Partito di Alternativa Comunista

Il Congresso di fondazione della Fed

Il Congresso di fondazione della Fed

FERRERO E DILIBERTO IN MARCIA

VERSO UNA TERZA AVVENTURA DI GOVERNO

 

di Francesco Ricci

Si è concluso ieri il congresso fondativo della Fed, cioè della federazione tra Rifondazione Comunista e Pdci. A parte il nuovo simbolo (in cui la parola “sinistra” sostituisce quella “comunista”) cosa ha deciso il congresso delle due forze che, pur in crisi profonda e ridotte ai minimi termini, continuano a essere il punto di riferimento per diverse centinaia di attivisti? Apparentemente due cose, in realtà una sola. Vediamo.

 

 


 

fondazione fed

 

Prima decisione: alla vigilia di probabili elezioni, Rifondazione e Pdci sono pienamente disponibili a rientrare (per la terza volta) in un’alleanza di centrosinistra guidata dal Pd. Siamo di fronte, cioè, alla definitiva e conclamata sepoltura della “svolta a sinistra” con cui solo due anni fa Ferrero, sostenendo di fare “autocritica” per la disastrosa esperienza di governo, annunciava un complessivo ripensamento dei rapporti con il centrosinistra. Quel “ripensamento” non ha mai comportato in realtà nulla di concreto, visto che Rifondazione e Pdci hanno continuato a governare col Pd in regioni, comuni e provincie. Le parole non si sono mai tradotte in fatti. La novità è che ora anche le parole vengono archiviate e ritorna la litania sulla “necessità di battere le destre” che renderebbe obbligata la scelta di allearsi nuovamente anche sul piano nazionale col Pd di banchieri e industriali.  Questa è la sola vera decisione del congresso, anche se è accompagnata (e coperta) da una seconda decisione.

Seconda decisione: l’accordo elettorale col Pd (la cosiddetta Alleanza democratica) non comporterà (in caso di vittoria del centrosinistra) un ingresso diretto di esponenti di Prc e Pdci nel governo. Questa seconda decisione – su cui i gruppi dirigenti della Fed hanno posto l’enfasi – ha in realtà l’unica funzione di far digerire il boccone amaro ai militanti. La “rinuncia” a ministri in un prossimo governo di centrosinistra è infatti una constatazione più che una scelta: visto il peso della Fed (stimata nei sondaggi tra l’1 e il 2%) nessuno ha intenzione di offrire ministeri alla Fed, a cui sarà chiesto dal centrosinistra solo di portare un pacchetto di voti e di contribuire (insieme alle burocrazie sindacali) a svolgere un ruolo di pompieraggio per difendere dalle lotte dei lavoratori le politiche anti-operaie che l’eventuale futuro governo di centrosinistra attuerà, sotto dettatura della Marcegaglia e di Marchionne, per fare pagare la crisi economica (che è lungi dall’essere finita) ai lavoratori.

Come si vede la scelta del congresso si riduce a una: la Fed diretta da Ferrero, ex ministro del secondo governo Prodi, e da Diliberto, ex ministro del primo governo Prodi, è pronta a rinunciare ancora una volta a ogni indipendenza da un governo dei banchieri. Presentare come discontinuità col passato la “rinuncia” ai ministeri oltre a essere un inganno, come abbiamo detto, è anche uno slogan poco originale. Già col primo governo Prodi (maggio 1996 – ottobre 1998) Rifondazione (a differenza del Pdci che entrò nel governo) annunciò che si sarebbe trattato “solo” di un accordo elettorale “per battere le destre”. Vinte le elezioni, ovviamente, l’accordo elettorale si trasformò in un accordo di maggioranza (a quel punto con la scusa di non far cadere il governo e non far ritornare le destre) e Rifondazione sostenne una per una tutte le misure del governo Prodi, in nulla distinte da quelle dei governi Berlusconi: dal “pacchetto Treu” che spianava la strada alla precarietà dei contratti; alla “Turco-Napolitano” che apriva i lager per gli immigrati. Le stesse politiche anti-operaie, di guerra sociale contro i lavoratori e di guerra militare con le missioni militari dell’imperialismo all’estero che Rifondazione e Pdci sostennero poi anche nel secondo governo Prodi (maggio 2006 – maggio 2008), stavolta entrando direttamente nel governo.

Come l’esperienza dei due governi Prodi ha dimostrato concretamente a migliaia di militanti e a milioni di lavoratori e di giovani, il problema non è entrare o non entrare nel governo. Il problema è se si costruisce una opposizione alle politiche dei governi dei banchieri oppure se le si sostiene più o meno criticamente. Il congresso della Fed ha scelto la seconda strada. Si tratta di una scelta gravissima non solo perché significa ripercorrere lo stesso sentiero già battuto due volte: ciò che è più grave è fare una simile scelta di collaborazione di classe proprio in una fase in cui in Europa, a partire dalle mobilitazioni gigantesche in Grecia e in Francia, arrivando all’ascesa delle lotte, pur con ritmi differenti, in tutto il resto del continente (Italia inclusa), la lotta di classe sta crescendo in contrapposizione a governi identici a quello che (nell’ipotesi di una vittoria elettorale del centrosinistra) la Fed si troverebbe a sostenere tra qualche mese.

Questi sono i fatti. Ai militanti della Fed che non intendono subire questa ennesima (e con ogni probabilità definitiva) disfatta, non resta che abbandonare gli ex ministri Ferrero e Diliberto alla loro vocazione di collaborazione di classe che ha come scopo unico quello di trovare una collocazione personale a una burocrazia dirigente. I comunisti, i lavoratori, i giovani devono lottare per una diversa prospettiva: forgiando, al fuoco delle lotte che stanno riscaldando l’Europa, un nuovo partito comunista, cioè contrapposto alla borghesia e a tutti i suoi governi, siano essi di centrodestra o di centrosinistra. Quel partito che serve per sviluppare, coordinare e quindi rendere efficaci lotte, manifestazioni, scioperi nella prospettiva di un governo dei lavoratori, unica prospettiva realistica di fronte al baratro in cui i governi borghesi di ogni colore stanno trascinando l’Europa.

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