Partito di Alternativa Comunista

VOLGARE ATTACCO DEL PCL AL PDAC

VOLGARE ATTACCO DEL PCL AL PDAC

I massimi vertici del Pcl fanno girare un lunghissimo testo pieno di sgrammaticature e di brani di irresistibile (ancorché involontaria) tragica comicità contro il Pdac.

 

Scopo contraddittorio del testo è quello, dopo aver ripetuto con insistenza che il Pdac sarebbe isolato, di fare un pubblico appello a tutte le forze politiche e di movimento "a isolare il Pdac" (forse perché godiamo di relazioni e radicamento ben superiore al Pcl?).

Il testo prosegue con una lunga sequenza di calunnie, insulti a singoli compagni, rievocazioni di vecchie vicende legate al 2006, quando la maggioranza dei quadri giovani e il grosso della parte più attiva e militante dell'allora Progetto Comunista ruppe con l'ala ferrandiana per dare vita al Pdac.

La cosa più significativa del testo è che, nonostante la lunghezza spropositata, non contiene una sola critica politica al Pdac. Solo insulti, bugie, vere e proprie calunnie.

 

I capi del Pcl non sono nuovi a questi metodi contro di noi. E' dal 2006 che si sono inventati una presunta cassa di Progetto Comunista con cui saremmo scappati. Per l'uso di questi metodi calunniosi hanno già subito da tempo la condanna della gran parte delle organizzazioni internazionali che si richiamano al trotskismo. La calunnia è un metodo che nella storia è stato usato più volte contro i comunisti: prima dai menscevichi, poi dagli stalinisti. Certo ognuno si sceglie i suoi maestri. Stavolta però si è passato il segno. Infatti nel farneticante testo la abituale calunnia è accompagnata da richiami alla polizia: un fatto davvero inquietante da parte di un gruppo che si proclama "leninista".

 

Per parte nostra, non ci abbassiamo a rispondere su questo livello. Non replichiamo alle calunnie: sia perché il nostro metodo è quello della polemica politica, anche aspra, ma sempre priva di insulti e falsità; sia perché servirebbe un libro per rispondere punto per punto alla sistematica falsificazione che viene operata, a cumuli di bugie o anche di semplici sciocchezze. Non facciamo il gioco di chi vorrebbe parlare di fatti inventati per tacere di quelli reali.

Tantomeno replichiamo alle loro minacce legali. Se avessimo voluto rispondere ai capi del Pcl con i loro stessi mezzi, in questi anni avremmo più volte dovuto denunciarli alla magistratura borghese per calunnia e diffamazione. Ma noi, a differenza dei capi del Pcl, non frequentiamo le questure.

 

Il nostro giudizio politico sul Pcl lo abbiamo espresso in dettaglio in un articolo pubblicato qualche tempo fa, che ripubblichiamo qui. Essendo stato scritto prima delle amministrative, non contiene nessun riferimento al sostegno che il Pcl ha dato al secondo turno a Pisapia, principale candidato dei banchieri e degli industriali a Milano. Vicenda che conferma quanto avevamo scritto e che è il degno coronamento della inevitabile deriva di una politica semi-riformista.

 

Sul Pcl non abbiamo altro da aggiungere. Peraltro non siamo stati noi a coniare la definizione di "clamoroso bluff" per il gruppo di Ferrando. Una definizione ormai diffusa. Un giudizio aspro ma in gran parte condiviso persino dai pochi militanti attivi rimasti lì dentro.

 

 

_________________________________________________________________________

(riportiamo qui di seguito un articolo pubblicato qualche mese fa sul nostro sito)

 

 

Polemica. La deriva a destra del Pcl di Ferrando

LO STRANO CASO

DI UN PARTITO VIRTUALE

A cinque anni dalla rottura di Progetto Comunista:

due concezioni opposte alla prova dei fatti

 

 

di Francesco Ricci

 

Fanno cinque anni da quando la sinistra di Rifondazione (Progetto Comunista) si ruppe in due parti, dando vita al percorso che avrebbe portato alla costituzione di due organizzazioni distinte fuori da Rifondazione: il Pdac e il Pcl di Ferrando.

A cinque anni di distanza, se si trattasse solo del Pcl, non metterebbe conto di dedicare al tema un articolo, perché quel partito in crisi non rappresenta ormai più niente nel disastrato panorama della sinistra. Ma parlare di quel progetto (fallito) è interessante perché significa affrontare una concezione della costruzione del partito che il Pcl ha incarnato. L'ampia visibilità mediatica di cui ha goduto Ferrando ha fatto sì che per un periodo quel modello di costruzione non bolscevica suscitasse un certo interesse a sinistra. Si proponeva come una scorciatoia per fare in quattro e quattr'otto un partito, saltando la costruzione di strutture, radicamento, quadri: tutto sostituito dalla visibilità mediatica del leader.

Parlare della concezione ferrandiana del partito (e di quella, opposta, che ha seguito il Pdac) significa allora riflettere su tutto quanto devono evitare di fare coloro che sono interessati a costruire quel partito comunista, rivoluzionario, con influenza di massa che ancora manca. Dunque il tema interessa non solo alcune centinaia di compagni e compagne che hanno partecipato a questa storia ma anche tutti coloro che oggi vogliono costruire il partito rivoluzionario, essendo consapevoli che è questo il problema dei problemi.

 

Tremila, anzi duemila, o forse quattrocento? Le bugie hanno le gambe corte

Uno dei punti che ha sempre caratterizzato il Pcl è stato quello di presentarsi come "la principale forza a sinistra del Prc". Per fare questo Ferrando ha fatto girare per anni numeri fantasiosi. Faceva parte di un metodo per accreditare il partito presso la stampa borghese.

All'assemblea fondativa il Pcl vantava 1300 iscritti. Numeri contestati dall'allora minoranza interna, raccolta intorno a posizioni mao-staliniste. Di quei presunti 1300 iscritti solo 500 parteciparono alle assemblee congressuali; gli altri (se esistenti) erano dunque solo simpatizzanti. L'anno dopo, nel 2007, Ferrando informava la stampa, in occasione del congresso fondativo, di aver raggiunto i "2000 militanti". E, incredibilmente, in un'intervista sul manifesto di tre settimane dopo (1) comunicava di aver già superato questo numero (che per un partito "rivoluzionario" è davvero grande: sono due o tre i partiti che si richiamano al trotskismo che arrivano a queste cifre): la nuova cifra annunciata era di 3000 (tremila) militanti.

Erano tempi in cui Ferrando, godendo ancora dell'immagine giornalistica conseguente alla sua mancata candidatura al Senato, poteva permettersi di raccontare balle di ogni tipo a una stampa in cerca di figure "scandalose".

A inizi 2011 il Pcl ha tenuto il suo II Congresso. I documenti del congresso (fatto curioso) non sono stati pubblicati né prima né dopo. Tuttavia, siccome è difficile custodire segreti nell'era di internet, questi testi sono comunque circolati.

Il Regolamento congressuale all'articolo 2.2. recita: "Ogni componente del Comitato Politico, o in alternativa, almeno il 2% dei militanti al 30 giugno 2010 (cioè 8 compagni/e), ha diritto..." L'articolo si riferisce alla soglia necessaria per presentare posizioni alternative e, involontariamente (il Regolamento doveva rimanere segreto), fornisce il numero degli iscritti: infatti se 8 iscritti costituiscono il 2% del partito, gli iscritti complessivi sono 400 (quattrocento). Cioè non 3000 e nemmeno 2000 e nemmeno 1300. Essendo escluso che nelle comunicazioni interne il Pcl giochi al ribasso, significa che i numeri detti in precedenza erano tutti falsi; ancora peggio se fossero stati veri: significherebbe che nel giro di quattro anni il Pcl avrebbe perso circa il 90% degli iscritti.

Ciò spiega il commento autocritico di un membro della Direzione del Pcl, Edo Rossi, presidente del congresso, che nel suo contributo scritto rileva: "Dopo 4 anni dalla nascita del Pcl, questa esperienza (...) non solo non vive e si sviluppa come auspicavamo, ma stenta anche a sopravvivere."

I 400 (quattrocento, ripetiamo i numeri in lettere per evitare fraintendimenti con gli zeri) non sono peraltro "militanti" nel senso bolscevico del termine: infatti nel Pcl per essere considerati tali non è necessaria nessuna delle tre condizioni di un partito di tipo leninista: né prestare attività quotidiana, né finanziare regolarmente il partito, né condividere un programma.

Ciò è confermato dal contributo di un altro dirigente del Pcl, Flavio Stasi ("Brevi riflessioni sul partito e sul congresso"), che lamenta "congressi territoriali con pochi militanti reali ed una folta schiera di militanti formali". Indirettamente segnalando così che persino quei 400 (dichiarati segretamente all'interno) sono frutto di un tesseramento "gonfiato".

Se abbiamo parlato fin qui di numeri non è perché pensiamo che siano in primo luogo i numeri a determinare la qualità di un partito. Questa è una convinzione di Ferrando (ereditata dal menscevismo), non nostra né di Lenin e Trotsky, i quali ultimi hanno spiegato infinite volte (e lo hanno dimostrato nella pratica) che valgono di più qualche centinaio di militanti reali che migliaia di iscritti passivi. Il problema del Pcl è che, a prescindere dai numeri diffusi falsamente per anni, non ha né migliaia di iscritti passivi né centinaia di iscritti reali. Visti i numeri degli "aventi diritto" al voto al recente congresso (numeri, ripetiamolo, che dovevano rimanere rigorosamente segreti e che vengono segnalati comunque come gonfiati) si può presumere che gli effettivi partecipanti siano stati grossomodo circa 200 o 300; dal che si ricava, infine, che gli attivisti che prestano una regolare militanza quotidiana e pagano quote sono tra 100 e 150 (3).

Questi numeri non sorprendono chi negli ultimi anni ha partecipato a manifestazioni e assemblee. La novità sta nel fatto che oggi le supposizioni sono confermate, ripetiamolo, dai dati interni del Pcl stesso che, involontariamente trapelati, fanno giustizia di anni di decine di comunicati di Ferrando in cui, sbeffeggiando le altre forze politiche a sinistra del Prc (definite sprezzantemente "poca cosa"), si vantavano numeri fantasiosi.

 

Quaranta programmi diversi in un solo partito

Per noi, a differenza che per Ferrando, la questione centrale non sono comunque i numeri ma il programma su cui si costruisce un partito e la sua pratica quotidiana. Ma qui le cose non vanno meglio che con i numeri.

Il fatto è che per il Pcl bisogna parlare di programmi al plurale. Infatti, a parte i brevi comunicati stampa di Ferrando, che costituiscono l'unica produzione teorica pubblica della direzione del partito, ognuna delle sezioni cittadine esprime posizioni programmatiche differenti.

Chiariamo: non parliamo della provenienza diversa dei militanti. Anche nel Pdac ci sono compagni che hanno fatto esperienze politiche differenti. E' una cosa normale. L'anomalia è quando si mettono insieme programmi diversi per comporre un arlecchino di posizioni in sostituzione di un partito fondato su assi programmatici fondamentali condivisi.

Per farsi un'idea di questo guazzabuglio di posizioni basta leggere i documenti congressuali (semi-segreti) del Pcl o farsi un giro sui siti web delle sezioni cittadine.

La prima cosa che balza all'occhio leggendo i documenti congressuali è che in un partito che pure si auto-definisce "leninista" è ammessa la presenza di una minoranza che si definisce esplicitamente riformista. Con buona pace della condizione che l'Internazionale di Lenin e Trotsky poneva come preliminare all'adesione: separarsi dai riformisti. E con buona pace anche delle critiche che il Pcl avanza a forze come l'Npa francese che esplicitamente teorizza l'unione di rivoluzionari e riformisti nel medesimo partito. Cosa che il Pcl non teorizza ma pratica.

Ma il problema non si ferma a chi si autodefinisce riformista. A puro titolo di esempio (ma chiunque può verificare da sé sui siti web) si trovano: sezioni che difendono "la democrazia partecipata", la Costituzione repubblicana e, con accenti dipietristi, manifestano financo sostegno alla magistratura (che i rivoluzionari, abitualmente, definiscono "borghese"). Citiamo: "Noi, Pcl di Parma, diamo il massimo appoggio alla magistratura, affinché possa lavorare nella totale serenità ed obiettività". Un'altra sezione è intitolata a Curiel, teorico della "democrazia progressiva" e maestro degli stalinisti Longo e Secchia. Un'altra sezione, su posizioni più vicine alla Lega, (anche se purtroppo intitolata alla povera Rosa Luxemburg) protesta perché "La forza pubblica di questo territorio può contare" su scarsi organici (tra carabinieri e polizia), il che porta (come ha fatto presente il Pcl in "un incontro col viceprefetto vicario") a una "emergenza sicurezza". Un'altra (Brianza) si caratterizza, invece, per una linea castro-chavista e pubblica testi di Fidel sostenendo (proprio nei giorni del mezzo milione di licenziamenti annunciati) che "Cuba aumenta salari e pensioni". Un'altra (Molise) concepisce la militanza "rivoluzionaria" sotto forma di continui esposti alla magistratura (con tanto di richiami al codice penale) e di appelli personali a Napolitano. Un'altra (Marche) si pronuncia a favore delle nazionalizzazioni delle aziende: purché fatte secondo quanto previsto "dagli articoli 42 e 43 della Costituzione". Un'altra (Massa Carrara) pare più vicina a posizioni neo-proudhoniane e propone "l'autogoverno solidale e cooperativo". Un'altra (Empoli) organizza iniziative su Berlinguer. Un dirigente (nella pagina "teorica" del sito nazionale) spiega perché la rivoluzione spagnola avrebbe insegnato che bisogna "unire anarchici e marxisti".

Abbiamo fatto questo lungo elenco (ma si potrebbe continuare per pagine e pagine) solo per chiarire che non si tratta di eccezioni (che pure un partito rivoluzionario sano dovrebbe in qualche modo affrontare) ma della norma. Se si fa eccezione per tre o quattro sezioni, tutte le altre esprimono un caleidoscopio di posizioni che va dal berlinguerismo al togliattismo, dall'anarchismo (nelle sue varianti) al dipietrismo. Non manca neppure una sezione che, con accenti mazziniani, ricorda il 150 anniversario dell'Unità d'Italia...

Siamo cioè di fronte all'esatto capovolgimento di un'organizzazione leninista, in cui, come è noto, a partire dalla condivisione di un programma fondamentale si ha la più ampia discussione interna e quindi l'unità nell'azione. Viceversa nel Pcl l'assenza di un programma comune a tutta l'organizzazione si combina con l'assenza di un dibattito interno che produce, infine, una federazione di gruppi con posizioni politiche differenti, talvolta opposte.

 

I frutti di una concezione mediatica del partito

Le bugie sui numeri e la costruzione di un partito che è al contempo piccolo ma arlecchinesco sono figlie di una concezione del partito che ha alcuni debiti col menscevismo (con la differenza che il menscevismo fu una forza reale). Dal menscevismo si riprendono varie cose: l'assenza di distinzioni effettive tra militanti e simpatizzanti, dunque il partito di iscritti; l'assenza di strutture dirigenti centralizzate (sostituite dal leader carismatico). A quel modello si aggiungono delle varianti moderne: la struttura "leggera", le elezioni trasformate da strumento secondario in uno dei fini principali e soprattutto l'ossessione per i mass-media. Chiunque abbia partecipato a una manifestazione negli ultimi anni avrà notato il leader del Pcl, Ferrando, che si aggira, scortato da alcuni sbandieratori, in cerca di giornalisti e telecamere. La visibilità sui mass-media, da possibile strumento accessorio nella costruzione di un partito reale, è diventato il fine di ogni iniziativa. Con dei capovolgimenti grotteschi: non si tenta (come sarebbe corretto) di far riprendere dalla stampa una posizione del partito: si definisce la posizione del partito in funzione della sua appetibilità per la stampa. Per lo stesso motivo (essere citati dalla stampa) si arriva a partecipare a manifestazioni anche di stampo reazionario. E non si parla di manifestazioni di massa ma di manifestazioni come quella del 5 aprile a Roma dove, come ha notato con ironia qualche giornalista, nel paio di centinaia di attivisti delle opposizioni borghesi, Ferrando si aggirava con alcuni attivisti mischiando le sue bandiere a quelle (ben più numerose) dei seguaci di Fini.

Ed è solo con l'ossessione per la presenza sui mass media e per una legittimazione nel mondo dei politici accreditati dalla stampa che si possono spiegare gli sconcertanti comunicati in cui il governo Berlusconi è da Ferrando attaccato non per le sue politiche anti-operaie ma perché "mina gli equilibri costituzionali", con l'acquisizione persino di un linguaggio indistinguibile da quello di qualsiasi partito dell'opposizione borghese.

 

Il fallimento della costruzione in due tempi

All'inizio del percorso di costruzione del Pcl, Ferrando teorizzava una costruzione rapida, passando per una scorciatoia, in due tempi: in un primo tempo reclutando chiunque fosse disponibile a riconoscere il suo "programma in quattro punti" (in realtà la sua direzione) e in un secondo tempo facendo avanzare verso un programma compiuto gli attivisti così raccolti su posizioni non rivoluzionarie.

Questa concezione della costruzione in due tempi del partito ha presentato infine il conto. Finita la stagione della visibilità mediatica (anche se qualche spazio, grazie a modi spregiudicati e autolesionistici, viene conquistato ancora) è finita anche la fase della "raccolta" (peraltro molto ristretta). Non solo: il secondo tempo, quello della "chiarificazione", non è arrivato. Perché? Perché non è possibile costruire un partito comunista attorno a un leader sospeso nel vuoto, senza struttura organizzativa, senza programma condiviso. Al più, con simili modalità si possono costruire (anche grazie a finanziamenti di settori interessati) partiti borghesi (come l'Idv attorno a Di Pietro o Fli attorno a Fini) o effimere esperienze di partiti mediatici (come il Movimento Cinque Stelle attorno a Grillo). Con un partito comunista (o che vuole essere tale) non funziona: il raggruppamento lasso attorno a un leader forte si sfalda perché solo una relazione reale (non mediatica) con le lotte può costruire il radicamento del partito; perché solo una elaborazione collettiva (non delegata al leader) può costruire i quadri del partito, il loro "comune sentire".

Ferrando ha pensato che il suo carisma (o presunto tale) avrebbe ovviato a tutto questo lavoro che Lenin e Trotsky ritenevano indispensabile. Ha creduto bastassero le sue uscite in Tv, i suoi comunicati stampa in sostituzione di un lavoro quotidiano di elaborazione e iniziativa, in sostituzione di un giornale e di un sito regolare frutto di un lavoro collettivo, in sostituzione persino di una organizzazione internazionale. Quest'ultima compare sulle bandiere del Pcl (che rivendicano la Quarta Internazionale) ma è solo virtuale. Il Pcl continua a far parte di un raggruppamento che si vuole internazionale, il Crqi. Ma il Crqi non ha organismi reali, né riunioni, né strutture, né pubblicazioni, né intervento. E non risulta che negli ultimi anni abbia acquisito nuove "sezioni" in qualche Paese, rimanendo composto soltanto dal Partido Obrero di Altamira in Argentina e da tre o quattro gruppi satellite (tra cui il Pcl).

Ma il completo fallimento della costruzione in due tempi è confermato dal fatto che persino il presunto "nucleo d'acciaio", cioè i due anziani leader che avrebbero dovuto preservare il programma da trasmettere in un secondo momento al resto del partito sono inevitabilmente precipitati nel pantano che hanno costruito. Come dimostra anche solo un unico esempio che vogliamo fare (tra i tanti possibili). Si guardi al programma in dodici punti che Ferrando ha presentato nei giorni scorsi alla stampa per le amministrative nella sua città (Savona). Per un partito rivoluzionario le elezioni dovrebbero essere soltanto (così almeno sono per il Pdac) un'occasione per presentare il proprio programma rivoluzionario a settori più ampi. E per il Pcl? Riportiamo per intero questi dodici punti: "1) Blocco delle concessioni edilizie, con autorizzazioni limitate al riutilizzo dell’estistente; 2) costruzione di una nuova edilizia popolare; 3) acqua pubblica; 4) aumento delle piste ciclabili e incremento della loro sicurezza; 5) politica rifiuti zero, con il metodo di raccolta a porta a porta “spinta”; 6) adattamento del vecchio ospedale San Paolo a sede universitaria umanistica; 7) destinazione della biblioteca pubblica a Palazzo Santa Chiara; 8) riapertura dell’ostello della Gioventù presso la fortezza del Priamar; 9) “vero” registro delle Unioni civili; 10) clausola sociale e conto trasparente per ogni appalto dato dagli enti comunali; 11) aree wi-fi comunali completamente gratuite e a disposizione del cittadino; 12) ripensamento globale della viabilità di Villapiana."

La domanda è: in cosa questo programma è differente da quello che potrebbe presentare una qualsiasi forza della sinistra governista o persino una lista civica? Dove è un riferimento (fosse pure vago!) non diciamo alla rivoluzione (che con questo programma proprio non c'entra) ma perlomeno alla esistenza di una società divisa in classi in lotta tra loro, alla classe operaia?

In realtà questo programma condensa tutta una concezione del partito in cui ogni mezzo (la visibilità sulla stampa, la partecipazione alle elezioni, ecc.) è regolarmente scambiato con il fine. Siamo anche oltre il motto di Bernstein (contro cui ironizzava Rosa Luxemburg) per cui "il fine è nulla, il movimento è tutto". Qui piuttosto il fine e il movimento sono nulla, le telecamere sono tutto.

 

Cinque anni dopo: la prova dei fatti

Lenin sosteneva che un partito rivoluzionario si può costruire solo raggruppando, attorno a un programma rivoluzionario, militanti inseriti nelle lotte e nei movimenti, edificando su quel programma una organizzazione centralizzata. Invece, nei cinque anni che sono trascorsi dalla rottura della vecchia sinistra del Prc (avvenuta appunto per questa divergenza di fondo), Ferrando ha voluto credere e far credere alla possibilità di percorrere una scorciatoia: costruendo un partito sulla base soltanto della visibilità mediatica del leader e quindi raccogliendo intorno a un guru indiscusso attivisti che sostengono le posizioni più disparate, senza una struttura di militanti centralizzata, senza partecipare alla costruzione di un'internazionale.

Ma i fatti (più ostinati di qualsiasi "narrazione" ad uso stampa) si sono incaricati di dimostrare che ciò non è possibile.

Era proprio necessario fare questa prova? Oppure era sufficiente prendere atto che una simile teoria menscevica (contro cui hanno lottato per tutta la vita Lenin e Trotsky) era già fallita infinite volte nella storia, persino quando disponeva di forze ben più consistenti? E ancora: era necessario logorare attivisti onesti? Quanti si sono avvicinati al Pcl (in virtù della sua visibilità mediatica) per poi uscirne rapidamente, delusi? E soprattutto quante altre energie saranno inutilmente dissipate nella prossima fase da questo partito virtuale? Forse non poche, visto che il Pcl, pur in crisi, pur in deficit di ossigeno mediatico (come Ferrando stesso lamenta), continua a godere di una relativa visibilità che utilizzerà, fino alla fine non lontana di questa esperienza, diffondendo illusioni e usando (seppure abbastanza raramente e in modo abusivo) il riferimento al leninismo e al trotskismo.

In questi stessi anni il Pdac che non ha mai fatto vanto di grandi numeri, che non ha mai goduto di grande visibilità sui mezzi di comunicazione, non essendo incappato in "scandali" mediatici partendo da una concezione diametralmente opposta del partito ha conosciuto una piccola ma costante crescita nel suo inserimento nelle lotte, nei movimenti, nell'attività sindacale. Nel Pdac sono cresciuti e crescono militanti che, a partire da un programma di fondo condiviso, dibattono, si confrontano a livello nazionale e nel quadro di una internazionale realmente esistente (e presente con propri partiti tanto in Europa come negli altri continenti). Militanti che si formano nel partito, fanno attività politica e sindacale (controcorrente, senza sconti a burocrazie e microburocrazie) non in funzione della cosiddetta "visibilità" ma in funzione di una costruzione reale.

Non abbiamo grandi vanti da esibire e siamo ben consci degli errori che commettiamo e dei limiti enormi che abbiamo di fronte al compito gigantesco (che non abbiamo la pretesa di risolvere da soli) di costruire un partito rivoluzionario e un'internazionale rivoluzionaria. Ma certo non cambieremmo questo piccolo patrimonio costruito nella realtà con una centesima parte di quel partito più virtuale che reale che Ferrando ha costruito, o cercato di costruire, ennesima riprova del fallimento della concezione menscevica, ennesima conferma, per dirla con Rosa Luxemburg, che "il futuro appartiene ovunque al bolscevismo".

 

 

note

(1) Cfr. il manifesto del 23 dicembre 2007.

(2) Oggi dirigente di spicco del Pcl, per molti anni parlamentare di Rifondazione: votò (oltre a molte altre cose), con voto nominale, il 19 novembre 1997, il Ddl 3240, "Norme sulla condizione dello straniero", che apriva i Cpt, cioè i lager per gli immigrati. Espulso da Rifondazione (ovviamente non per questo sostegno al governo, ma per beghe locali di assessorati) chiese un incontro al nostro partito, che gli rifiutammo; poco dopo entrò nel Pcl senza che gli fosse richiesta alcuna autocritica pubblica per le sue politiche governiste (a differenza di quanto viene fatto con altri, colpevoli di provenire dal trotskismo: vedi nota 3).

(3) Ora andranno sommati a questi numeri altri due o tre attivisti che, con grande enfasi (in effetti strana per un partito che millanta migliaia di presunti iscritti), il sito nazionale del Pcl vanta di aver strappato al Pdac a Pesaro, pubblicando un testo grottesco di questi attivisti che ricorda tristemente quelle abiure che negli anni Trenta la Gpu staliniana faceva firmare a chi lasciava l'opposizione di sinistra: una lunga ammissione di colpe e la riconoscenza per aver trovato infine la luce salvifica (nella fattispecie, Ferrando). Certo, negli anni dei processi di Mosca chi si adattava a firmare le abiure e a rinunciare a combattere lo faceva per cercare di salvare la pelle. Qui si tratta invece solo di qualche militante stanco di fare (come è normale per chi milita nel Pdac) una battaglia quotidiana controcorrente sul luogo di lavoro, nel sindacato, nelle lotte sociali e sa di poter trovare invece nel Pcl un luogo dove nulla di tutto questo è richiesto.

Iscrizione Newsletter

Iscrizione Newsletter

Compila il modulo per iscriverti alla nostra newsletter - I campi contrassegnati da sono obbligatori.


Il campo per collaborare col partito è opzionale

 

Campagne ed Iniziative





campagna

tesseramento 2024

 






Il libro sulla lotta in Alitalia

 il libro che serve per capire Lenin

 

perchè comprare

la loromorale e lanostra




 

Cremona  venerdì 14 giugno 


 

Domenica 2 giugno ore 19

 


1 giugno

Cremona

https://www.partitodialternativacomunista.org/articoli/materiale/cremona-venerdi-14-giugno

 


23 maggio

Cremona


MODENA

DOMENICA 14-4


16 marzo

Milano

 

 

 

 

Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

NEWS Progetto Comunista n 134

NEWS Trotskismo Oggi n 22

Ultimi Video

tv del pdac