Consultori e antiabortisti: nulla è ingannevole come un fatto ovvio
di Laura Sguazzabia
Giorgia Meloni, quando non era ancora presidente del Consiglio, durante gli ultimi giorni di campagna elettorale, aveva dichiarato: «Non voglio modificare la legge 194 ma applicarla, quindi aggiungere un diritto». Parole in apparenza rassicuranti, ma che lasciavano già presagire l’ennesimo attacco ai diritti riproduttivi delle donne.
L’emendamento al decreto «Pnrr-quater»
A metà aprile la Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento all’articolo 44 del disegno di legge per l’attuazione del Pnrr, firmato dal deputato Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia e intitolato «Norme in materia di servizi consultoriali». L’emendamento recita: «Le Regioni organizzano i servizi consultoriali nell’ambito della Missione 6, Componente 1, del Pnrr e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità.
Di fronte alle accuse di voler modificare la 194 agevolando così la presenza e le attività di gruppi e di associazioni di stampo antiabortista nei consultori pubblici, il governo ha risposto che tale emendamento è in linea con quanto già sostiene la 194 all’articolo 2: «I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».
Dunque in apparenza nessuna modifica, anche se confrontando l’art. 2 della 194 e l’emendamento appare chiaro il cambio del soggetto preposto alla scelta delle associazioni di volontariato con cui collaborare: si passa dal consultorio alla Regione. Lo spiega bene la dottoressa Anna Pompili, ginecologa e consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni: «Secondo la legge 194 il soggetto che può avvalersi della collaborazione di associazioni di volontariato al fine di sostenere le maternità difficili è il consultorio [...] Nell’emendamento del governo, invece, il soggetto cambia, ed è la Regione a decidere di tale eventuale coinvolgimento. Dunque, ciò che viene fatto in consultorio sulla base di una valutazione specifica, caso per caso, con l’emendamento in questione verrà imposto dall’alto, sulla base di criteri generali [...] tale emendamento ha dunque, di fatto, lo scopo di dare una dimensione nazionale e di estendere a tutto il Paese ciò che è già stato fatto in alcune Regioni, con l’apertura ai cosiddetti “pro-vita” e ai loro centri di aiuto alla vita».
Insomma, con questo emendamento si dà la possibilità alle Regioni di coinvolgere associazioni che potrebbero tentare, vista la loro natura, di dissuadere le donne che vogliono intraprendere il percorso dell’aborto proprio nel luogo più deputato ad accoglierle per certificare la gravidanza e la volontà di interromperla. Si legittima cioè l’inserimento di associazioni antiabortiste che hanno nei loro statuti il contrasto alla legge 194 e che vorrebbero abolirla, che tentano di dissuadere le donne che hanno già scelto di interrompere la gravidanza rendendo più difficile e pesante, da un punto di vista psicologico, il percorso verso l’aborto. A livello regionale, in molte amministrazioni guidate dalla destra, abbiamo già assistito agli effetti di questa collaborazione nell’emanazione di provvedimenti con chiare finalità antiabortiste, come il Fondo di Vita nascente in Piemonte, le stanze d’ascolto, il non recepimento delle linee guida per facilitare l’aborto farmacologico, la creazione dei cimiteri di feti e di registri di bambini mai nati; per non parlare dell’assenza di soluzioni per l’irrisolto problema dell’obiezione di coscienza.
Le responsabilità della sinistra borghese
La battaglia oggi è ovviamente tutta contro il governo in carica, che peraltro, pur avendoci provato con l’abilità retorica della Meloni, non può nascondere il proprio orientamento sul tema. Ma non dobbiamo dimenticare che c’è una responsabilità importante anche da parte di quelle forze politiche sedicenti «progressiste» che hanno governato per anni e che oggi sono protagoniste di accorate prese di posizione contro i provvedimenti del governo in carica.
Va detto che rispetto ai temi dell’obiezione di coscienza e dell’aborto farmacologico nulla è stato fatto anche dalle amministrazioni della cosiddetta sinistra di governo. A memoria, non ricordiamo alcun atto concreto per far diminuire la percentuale di obiettori tra il personale che lavora negli ospedali pubblici e nelle strutture convenzionate. Al contrario, dobbiamo ricordare che alcune delle manovre più invasive sulla vita delle donne, al di là della scelta tra essere madre e non esserlo, è ascrivibile a governi «progressisti»: flessibilità e precariato (come le statistiche dimostrano, le donne più facilmente entrano e rimangano nel mercato del lavoro con forme precarie e sottopagate a parità di mansioni con gli uomini), l’allungamento dell’età pensionistica (meta faticosamente raggiunta dalle donne a causa della loro prematura fuoriuscita dal mercato del lavoro, spesso anche per maternità, e comunque tragicamente al di sotto della soglia di povertà a causa della disparità salariale), privatizzazione e tagli a sanità ed istruzione con il conseguente impoverimento dei servizi (sono le donne a pagare il prezzo più alto delle riforme in questi settori: da un lato come utenti sono penalizzate perché la mancanza di servizi ricade interamente sulle loro spalle, dall’altro perché sono i settori in cui sono maggiormente impiegate: paradossalmente, una volta licenziate ed espulse dal mondo del lavoro, tornano a casa per dedicarsi alla cura di bambini, anziani e ammalati, per sopperire in questo modo alle mancanze dello Stato). Non dimentichiamo, inoltre, che anche in molti territori amministrati dal Pd è stato dato il via libera alla presenza di associazioni pro-vita nei reparti di ginecologia e nei consultori.
Per una scelta libera, gratuita e sicura!
La società capitalista e i suoi governi che condannano e criminalizzano le donne che praticano l'aborto, hanno svilito la sessualità femminile in ambito pubblico e privato. In maniera cosciente si nega alle donne la conoscenza ed il controllo del proprio corpo, della sessualità e della riproduzione, non solo per mantenere il maschilismo come meccanismo di oppressione, ma anche per perpetuare lo sfruttamento della mano d'opera femminile che è più economica di quella maschile.
Ma non tutte le donne vivono allo stesso modo l’oppressione maschilista, e chi vive le peggiori conseguenze di questo sistema sono le donne che appartengono alla classe proletaria. Per questo riteniamo che la questione dell’aborto e dell’autodeterminazione sessuale sia una questione di classe.
Come donne proletarie, pur riconoscendo la necessità di estendere e garantire il diritto di aborto al di là dei limiti della 194, riteniamo sia necessaria una lotta di tutta la classe lavoratrice per garantirne l’applicazione in tutti gli ospedali attraverso l'abolizione dell'obiezione di coscienza e l'introduzione delle migliori tecniche per la salvaguardia della salute delle donne (pillola abortiva), per l’estensione alle minorenni del ricorso all’Ivg senza autorizzazione genitoriale o dei tribunali borghesi, per l’accesso gratuito e senza prescrizione medica alla "pillola del giorno dopo" (senza l'obiezione di coscienza dei farmacisti), per l'esclusione del Movimento per la vita e delle altre associazioni antiabortiste dai consultori e dai reparti di ginecologia, per il potenziamento dei servizi pubblici a supporto delle donne, abolendo ogni finanziamento ai servizi privati e del privato sociale, per la sostituzione a scuola dell'ora di religione con un'ora di educazione alla sessualità, alla contraccezione e alla salute, per il controllo delle lavoratrici, delle giovani e delle immigrate sull'erogazione e la gestione di tali servizi.