Nucleare: un ritorno al passato
UN
SISTEMA DEVASTANTE, ARRETRATO COME IL CAPITALISMO
Il tentativo dei due poli borghesi di riportarlo
in Italia
di Claudio Mastrogiulio
Per bocca del neoministro alle Attività
Produttive Claudio Scajola, si è prospettata l'intenzione del governo Berlusconi
IV di effettuare uno storico salto all'indietro lungo 21 anni, quello cioè del
ritorno alla produzione energetica nucleare. Scelta più reazionaria in campo
energetico non poteva realizzarsi.
Nel 2007, infatti, l'ex ministro allo Sviluppo economico del governo Prodi,
Bersani aveva annunciato che di lì a pochi mesi sarebbe stata individuata
un'area in cui realizzare un deposito unico nazionale di scorie radioattive (ciò
dimostra la falsità del centrosinistra che nel 2003, in occasione delle proteste
contro il deposito unico di scorie nucleari a Scanzano Jonico, utilizzò il
movimento di lotta come passerella elettorale). Questo sarebbe stato il naturale
passo, una volta superato il quale, avrebbe poi aperto la strada ad un
prepotente ritorno del nucleare su vasta scala. Le motivazioni che ci portano ad
affermare la nocività del nucleare sono un riflesso interpretativo misurato
dall’inoppugnabilità dei dati macroeconomici e soprattutto tecnico-scientifici.
La presunta necessità del nucleare:
qualche dato di una scelta di classe e militarista
La quasi totalità dei rappresentanti (a
diversificarne l’approccio è solo qualche residuale distinguo) di quel manipolo
di genuflessi funzionari dei poteri forti che chiamano Parlamento, vede come una
scelta necessaria per rilanciare il “sistema Paese” quella del
nucleare. Per inciso è doveroso rimarcare la pericolosità della necessità
estrinsecata dalle vuote calotte craniche dei suddetti rappresentanti, basti
pensare alle necessità dei Cpt, alle necessità delle
finanziarie lacrime e sangue, alle necessità dei decreti xenofobi e
razzisti, alle necessità delle privatizzazioni delle pensioni e
dell’allungamento dell’età pensionabile, alle necessità della
precarizzazione del lavoro salariato ecc.
Ultima, soltanto in ordine di tempo, la
necessità del nucleare. Tutte queste necessità denotano un marcato
segno di classe, evidenziabile in forma doppiamente lapalissiana riguardo la
questione del nucleare. Evidente soprattutto per due criteri centrali come
quello della pericolosità del nucleare in quanto tale e della sua onerosità
economica. La maggioranza di governo pensa di poter risolvere grazie al ritorno
al nucleare il problema della dipendenza energetica dalla Russia e in particolar
modo dai Paesi sauditi, grandi produttori di petrolio. Bisogna innanzitutto
rimarcare il fatto che oggi, la “panacea” delle problematiche che attanagliano i
Paesi maggiormente industrializzati (il nucleare, ndr), copre appena il 6,4% del
fabbisogno mondiale dell’energia.
Altra importante incongruenza rispetto ai
proclami, populisti e reazionari al contempo, del governo Berlusconi IV e di chi
lo appoggia in questa scelta, è quella che determina lo stato dell’arte riguardo
l’uranio fissile necessario per la produzione industriale del nucleare. Il dato
è incontrovertibile: già nel 2001 le riserve avrebbero potuto attenuare la
centralità delle altre fonti energetiche per soli 35 anni; a pubblicare questi
dati è stato il rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica
(Aiea) delle Nazioni Unite (non certamente l’Iskra dei bolscevichi!).
Qualcuno, imbeccato da qualche studioso il
cui nome è inserito nel proprio libro paga, potrebbe ricorrere all’uranio 238,
certamente ben più abbondante in natura ma non fissile. Per questo semplice
motivo ha bisogno di un dispendioso (a livello industriale) processo di cattura
di un neutrone che sarebbe trasformato in plutonio che poi, detto fuori dai
denti, è anche il principale componente per le bombe!
Come si noterà si tratta di un materiale che
ha connaturato nelle proprie peculiarità il rischio di una imponente
proliferazione militare rendendo ancor più infungibile il cosiddetto “nucleare
civile” dal vero e proprio nucleare militare (protetto da segreto di Stato e
perciò lasciato completamente all’arbitrio decisionale delle maggioranze
borghesi che si susseguiranno). Sulla base di questo consolidamento si è
caratterizzata la natura degli ultimi atti del governo Prodi (con l'appoggio di
tutta la sinistra sedicente "radicale") che impongono il segreto di Stato su
tutto ciò che concerne il nucleare. Addentrandoci ancor più nelle conseguenze
economiche che una scelta di questo genere comporterebbe bisogna sottolineare
che: per costruire un reattore nucleare da mille megawatt, tenendo conto delle
stime del Mit (Massachusetts Institute of Technology; anch’esso non tacciabile
di bolscevismo!) attestate al 2003, servono due miliardi di dollari. Ancora il
Doe (il ministero per l’energia statunitense) oggettiva i costi di produzione
del nucleare, con nuovi impianti, in 6,33 centesimi per ogni chilowatt (khw);
esosi in maniera siderale se si pensa che produrre con il carbone costa 5,61
centesimi per chilowatt mentre con il gas costa 5,52 centesimi per khw.
L’eolico, pulito da un punto di vista ambientale, costa 6,8 centesimi. A questa
mole di costi che il nucleare comporta va aggiunto un forte contributo
governativo di 1,8 centesimi/khw innalzando così l’effettivo costo di produzione
a poco più di 8 centesimi/khw; ancora deve aggiungersi tutto lo sforzo economico
necessario per lo smantellamento (il cosiddetto decommissioning) delle
vecchie centrali che ammonterebbe ad una cifra oscillante tra i 500 milioni ed i
2,6 miliardi di euro. L’immensa portata di questo dispendio economico andrà
evidentemente a cadere sulle teste e soprattutto nelle tasche dei lavoratori
italiani; mai nella storia del dominio borghese si è osservato che un
investimento così strutturalmente importante resti nell’alveo della totale
privatizzazione dell’impresa. Nel sistema che ha come suo elemento ideologico
fondamentale il profitto si riscontra infatti che soltanto quest’ultimo si
connoti nell’ambito della caratterizzazione privatistica; tutto il resto
(l’investimento strutturale, i costi d’impresa, gli incentivi, i tecnici etc.)
vengono accollati dagli Stati nazionali che, da buoni mediatori finanziari dei
poteri forti, prospettano loro le migliori garanzie di guadagno. Ovviamente
questi Stati nazionali ricavano la propria base economica in termini di imposte,
da far pagare salatamente ai lavoratori salariati di quello stesso Paese. Anche
in questo particolare si denota la natura di classe del progetto nuclearista.
La pericolosità del nucleare
Il secondo nodo è quello riguardante la sicurezza: il rischio
dell’utilizzo dell’uranio 238 che, trasformato in materiale fissile diventa
plutonio, riguarda anche l’aspetto prettamente sanitario, basti pensare che
finanche un solo milionesimo di grammo di tale sostanza sarebbe letale per
l’uomo con cui entra in contatto. Oltre a questo v’è da prendere in
considerazione la questione cruciale delle scorie radioattive provenienti dalla
fabbricazione e dall’impiego del combustibile nucleare. Nemico mortale per la
salute umana è il contatto delle scorie con l’acqua che, per la sua capacità di
fessurazione di qualsiasi contenitore e conseguente messa in circolo del
materiale radioattivo.
La verà necessità è distruggere
questo sistema arcaico, il capitalismo
Le reali alternative necessarie per opporsi
a questo stato di cose rappresentano un discrimine tra le organizzazioni
opportuniste e quelle comuniste, nella misura in cui le prime si accontentano di
proporre delle vuote e minime rivendicazioni circa una qualche forma di
ambientalismo; mentre le seconde hanno la capacità di leggere con gli occhiali
della lotta di classe e di proporre le uniche soluzioni compatibili... con gli
interessi delle masse. Per tale motivo riteniamo che l’approccio che debba
caratterizzare la nostra e l’azione di chi ritiene di potersi collocare al di
qua di questa barricata sia quello incentrato sulla caratterizzazione di classe,
oltre che del nucleare (come si è tentato di mostrare nelle righe precedenti),
anche di quelle forme alternative (sul piano ambientale ma non, attualmente, su
quello economico) come l’eolico, le biomasse, il solare etc. Certamente questi
elementi innovativi potranno presentarsi come realmente alternativi e
progressivi solamente nella misura in cui a essere capovolto non sarà soltanto
il merito della produzione ma anche il modo della produzione.
Nell’attualità dell’oggi assistiamo, ad
esempio, alla presenza di una schiera che potremmo definire contro-lobbistica (e
non anti-lobbistica) da parte di quelle aziende multinazionali che ricavano
profitto nella produzione dell’eolico e del solare. Questi gruppi industriali
goffamente celano, dietro un presunto filantropismo ambientalistico, la loro
brama di guadagno che è forse più subdola e sottile di quella nuclearista ma che
comunque permane in tutto il suo portato marcatamente di classe.
È per questo semplice motivo che pensiamo debba rappresentare un punto polare nella lotta al nucleare la più ampia e inglobante lotta per l'abbattimento del sistema capitalistico e le sue logiche sfruttatrici ed accaparratrici, consapevoli del fatto che soltanto con un sistema che tenga conto dei bisogni sociali dei tanti e non degli appetiti di profitto dei pochi si potrà raggiungere un reale superamento delle storture, e tra queste il nucleare ne rappresenta una delle più importanti, dell’attuale sistema economico-sociale.
È per questo semplice motivo che pensiamo debba rappresentare un punto polare nella lotta al nucleare la più ampia e inglobante lotta per l'abbattimento del sistema capitalistico e le sue logiche sfruttatrici ed accaparratrici, consapevoli del fatto che soltanto con un sistema che tenga conto dei bisogni sociali dei tanti e non degli appetiti di profitto dei pochi si potrà raggiungere un reale superamento delle storture, e tra queste il nucleare ne rappresenta una delle più importanti, dell’attuale sistema economico-sociale.