L’inganno (quasi) perfetto
La sentenza Ilva racconta solo parzialmente la sciagura del vendolismo
di Giacomo Biancofiore
Solo qualche ingenuo o frettoloso analista può pensare di liquidare i dieci anni del governo pugliese di Nicola Maria Vendola detto Nichi con la sentenza pronunciata lunedì 31 maggio dalla Corte d'Assise di Taranto per il processo Ambiente svenduto, che coinvolge 47 imputati per i reati di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
Considerando che dal giorno della sentenza è stato scritto tanto sulle condanne (le principali riguardano Fabio Riva, 22 anni di reclusione, 20 per Nicola Riva, 3 anni e mezzo per Nichi Vendola) e che negli ultimi anni abbiamo ampiamente trattato il tema dell’ex Ilva e degli impianti siderurgici di Taranto (1) quella che proveremo a raccontare in questo articolo è una storia che si intreccia con il processo ma ha una portata molto più ampia.
L’epilogo
Nel processo Ambiente svenduto l’ex presidente della regione Puglia Vendola è stato chiamato a rispondere di concussione aggravata per aver esercitato pressioni su Arpa Puglia, l'Agenzia per l'ambiente della Regione Puglia, affinché ammorbidisse i suoi rapporti sulla fabbrica. La nostra storia comincia proprio dalle reazioni alla condanna dell’ex delfino di Bertinotti.
Nelle manifestazioni di solidarietà a Vendola, una delle affermazioni più gettonate rappresenta perfettamente la retorica su cui sono stati costruiti anni di inganni e falsificazioni: «Vendola ha pagato per aver cercato di coniugare il lavoro con l’ambiente».
Questo è il passaggio chiave che, partendo dall’impegno «dell’amministratore illuminato» nel coniugare la riqualificazione della produzione industriale con la difesa dei posti di lavoro, arriva dritto dritto all’esaltazione di quella che hanno provato a vendere come una tra le esperienze di governo più innovative che si sia mai registrata nel mezzogiorno d’Italia dal dopoguerra ad oggi.
La sinossi
Probabilmente questa fantasiosa ricostruzione potrà essere utile a Vendola per convincere i giudici nel processo d’Appello, ma certamente non può più ingannare chi, sulla base del deserto politico e sociale che ha lasciato, ha già da tempo condannato il «profeta» e i suoi accoliti.
Nel 2005, dopo aver sconfitto Francesco Boccia alle primarie de L’Unione (la coalizione che all’epoca riuniva i partiti del centro-sinistra italiano con a capo Prodi), Vendola vinse a sorpresa le elezioni regionali pugliesi, superando per una manciata di voti il presidente uscente Fitto.L’impresa, del tutto inaspettata, dette inizialmente ulteriore vigore ad un momento di grande fermento tra i lavoratori, gli attivisti e in particolare i giovani che, privi di tradizioni politiche e di lotta, furono particolarmente coinvolti dalla «politica nuova» di quella che fu definita la «primavera pugliese».
Fu un gioco da ragazzi alimentare l’illusione che la ventata di primavera avrebbe valorizzato le straordinarie risorse, soprattutto umane, di un’intera Regione, così come fu una passeggiata togliere la lotta dalle strade (nell’estate del 2002, dopo che la giunta regionale approvava il Piano di riordino ospedaliero, le proteste esplosero ovunque al punto che a Terlizzi la folla circondò l’auto di Fitto impedendogli di scendere e prendere parola davanti al Consiglio comunale) con il supporto della Cgil i cui vertici erano parte integrante del progetto vendoliano.
Il grimaldello della «rivoluzione culturale»
Mentre la «rivoluzione culturale» di Vendola, costruita sulla retorica della «politica nuova», perfettamente rappresentata dalla figura stessa di quel Nichi che sfidava il potere consolidato dei maturi professionisti della scena politica, si spalmava e come una sostanza semiliquida penetrava anche nelle fessure più nascoste, l’offensiva del nuovo governatore contro i lavoratori e le classi oppresse pugliesi proseguiva in perfetta continuità con il passato: il Piano sanitario tagliava ulteriori migliaia di posti letto e chiudeva decine di ospedali pubblici e, mentre sulla popolazione pugliese gravavano nuove tasse e l’introduzione del ticket sulle visite specialiste, il governo Vendola finanziava e incentivava ospedali, scuole e aziende private.
Poi c’è l’ambiente, quello che da molti è stato individuato come il paradosso della sentenza di condanna, la quale getta un’ombra nerissima sulla narrazione di quel governo che consentì alla Puglia di diventare la prima regione italiana per produzione di energie rinnovabili e di dotarsi di un piano energetico ambientale.
L’inganno
Ed è qui che matura e si sviluppa il grande inganno del vendolismo, un inganno, badate bene, che non è stato perpetrato in maniera indistinta: c’è una larga parte di quello che oggi chiameremmo «cerchio magico» che ha beneficiato e continua a beneficiare della «rivoluzione culturale» o da «salotto» (di cossuttiana memoria); una gran numero di quei giovani entusiasti che occupano attualmente posizioni di potere e sono punto di riferimento culturale del riformismo nostrano.
Non sono ovviamente loro gli ingannati, ma i lavoratori, le lavoratrici, i disoccupati, le donne, gli studenti, gli immigrati, la comunità Lgbt, o meglio, la sua parte proletaria (il Gay Pride barese del 2003 fu un potente trampolino di lancio per l’elezione del 2005).
La ventata di rinnovamento di Vendola si è rivelata il premeditato strumento per conquistare il potere, per placare la protesta, la rabbia e il conflitto sociale e convogliare tutto nella palude elettorale.
È vero che il progetto vendoliano voleva «coniugare» e gestire il conflitto tra ambiente, lavoro e industria e in effetti lo ha fatto, ma a senso unico e guidato dalla sola logica del consolidamento della proprietà privata dei mezzi di produzione. Per questo non ha mai fatto mancare il supporto ai capitalisti che hanno potuto sfruttare a proprio piacimento il territorio e i lavoratori, ben coperti dalla «politica nuova» che di nuovo aveva solo la narrazione.
Per questo Vendola non ha mai nascosto la «stima reciproca» con Emilio Riva e per questo l’allora presidente di Confindustria Emma Marcegaglia nel 2010 dichiarò che «Vendola è il miglior governatore del Mezzogiorno».
La lezione
Chi è Vendola quindi? Cosa rappresenta una condanna in primo grado per concussione?
Probabilmente solo chi ha vissuto e vive in Puglia da quel 2005 può rispondere correttamente a queste domande, ma sebbene il fenomeno non si estese a livello nazionale, quella del decennio vendoliano rappresenta l’ennesima lezione di cui tutto il proletariato deve fare tesoro.
Vendola e tutti i profeti delle «politiche nuove» o delle «rivoluzioni culturali», non sono la cura che vorrebbero far credere bensì la malattia stessa, quella che in politica si traduce nel far digerire il capitalismo come l'unico modello di società possibile, i cui effetti si manifestano nell’accettazione, anche da parte di molti settori del proletariato, del paradigma che la classe operaia è scomparsa e con essa la lotta per il socialismo.
Purtroppo il passaggio di queste sciagure lascia un deserto fatto di giovani privati di qualsiasi prospettiva politica e attivisti in crisi d’identità e solo il paziente lavoro dei rivoluzionari può porre rimedio a questi vuoti immensi.
Note
(1) Per chi volesse approfondire, questi sono i nostri articoli più recenti:
https://www.alternativacomunista.it/articoli/sindacato/-sp-21938220