oltre le contraddizioni e oltre i pregiudizi possiamo scoprire un mondo che ruota intorno all’evento sportivo ma che vive soprattutto di “vita propria” con riti ed eccessi che può regalarci sorprese interessanti e non pochi spunti di riflessione. Prima però è opportuno avere un panorama storico del tifo organizzato e del movimento ultras.
Anni 50: Gli albori e le prime bandiere
Potremmo collocare la storia del tifo verso l’inizio degli anni ‘50, quando i tifosi delle principali squadre italiane iniziano a organizzarsi e a fondare i primi club. Con il rapido diffondersi del calcio, nell’Italia del dopoguerra, questi club si espandono molto rapidamente e coinvolgono gruppi di tifosi di tutte le città italiane. Già in questi anni compaiono le prime bandiere negli stadi italiani.
Anni 60- 70 la nascita degli Ultras, la partecipazione e i primi scontri
Già sul finire degli anni ’60 nascono in Italia i primi nuclei ultrà, gruppi di ragazzi spesso giovanissimi (tra i 15 e i 20 anni) che decidono di vivere le partite della loro squadra del cuore in maniera alternativa e innovativa, come nessuno prima di allora aveva mai fatto. Questi ragazzi si sedevano al centro della curva dello stadio e iniziarono a esporre striscioni con i vari nomi dei gruppi, oltre a bandiere con i colori della propria squadra. La caratteristica principale di questi nuovi gruppi è la partecipazione attiva alle partite, al contrario di come si era sempre fatto, scoprendo e sviluppando un senso di aggregazione che diventerà un elemento fondamentale per tutti i gruppi ultras.
Sempre in questo periodo compaiono negli stadi le trombe e i tamburi (già esistenti nelle tifoserie brasiliane) e gli ultras copiano dagli inglesi la “sciarpata”: le sciarpe sono alzate e distese dai tifosi mostrando i colori della propria squadra e creando quindi un notevole effetto ottico. Fanno la loro entrata negli stadi italiani anche i primi fumogeni, razzi e bengala che costituiscono una sorta di coreografia. È proprio negli anni ’70, dunque, che il tifo diventa sempre più parte integrante della partita e dalle curve nascono sempre più spesso cori e canti d’incitamento per la propria squadra: i tifosi diventano quindi il cosiddetto “dodicesimo giocatore”.
Due nuovi elementi compaiono in modo esplicito all’interno dei gruppi ultrà: l’elemento politico e la violenza. Infatti, sempre più spesso negli stadi italiani ci sono bandiere raffiguranti armi o elementi che richiamano comunque la violenza, come pure bandiere che con simboli politici veri e propri di opposte tendenze politiche (croci celtiche, svastiche, immagini di Che Guevara, falce e martello etc.).
Il biennio 1968-69 porta con sé una spinta di radicale cambiamento ed è percepito, anche nel nostro Paese, come autentico spartiacque dal quale i rapporti e le relazioni sociali nel loro complesso usciranno mutate in modo sostanzialmente irreversibile. Quanto accade in molte sfere del sociale e del politico si ripercuote anche nell’ambito del tifo sportivo. Sugli spalti prende fisicamente corpo una rivolta dello stile, un rigetto degli standard comuni a vantaggio di modi e forme di tifare anticonformiste e ribelli: nascono, così, proprio alla fine degli Anni Sessanta i primi gruppi ultras. Queste nuove forme aggregative si distinguono per alcune caratteristiche del tutto specifiche e omogenee: il coinvolgimento di ragazzi molto giovani (mediamente dai 14 ai 18 anni e normalmente legati da un preesistente rapporto amicale) che prendono possesso delle zone più popolari dello stadio (spesso si tratta delle “curve”) e cominciano a seguire la propria squadra anche in trasferta in modo piuttosto regolare; la ricerca di visibilità, protagonismo, identità che da un lato si esprime in un modello innovativo delle pratiche del tifo, sia a livello collettivo (grandi striscioni con il nome del proprio gruppo, maxi-bandiere e primi accenni di spettacoli coreografici, sostegno corale continuo con voce, tamburi, trombe, ecc.) sia a livello individuale (look militante ed aggressivo con abbondante uso di gadgets della propria squadra, quali sciarpe, cappelli, maglie, distintivi, ecc.), ma che dall’altro talvolta degenera in comportamenti aggressivi o apertamente violenti; la contaminazione con le esperienze politiche o pre - politiche del tempo per molti di questi ragazzi che li porta ad assumere dimestichezza con i principi basilari dell’organizzazione ed il senso della militanza (talvolta anche totalizzante) consentono al movimento di radicarsi prima e di crescere notevolmente poi, sia da un punto di vista quantitativo sia qualitativo ed, inoltre, le etichette politico-ideologiche dei primi gruppi ultras spesso si rivelano decisive per determinare una prima, complessa, rete di inimicizie e rivalità tra tifoserie che in pochi anni coinvolgerà l’intero panorama nazionale del tifo. Se è pur vero che la comparsa degli ultras nello scenario degli stadi italiani può essere intesa come una sorta di evoluzione e rielaborazione di quella piccola-grande tradizione di tifo che si era affermata con i club organizzati (nati, spesso su iniziativa delle stesse società calcistiche, nel corso degli Anni Sessanta), la stessa radicalità del modello ultras alimentò e si alimentò sin dagli esordi di una continua ricerca di differenziazione e di competizione: di differenziazione, anzitutto, nei confronti del pubblico non ultras che, continuando a rivolgere l’attenzione prevalentemente alla partita e non ai riti e alle pratiche del tifo, spesso è considerato con ostilità o estrema freddezza da parte di questi nuovi “supertifosi”; di competizione con i tifosi avversari in quanto il tifo serve non solo per aiutare la propria squadra ad avere la meglio sul campo (missione originaria), ma ben presto, quando la proliferazione dei gruppi ultras li mette ripetutamente a confronto, diventa anche una perenne sfida tra opposte tifoserie, consumata non solo sul piano dell’incitamento vocale o spettacolare ma talvolta anche su quello dell’intimidazione, dell’aggressività e del confronto fisico tout court.
Anni 80: espansione del movimento Ultras
In questo decennio avviene un progressivo e rapido ingrandimento di tutti i gruppi ultrà. Dal nord e dal centro Italia il fenomeno ultras si sposta anche al sud, fino ad arrivare a interessare anche le categorie minori. Ormai in tutte le città italiane sono presenti gruppi di ragazzi che danno vita alla tifoseria locale. Questo moltiplicarsi dei gruppi ultrà genera, inevitabilmente, la nascita di una complessa rete di amicizie e forti rivalità. In questi anni l’immagine degli ultras si propone come modello continentale, dando il via a un movimento che toccherà l’Europa intera. Gli ultrà italiani, pur ammettendo le influenze inglesi, si considerano superiori agli hooligans nordici sia nel tifo sia nella “forza d’urto”, anche grazie al fatto che le squadre di calcio italiane possono contare su un seguito di tifosi assai più ampio e costante rispetto al passato. Nel panorama ultrà italiano prende sempre più valore la trasferta, momento fondamentale nella vita di un ultras, alla quale partecipano solo i tifosi più attaccati ai colori e incuranti dei pericoli. L’aumento del pubblico in trasferta rese necessario un maggiore sforzo per organizzare il trasporto da parte delle Ferrovie dello Stato. Per non intasare ogni domenica i già affollati treni di linea, si crearono i cosiddetti “Treni speciali”, adibiti esclusivamente al trasporto dei tifosi in trasferta.
Negli anni ’80 le tifoserie iniziano a creare coreografie sempre più spettacolari, chiedendo molto spesso un contributo economico alle società, anche se mai apertamente dichiarato. Di pari passo la cronaca nera molto spesso si deve occupare di ciò che avviene negli stadi. Si diffonde l’uso delle armi da taglio, soprattutto a Milano e Roma. I disordini nei giorni delle partite si moltiplicano anche nelle piccole città. Nel febbraio del 1984 il match di Coppa Italia fra Triestina e Udinese si conclude con gravi scontri: un giovane tifoso triestino, Stefano Furlan, è ripetutamente colpito dalle manganellate degli agenti di polizia, entrando in coma e morendo il giorno successivo. Solo otto mesi più tardi, al termine di Milan – Cremonese, è accoltellato a morte Marco Fonghessi. Nel corso degli anni ’80 si registra un aumento di consumo di cannabis in quasi tutte le curve italiane. La stessa simbologia ultrà è radicalmente trasformata e le immagini della foglia di marijuana fanno comparsa su decine e decine di striscioni appesi negli stadi.
Anni 90: La metamorfosi del tifo organizzato.
Nel corso degli anni novanta ci troviamo di fronte ad una forte crisi del movimento ultrà, che di conseguenza lascia presagire profondi cambiamenti che muteranno in modo concreto una parte fondamentale del mondo del calcio e non solo. Quella degli ultras è sia una crisi generazionale quanto di vera e propria sopravvivenza in un sistema che impone un cambiamento e che rischia di trasformarsi in una moda più che in uno stile di vita. I forti ostacoli tra i vari gruppi legati a concetti campanilistici e politici ne impediscono una profonda collaborazione.
Agli inizi degli anni novanta gli ultrà sono una realtà consolidata, riescono a influenzare le scelte societarie, preparano spettacolari coreografie e intonano grandi canti ripresi con stupore dalle televisioni nazionali, portando addirittura alla ribalta alcuni leaders ultrà facendoli diventare personaggi famosi. Il crocevia di quel periodo avviene il 29 gennaio 1995 con l’omicidio di Claudio Spagnolo, tifoso genoano, accoltellato da un tifoso milanista. Questo fatto scatena immediatamente un forte dibattito che vede coinvolte istituzioni, opinione pubblica, gruppi ultrà e media. Il mondo ultras si trova in un momento difficile con diversi problemi legati al frazionamento delle curve in piccole frange, lo scioglimento di storici gruppi che fino allora facevano da punto di riferimento, il tutto sintetizzabile come una forte crisi d’identità dell’ambiente ultras. Si arriva a un preannunciato e doveroso raduno degli ultrà, in occasione del quale si fermarono persino i campionati di calcio, dove, però, non si ottennero grandi risultati ma solo un comunicato sintetico dal titolo “basta lame basta infami” ispirato dalla mentalità conservatrice degli ultrà bergamaschi.
Negli anni successivi il progressivo frazionamento dei gruppi organizzati e l’avvento delle nuove generazioni mostrarono una situazione complicata da gestire che sembrava aver smarrito i valori costruiti in decenni di permanenza. In un sistema di grandi cambiamenti come l’avvento della pay-tv e da una forte presa di posizione delle forze dell’ordine e dello Stato nei confronti degli ultras, il proseguimento dei raduni mostrava come fosse presente nella coscienza degli ultrà la pericolosità di quel momento storico che sembrava potesse portare anche alla loro estinzione. Si comincia a parlare di “calcio moderno”, le tifoserie si schierano contro la nuova tipologia di tifo che vede il sopravvento della pay-tv, il progressivo frazionamento delle partite e le maggiori restrizioni nel poter accedere agli stadi sia in casa sia in trasferta ma la cosa più rilevante è che l’entità dei gruppi ultras inizia a mutare. La curva è gestita con un aspetto sempre più imprenditoriale e sempre meno legato alla mentalità ultrà che trovava le sue origini negli anni ’70. S’innesca il fenomeno delle grandi coreografie, imitate in tutta Europa, dove da sempre il tifo italiano è fonte d’ispirazione. Le coreografie diventano sempre più impressionanti, costose e indispensabili per ogni partita di cartello, sostituendo progressivamente il lancio di coriandoli e fumogeni, caratteristica del passato. S arriva in molti casi a una fusione dei due ambiti.
Negli anni ’90 alcuni gemellaggi o semplici rapporti d’amicizia vengono meno ma la maggioranza di questi rimangono forti come ad esempio quello tra Torino e Genoa, mettendo in luce l’importanza di questi rapporti ed evitando di mettere a rischio un gemellaggio per colpa di gesti isolati. Gli ultrà si attivano anche con giornali fanzine e siti internet per esprimere il proprio sdegno contro le numerose diffide e far sentire la propria voce contro ogni ingiustizia dei nuovi provvedimenti. Emblematico fu lo striscione esposto che recitava: “leggi speciali, oggi in curva, domani in tutta la città”.
(prima parte, segue)
Note
1) Emiliano Mondonico (Rivolta d'Adda, 9 marzo 1947) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo ala.