Partito di Alternativa Comunista

La crisi in Europa, gli attacchi del governo Renzi e i compiti del Pdac

La crisi in Europa, gli attacchi del governo Renzi
e i compiti del Pdac
Risoluzione approvata dal Consiglio Nazionale del Pdac
(4-5 ottobre 2014)
"La ripresa frena, sono pronte nuove misure". Queste parole di Mario Draghi, pronunciate in occasione del vertice della Bce a Napoli, ci indicano lo stato del capitalismo europeo e annunciano una nuova stagione di attacchi alla classe lavoratrice da parte dei governi europei. "La ripresa frena": in realtà quello che Draghi non può o non vuole dire è che la ripresa non c'è mai stata. La crisi si approfondisce, la produzione industriale cala, le finanze europee continuano a essere instabili (si pensi al recente fallimento della Banca dello Spirito santo in Portogallo), il debito pubblico aumenta. Le "nuove misure" annunciate da Draghi non sono in realtà nuove. Dall'inizio della crisi, la borghesia europea - particolarmente nei Paesi della periferia - ha cercato di recuperare il terreno perduto a causa della crisi aumentando il tasso di sfruttamento della forza lavoro. Questo ha significato il progressivo smantellamento di molte delle conquiste guadagnate dalla classe lavoratrice con le lotte degli anni Sessanta e Settanta.
La crisi accentua, sia dentro che fuori l'UE, le tensioni tra le varie borghesie nazionali. Oggi è l'Italia del governo Renzi uno dei Paesi europei che appare più sotto la pressione degli organismi europei: il presidente uscente della Commissione europea, Barroso, non ha nascosto l'intenzione di bocciare i conti italiani per il mancato rispetto delle regole del Fiscal Compact. E' probabilmente questo il motivo per cui Renzi ha deciso di andare all'affondo sul Jobs Act, con l'intenzione di arrivare al definitivo smantellamento dell'articolo 18: il 15 ottobre il governo italiano deve presentare a Bruxelles la Legge di stabilità e la borghesia italiana (e il suo governo attuale) intendono offrire garanzie alla Commissione europea. Garanzie utili a evitare sanzioni dannose per i profitti dei padroni di casa nostra, ma pesanti sulle spalle dei lavoratori, che si troveranno in una condizione di precarietà e ricatto ancora maggiori.
Ma non si tratta solo dello smantellamento dell'articolo 18: di fatto l'intenzione del governo è quello di trasformare in carta straccia tutto lo Statuto dei lavoratori che, come sappiamo, fu strappato grazie alle dure lotte del 1968 e del 1969 (in particolare con gli scioperi in Fiat). L'intenzione del governo e dei padroni è oggi quella di aggirare l'intero sistema della contrattazione sindacale, azzerando i diritti democratici (secondo il modello già applicato da Marchionne in Fiat). Basta un esempio: gli aumenti (apparenti) in busta paga (i famosi "80 euro" o l'anticipo del tfr) non si decidono con i rinnovi contrattuali, ma appaiono come generose "concessioni" di un governo autoritario.
L'intento dei padroni e del governo è quello di ridisegnare le relazioni sindacali, accentuando ulteriormente la dipendenza dei sindacati concertativi dallo Stato, riducendone al minimo la portata conflittuale. In questo quadro, centrale per il disegno padronale è l'accordo della vergogna siglato da Cgil, Cisl, Uil, Confindustria, Confcooperative e altre sigle sindacali: un accordo che limita fortemente il diritto di sciopero e che rischia di trasformarsi in legge. E' un accordo che azzera la democrazia sindacale nei luoghi di lavoro: i sindacati che lo firmano diventano ancelle del padrone (come già oggi Fim e Uilm in Fiat), devono rinunciare al diritto di scioperare durante le trattative e al diritto di intraprendere azioni di contrasto (scioperi, vertenze legali, ecc) contro accordi che non condividono. I sindacati che non lo firmano, conservano il diritto di sciopero così come previsto dalle attuali leggi, ma devono rinunciare all'elezione di propri delegati (rsu) e alla possibilità formale di partecipare alle trattative per i contratti. Di fatto è un tentativo di trasformare i sindacati in mere macchine erogatrici di servizi e di allontanarli dal conflitto di classe.
Tutto questo dimostra quanto siano effimere le conquiste democratiche all'interno del capitalismo (come lo Statuto dei lavoratori): i padroni, prima o dopo, si riprendono tutto quello che sono stati costretti a concedere per la spinta delle lotte operaie. Una dimostrazione del fatto che la classe lavoratrice può conservare ed estendere le sue conquiste solo se le lotte parziali vengono inscritte in una prospettiva strategica di conquista del potere. 
Tutti questi attacchi avvengono in un quadro caratterizzato da licenziamenti di massa, riduzione delle "misure a sostegno del reddito" (v. riforma Fornero), aumento vertiginoso della disoccupazione, smantellamento e privatizzazione dei servizi pubblici (sanità, trasporti, scuola), diffusione del razzismo (con inasprimento delle leggi contro gli immigrati) e accentuazione del maschilismo (con un aumento vertiginoso dei casi di violenza nei confronti delle donne, con numerosissimi casi di omicidio, i cosiddetti "femminicidi").
 
Che opposizione politica?
Nonostante le rimostranze espresse da alcuni dirigenti del Pd nei confronti dell'affondo sul Jobs Act voluto dal premier Renzi, il quadro delle alleanze di governo non appare in crisi: sia il Pd che gli altri partiti di governo, al di là di alcuni distinguo, concordano nel ritenere indispensabile sacrificare lo Statuto dei lavoratori per ottenere la benevolenza di Bruxelles. Parallelamente, si assiste a, sinistra, all'assenza di un'opposizione efficace e incisiva a queste misure. Sel si limita a timide critiche, mentre è impegnata in un processo di costruzione dell'ennesimo partito socialdemocratico di collaborazione di classe, insieme a metà circa di Rifondazione comunista (area Grassi e altri) e con il beneplacito di Landini (contemporaneamente, una componente di Sel sta confluendo nel Partito democratico). Tutto questo sta accentuando la crisi di Rifondazione Comunista, che rischia di subire un'altra scissione (la situazione già ora è di grave difficoltà, con la perdita ulteriore di militanti e iscritti).
La crisi della sinistra socialdemocratica lascia spazio all'emergere di partiti a base piccolo-borghese, come il M5S, che raccoglie anche il consenso di settori della classe operaia e del sindacalismo conflittuale: consenso che viene traghettato su un programma interclassista, reazionario, razzista e maschilista. Basta a tal proposito ricordare l'alleanza con l'Ukip di Farage e altri esponenti dell'estrema destra nel Parlamento europeo, o le dichiarazioni di Grillo sugli immigrati che sbarcano in Italia, ritenuti responsabili di "portare malattie" e contagiare i poveri poliziotti.
Si conferma l'esigenza di ricostruire un partito della classe operaia che, sulla base di un programma transitorio, possa rappresentare una direzione politica per le lotte, al fine di respingere le misure del governo e creare i rapporti di forza che servono per costruire un'azione di lotta prolungata fino a cacciare il governo Renzi. 
 
I sindacati di fronte a questi attacchi
Di fronte a questi attacchi, le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil hanno reagito con la pianificazione di iniziative, ancora una volta, meramente simboliche: sono previste una manifestazione sabato 25 ottobre (lanciata inizialmente dalla Fiom, a cui ha aderito anche la Cgil) e altre manifestazioni (di singole categorie) nelle settimane successive. Di fronte al pesante attacco sferrato dal governo si tratta di iniziative di routine, assolutamente insufficienti: l'ennesime manifestazioni meramente simboliche, destinate a risultare inefficaci. Lo sciopero generale, "minacciato" dalla Camusso, ad oggi non è stato proclamato dalla Cgil.
Sul versante del sindacalismo di base, sono state invece proclamate azioni di sciopero, ma, ancora una volta, fortemente frammentate: tra i principali scioperi nazionali in programma ricordiamo lo sciopero della scuola il 10 ottobre (Cobas e Cub), lo sciopero della logistica il 16 ottobre (Si.Cobas, Adl Cobas, Cobas), lo sciopero generale di Usb (24 ottobre), lo sciopero generale degli altri sindacati di base (Cub, Usi, Cobas ecc) il 14 novembre. Si tratta di date importanti perché scenderanno in campo settori tra i più combattivi della classe lavoratrice italiana (basta solo citare tra tutti i lavoratori della logistica, che hanno animato le lotte più dure di questi ultimi mesi).
Il Pdac sostiene e sarà presente comunque a tutte le iniziative di lotta: saremo in piazza il 25 novembre coi metalmeccanici e i lavoratori della Cgil (nonostante la piattaforma rivendicativa insufficiente della manifestazione), così come saremo al fianco dei lavoratori e degli studenti in sciopero il 10 ottobre, degli operai della logistica in sciopero il 16 ottobre, dei lavoratori di Usb il 24 ottobre, di quelli della Cub, dell'Usi e degli altri sindacati di base il 14 novembre. Tuttavia, giudichiamo negativamente la frammentazione delle iniziative: diventa sempre più urgente unificare tutti i settori della classe lavoratrice in lotta in un'unica azione unitaria, fino alla costruzione di uno sciopero generale unitario in grado di contrastare realmente le misure del governo.
Giudichiamo in positiva controtendenza, rispetto a questo quadro, l'assemblea nazionale contro l'accordo della vergogna e contro il Jobs Act che si svolgerà a Firenze l'8 novembre: un'assemblea che nasce all'interno di un percorso che ha visto unificarsi, in un unico fronte, attivisti sindacali e di movimento di diversa collocazione sindacale e politica, nell'ambito di una campagna contro la firma dell'accordo della vergogna. Un appuntamento di grande importanza a cui non mancheremo e a cui facciamo appello a partecipare.
 
Quello che servirebbe
Crediamo che le potenzialità non manchino per costruire azioni di lotta e unitarie, in un fronte unico in grado di creare una forte resistenza agli attacchi del governo. Ma è urgente partire dall'unificazione delle azioni di sciopero e di protesta, favorendo l'alleanza tra lavoratori di settori diversi: dai metalmeccanici ai lavoratori della logistica ai lavoratori della scuola. E' anche necessario porre all'ordine del giorno la lotta contro il razzismo e il maschilismo, che dividono la classe lavoratrice e la indeboliscono. A tal proposito, nell'immediato, è necessario iniziare a costruire una mobilitazione in occasione del 25 OTTOBRE, giornata internazionale contro la violenza ai danni delle donne: una mobilitazione che coinvolga le donne lavoratrici, disoccupate e studentesse in un'azione unitaria contro il maschilismo.
Il Pdac si attiverà per favorire la costruzione di un fronte unico di lotta. Parallelamente, è necessario rafforzare il partito e le sue strutture militanti, al fine di costruire un'avanguardia politica delle lotte, strumento necessario per superare l'attuale crisi di direzione del movimento operaio. Un percorso che crediamo di dover intraprendere insieme con gli attivisti della sinistra classista e coi settori combattivi della classe lavoratrice.
 
 

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