La lotta per il clima, i movimenti per l’ambiente
e l’importanza di indicare l’unica strada possibile.

di Giacomo Biancofiore
«Non
vogliamo le vostre speranze, vogliamo che vi uniate a noi. Questo
sciopero viene fatto oggi perché i politici ci hanno
abbandonato. Conoscono la verità sul cambiamento climatico e
ciò nonostante hanno ceduto il nostro futuro agli
approfittatori, il cui desiderio di denaro veloce minaccia la nostra
esistenza» sono le parole con cui Greta Thunberg, una sedicenne
svedese, ha ispirato la protesta globale che il 15 marzo scorso ha
coinvolto per lo più i giovani di 150 Paesi del mondo scesi in
piazza per il primo Global strike.
Tra
i 150 Paesi c’è anche l’Italia, dove la mobilitazione per
salvare il pianeta ha riempito le piazze di circa 180 città e,
grazie alla diffusione tra gli studenti del movimento Fridays
for future, tutt’oggi
il venerdì ci sono in varie piazze dei presìdi in cui
si chiedono ai politici provvedimenti per fermare il surriscaldamento
del pianeta e contrastare i cambiamenti climatici.
Ad
un mese dalla manifestazione del 15 marzo circa 500 tra ragazzi e
ragazze hanno affollato l’aula magna Levi dell’Università
Statale di Milano con l’obiettivo di dare vita alla rete italiana
di Fridays for future e di dare continuità alle mobilitazioni
per il clima per la riduzione delle emissioni di CO2 e la
decarbonizzazione.
Il Fridays for future e le lotte per l’ambiente
Se
a molti è venuto naturale collegare la manifestazione in
difesa del clima del 15 marzo con il grande e partecipato corteo di
Roma del 23 contro le grandi opere inutili non si può dire che
i giovani del Fridays for future abbiano condiviso la stessa
prospettiva; certo l’interesse per le altre lotte ambientaliste non
è da escludere ma, almeno per il momento, le dinamiche che
stanno legando questi ragazzi sono lontane dalle logiche scontate dei
movimenti tradizionali.
Ovviamente
il rischio che i seguaci italiani di Greta Thunberg possano essere
fagocitati dai grandi tentacoli dei sindacati studenteschi è
alto, anche perché, i terribili giovani «moscardini»
subordinati ai grandi «octopus» sindacali hanno un modus
operandi che se è riuscito ad intossicare movimenti simili con
all’interno anche attiviste scafate come Non una di meno
figuriamoci schietti giovani che giustamente si definiscono «la
prima generazione a subire gli effetti del riscaldamento climatico e
l’ultima che può fare qualcosa».
Probabilmente
il «bisogno» che ha mosso Greta Thunberg e a seguire
milioni di giovani in tutto il mondo non è diverso dai
«bisogni» che hanno mosso intere popolazioni, almeno
prima che la repressione non le ridimensionasse, e attivisti che
conducono complesse lotte ambientali nei posti più disparati
del Paese e che hanno provato a trovare una sintesi in quel
lunghissimo fiume di rivendicazioni che ha invaso Roma il 23 marzo.
La responsabilità della corsa sfrenata al profitto
Il
bisogno di cambiare i comportamenti individuali e la necessità
di fermare i disastri ambientali accomunano senz’altro le buone
intenzioni di milioni di persone che sanno bene che il mondo così
com’è è destinato all’autodistruzione e questa è
certamente la leva che smuove le coscienze nelle innumerevoli lotte
ambientali. Tuttavia, sarebbe un errore clamoroso considerare
l’umanità intera responsabile in egual misura di queste
tragedie, trascurando che la corsa sfrenata al profitto di quell’1%
che concentra nelle sue mani la stragrande maggioranza delle
ricchezze del pianeta è la principale responsabile
dell’inquinamento globale.
Sebbene
sia lodevole il mobilitarsi per «fare qualcosa» di
un’intera generazione non possiamo ingannarli facendogli credere
che la strada da percorrere per salvare il pianeta è quella
che, attraverso piccoli, apprezzabili e doverosi gesti quotidiani
porta al cambiamento delle nostre abitudini, bensì abbiamo il
disagevole compito di ribadire che è oggi più che mai
necessario e urgente ribaltare questa società e porre la
produzione sotto il controllo delle masse popolari, unica strada per
liberarla da ogni forma di sfruttamento.
Dopodiché
il compito dei comunisti si fa ancora più impegnativo, perché
non possiamo sottrarci dal rovinare la festa delle straordinarie
manifestazioni del 15 e del 23 marzo, non possiamo esimerci dallo
spiegare ai giovani ed i meno giovani che, come sostiene Marx
(L’Ideologia tedesca): «(...) la rivoluzione non è
necessaria soltanto perché la classe dominante non può
essere abbattuta in nessuna altra maniera, ma anche perché la
classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a
levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a divenire capace di
fondare su basi nuove la società».
La continuità dei movimenti e il partito di Lenin
E
la parte più difficile, ma al contempo necessaria, è
spiegare a chi partecipa ed è attivo in queste lotte per la
salvaguardia dell’ambiente che non si può prescindere da un
partito che nel vivo delle lotte riesca a sviluppare il passaggio
della classe da «classe in sé» (cioè da
classe definita in base al posto che occupa oggettivamente nel
processo produttivo) in «classe per sé» (che cioè
ha coscienza del proprio ruolo complessivo di classe contrapposta
alla classe dominante).
Perché
serve il partito per far maturare questo processo? Perché il
partito deve intervenire in ogni movimento di lotta?
Perché
i movimenti di lotta non hanno continuità, sono soggetti a
flussi e riflussi; non hanno memoria delle vittorie e delle sconfitte
e nel loro sviluppo spontaneo tendono «a subordinarsi
all’ideologia dominante» (Lenin, Che fare?). Il partito,
viceversa, può garantire la continuità organizzata, la
memoria e soprattutto l’elaborazione. Elaborazione che necessita di
quadri educati e formati (con lo studio individuale e con la
formazione collettiva), di dibattito (perché la «linea
giusta» non nasce nella testa dei migliori dirigenti, ma dal
confronto tra tante teste, ciascuna riflesso non meccanico di un
segmento della realtà).
E’
vero, l’entusiasmo dei giovani, i grandi sentimenti che stanno
muovendo le manifestazioni, il bisogno di cambiare il mondo dei
movimenti e delle lotte per l’ambiente «ci possono portare
lontano», ma chi pensa di sedurli con l’inganno o
compiacendoli con obiettivi rassicuranti sarà ancora una volta
complice dell’unico nemico comune: il capitalismo.