Partito di Alternativa Comunista

A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino

A 25 anni dalla caduta

del Muro di Berlino


 

di Alicia Sagra

(dal sito della Lit - Quarta Internazionale)

Lo scorso nove novembre è stato il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Cinque anni fa, in occasione del ventennale, Alicia Sagra del PSTU di Argentina ha scritto questo articolo che mantiene la sua piena attualità.
Il 9 novembre 1989, accadde un avvenimento che commosse il mondo: la caduta del Muro di Berlino. Quel giorno, durante una conferenza stampa, venne dato l'annuncio ufficiale che a partire dalla mezzanotte i tedeschi dell'Est avrebbero potuto attraversare qualsiasi frontiera della Repubblica Democratica Tedesca (RDT), compreso il Muro di Berlino, senza l'obbligo di possedere permessi speciali.

La notizia si diffuse immediatamente in entrambe le parti della città divisa: molto prima della mezzanotte migliaia di berlinesi si erano radunati su entrambi i lati del muro. Giunto il momento tanto atteso, i berlinesi dell'Est iniziarono a passare il posto di blocco. Abbondarono le scene colme di emozione: abbracci di familiari e amici che erano rimasti per tanto tempo separati, lacrime, volti che manifestavano incredulità, brindisi con champagne o birra, regali di benvenuto ai visitatori, fiori sui parabrezza delle auto che passavano la frontiera e nei fucili dei soldati che presidiavano i posti di sorveglianza. Di lì a poco le scene che avrebbero fatto il giro del mondo: migliaia di giovani che buttano giù il muro a martellate.

Si era realizzata una grande rivendicazione nazionale che sussisteva da quando, il 13 agosto 1961, i leader della vecchia Repubblica Democratica Tedesca (RDT) avevano ordinato la costruzione di una parete di calcestruzzo di 166 chilometri di lunghezza e quattro metri di altezza per dividere in due la città di Berlino.

 

Non fu una concessione delle autorità

La caduta del Muro fu il culmine di un processo rivoluzionario che si andava sviluppandosi e che si manifestava in vari modi: aumentarono le fughe e i tentativi di fuga dalla Germania dell'Est: alcuni tentavano di attraversare il Muro, la maggior parte andava in Ungheria, dove il 2 maggio i soldati ungheresi avevano iniziato ad abbattere le frontiere con l'Austria. Per questa via, entro la metà di settembre, 15 mila tedeschi orientali avevano raggiunto la Germania Federale.
A partire da ottobre si svolsero grandi marce in diverse città della Germania dell'Est. Dapprima a Lipsia; poi, di settimana in settimana, le marce andarono generalizzandosi in varie città, mentre aumentava il numero dei manifestanti. Il 18 ottobre il presidente Honecker, che aveva cercato di rispondere con la repressione, fu spogliato di tutti i suoi incarichi e rimpiazzato da Egon Krenz, il vecchio capo della sicurezza. Krenz cercò di riappacificare i manifestanti, ma non vi riuscì. Il 23 ottobre si mobilitarono 200 mila persone e il 6 novembre il numero salì a quasi 500 mila.

Dinanzi a questa inarrestabile situazione, il 7 novembre si dimise l'intero Consiglio dei Ministri, l'organismo che reggeva il destino della RDT. Due giorni dopo cadeva il Muro di Berlino.

 

Non fu un fenomeno isolato

Al contrario, la caduta del Muro fu il simbolo di un impressionante processo rivoluzionario di massa diretto contro i regimi totalitari a partito unico dell'Europa dell'Est, che caddero uno dopo l'altro come castelli di carte.

In Polonia, dopo un gran numero di scioperi causati dalle insostenibili condizioni di vita, i dirigenti del sindacato Solidarność (che 7 anni prima era stato messo fuori legge) negoziarono con il governo una legislazione sindacale, modifiche istituzionali e libere elezioni. Nelle elezioni del luglio 1989 i candidati di Solidarność si imposero ampiamente sia al Senato che alla Camera; in agosto Tadeuz Mazowiecki, editore del periodico di Solidarność, divenne primo ministro della Polonia.

In Cecoslovacchia, il 21 agosto 1989, migliaia di manifestanti si lanciarono nelle strade nel ventunesimo anniversario dell'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia. A metà novembre si formò un'assemblea di studenti che marciarono verso Piazza San Venceslao manifestando il proprio scontento per il sistema imperante. La polizia antisommossa li attaccò brutalmente, ma nei giorni seguenti migliaia di cittadini si riunirono nella stessa piazza per protestare contro la repressione ed esigere elezioni libere e la destituzione del presidente. Il Partito Comunista dovette cedere il potere ad una maggioranza che non controllava. Il nuovo gabinetto, insediatosi a dicembre, contava undici rappresentanti non comunisti. Fu peraltro legalizzata la formazione di partiti di opposizione.
In Ungheria il processo cominciò in anticipo. Già nel 1988 era stato destituito il primo ministro János Kádar, sostituito da Karoly Grosz. Nel maggio del 1989 il governo ordinò all'esercito di iniziare a smantellare la recinzione in filo spinato che marcava la frontiera con l'Austria, fatto che, come abbiamo visto, catalizzò il processo tedesco. Il 10 giugno il Partito Comunista Ungherese e l'opposizione firmarono un accordo che sancì la transizione verso il multipartitismo. Tutto ciò fu il prodotto di grandi mobilitazioni di massa che ebbero però un carattere non violento, da cui la definizione (che inizialmente fu attribuita esclusivamente al processo cecoslovacco) di “rivoluzioni di velluto”. Ma ci fu un caso differente.

In Romania, dal 1972, il presidente Nicolae Ceausescu governava col pugno di ferro. Non tollerava nessuna critica, nel Paese come nel partito. I suoi familiari, sua moglie e suo figlio occupavano posti chiave nel governo, ed erano noti i fatti di corruzione in cui erano coinvolti. A metà dicembre del 1989 si diedero manifestazioni di protesta contro il governo. Ceausescu, che diede l'ordine di reprimerle, non fu ascoltato dai soldati, molti dei quali passarono dall'altra parte della barricata. Le masse popolari rumene accorsero in gran numero a festeggiare il trionfo. Ma il 21 dicembre le truppe speciali rimaste fedeli al governo realizzarono una sanguinosa repressione a Bucarest e in altre città.

Ciò provocò la violenta reazione del movimento di massa, che contava sul sostegno di un settore dell'esercito. A seguito di violenti scontri, il 23 dicembre il presidente e sua moglie furono catturati, accusati di abuso di potere e dell'uccisione di 60 mila rumeni. Due giorni dopo furono giustiziati. Andò al potere il Fronte di Salvezza Nazionale, costituito da vecchi membri del Partito Comunista che si erano opposti a Ceausescu e da professionisti e intellettuali dissidenti.

L'intero processo contro i regimi a partito unico culminò nel 1991 con la caduta del regime sovietico.

 

Il carattere di queste mobilitazioni

Sulla base di questi fatti, i propagandisti dell'imperialismo lanciarono una grande campagna sul “fallimento del socialismo e la supremazia del capitalismo”. Questo slogan fu ribadito dall'attitudine dei partiti comunisti, che piangevano la caduta di questi regimi e parlavano di una “terribile sconfitta mondiale”.
La Lit, in un primo momento, mantenne una posizione diametralmente opposta: questi regimi non erano stati rovesciati dall'imperialismo ma dalle mobilitazioni delle masse che manifestavano per le proprie condizioni di vita. Di conseguenza la loro caduta aveva un carattere altamente rivoluzionario, che portò alla distruzione del centro mondiale dello stalinismo, che si era convertito nella camicia di forza della classe operaia e del movimento di massa di tutto il mondo.

Ma tra le organizzazioni trotskiste, che in generale mantenevano questa posizione (anche in seno alla Lit dell'epoca), si aprì una grande polemica sulle conseguenze di questi processi. Qual era il fatto predominante? La distruzione dell'apparato stalinista o la restaurazione del capitalismo che si diede in tutti questi Stati operai degenerati?

Martín Hernández, nel suo libro El veredicto de la Historia [Il verdetto della Storia, 2009], dà un'interpretazione di questi fatti.

 

Quali conclusioni dobbiamo trarne?

I processi dell'Est aprirono grandi polemiche nell'avanguardia operaia e di sinistra a livello mondiale. Dopo 20 anni, nel mezzo della crisi globale del capitalismo, godiamo di una migliore prospettiva storica per riprendere il dibattito. Furono molte le organizzazioni colpite da questi grandi eventi. Lo furono i partiti comunisti che videro crollare, uno dopo l'altro, i propri sostegni politici e, molte volte, materiali.
Ma lo furono anche molte delle organizzazioni trotskiste. Il caso estremo fu quello del cosiddetto Segretariato Unificato (SU), che arrivò alla conclusione che, con la caduta del Muro, venissero meno le barriere tra rivoluzionari e riformisti, cancellando dal proprio programma la lotta per la dittatura del proletariato ed entrando a far parte di governi borghesi.

Altri, come il MST (movimento argentino), pur essendo meno espliciti giunsero a conclusioni che finirono col portarli sulla stessa strada. A loro avviso, i grandi cambiamenti del '89-91 ci obbligano ad essere più flessibili, ad abbandonare l'“ortodossia”. Per questo ora costruiscono partiti assieme ai riformisti (come il PSOL brasiliano) e anche con rappresentanti della borghesia (come si è cercato di fare in Argentina con il peronista cattolico Mario Cafiero), appoggiando governi borghesi come in Venezuela. E alle loro spalle vi è un intero plotone composto da differenti organizzazioni che, poco a poco, hanno trasfigurato gli obiettivi, la ragion d'essere, della loro militanza.

L'attività elettorale ha acquisito valenza basilare. La logica delle elezioni si è imposta sulla logica delle lotte. L'unità per lottare è divenuta secondaria (viceversa l'unità per andare al governo con la borghesia è diventata imprescindibile, ndt). Se si vince o meno una lotta, se la classe si rafforza o si debilita, è secondario; ciò che conta è che si rafforzi l'apparato di partito e quante volte si compare in tv.

Vi sono sempre state organizzazioni che hanno agito in questo modo, ma all'indomani dei processi dell'Est tutto ciò si è generalizzato. È avvenuto perché, più o meno coscientemente, questi settori hanno finito con l'abbandonare la prospettiva della rivoluzione. Alcuni perché pensano non sia più necessaria, altri non giudicandola più fattibile, hanno abbandonato la lotta per il potere per dedicarsi a “costruire il potere” all'interno del capitalismo o a fare propaganda su un indefinito futuro socialista.

In un modo o nell'altro queste organizzazioni sono state colpite dall'“alluvione opportunista” alimentata dalla campagna imperialista secondo cui “il socialismo è morto”. La Lit non è sfuggita a questa alluvione, ne è uscita anzi distrutta. E la nostra ricostruzione è stata resa possibile, innanzitutto, da una corretta interpretazione di questi fatti, che ci ha permesso non di rifiutare ma al contrario di verificare l'enorme attualità del trotskismo e della prospettiva della rivoluzione socialista.

 

Restaurazione e rivoluzione

Martín Hernández, nel suo libro El veredicto de la Historia, sostiene che: «La mancanza di chiarezza sui diversi momenti dei cosiddetti “processi dell'Est” è stata, e continua ad essere, fonte di enormi confusioni. […] Si organizzano di solito interminabili dibattiti. […] E sorge inevitabilmente la domanda: dal punto di vista degli interessi dei lavoratori quanto accadde nell'Est europeo fu positivo o negativo? Questo tipo di domanda presuppone in genere la credenza che furono le mobilitazioni, nella lotta contro la burocrazia, a buttar giù quel che restava degli stati operai, “gettando via il bambino con l'acqua sporca”. Ma non fu così […]
Se osserviamo gli avvenimenti dal punto di vista storico, vediamo che nel corso di decenni vi erano stati vari tentativi di abbattere la burocrazia. Questi tentativi furono sconfitti, la burocrazia restò al potere e portò alla restaurazione del capitalismo. Questo fatto fu, senza dubbio, estremamente negativo. È in fondo la massima espressione della crisi di direzione rivoluzionaria. Se la storia si fosse fermata lì, oggi saremmo probabilmente dinanzi ad una delle più grandi sconfitte della storia del proletariato mondiale. Ma la storia non si fermò lì. Dopo il ritorno al potere della borghesia, le masse si riversarono nelle strade e rovesciarono i suoi agenti, e con loro i regimi dittatoriali, stalinisti, a partito unico. E questo è ovviamente positivo. […]

Il crollo dell'apparato stalinista è una vittoria immensa della classe operaia mondiale, grande quanto la sconfitta del fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale. La mancanza di una direzione rivoluzionaria fece sì che l'abbattimento dei regimi stalinisti desse luogo a regimi democratico-borghesi e non a dittature rivoluzionarie del proletariato. Ma ciò non significa che siamo di fronte ad una sconfitta. […]

Ma perché di solito, a livello del trotskismo ortodosso, si sostiene il contrario? Perché si parte dalla falsa idea secondo cui furono le masse a rovesciare una dittatura burocratica del proletariato e a sostituirla con un regime democratico-borghese. Ma non è così. Le masse rovesciarono dittature borghesi (tali erano dalla metà degli anni 80), il che fu una vittoria colossale ma a causa della mancanza di una direzione rivoluzionaria, la borghesia e i suoi agenti riuscirono ad imporre regimi democratico-borghesi.»

Sulla base della sua indagine, Martín Hernández arriva alla conclusione che il verdetto della storia ha confermato le previsioni di Trotsky e che i processi dell'Est, anziché allontanare la prospettiva rivoluzionaria, offrono condizioni più favorevoli per la classe operaia e le masse. La distruzione dell'apparato stalinista apre maggiori possibilità per avanzare nella risoluzione della crisi rivoluzionaria, dalla quale in ultima istanza tutto dipende.[...]

 

Cuba: dalla rivoluzione socialista alla restaurazione capitalista

Nei giorni scorsi, è stata pubblicata la notizia (La Nación, 11/10/2009), che a Cuba sarebbe stata cancellata la tessera di razionamento, uno dei simboli del cosiddetto “socialismo cubano”. Con questa tessera si garantiva all'intera popolazione la provvista mensile di 2,25 chili di riso, 1,4 chili di zucchero, 1,8 chili di grano, 0,2 chili di olio, 112 grammi di caffè, 10 uova e 450 grammi di sale fino, così come un sapone da bagno e un tubo di dentifricio trimestralmente. Sebbene insufficiente, era un palliativo per coloro che guadagnano salari estremamente bassi.
Già nel febbraio 2008, Raul Castro sosteneva che i servizi gratuiti, i sussidi e l'equa distribuzione dei prodotti attraverso la tessera di razionamento, erano “irrazionali e insostenibile” nelle attuali condizioni dell'economia nazionale.

Tutto questo porta molti rivoluzionari a pensare che è Raul Castro che sta introducendo l'economia capitalista nell'isola. Non è la visione di Martin Hernandez. In un dibattito con i dirigenti cubani, riprodotto nel libro che presentiamo, egli dice:

«A Cuba, con la rivoluzione, è sparita la disoccupazione! A Cuba, con la rivoluzione, sono spariti i problemi della sanità! A Cuba si è conquistata l'assistenza sanitaria che tutti vogliamo, l'assistenza sanitaria per tutta la popolazione e non solo per i privilegiati e, più ancora, si sono fatti passi in avanti impressionanti nel campo della ricerca medica e farmacologica. Ma le conquiste non sono state solo nel campo della medicina, ma in settori come l'alloggio e l'istruzione. E questi sviluppi hanno avuto i loro riflessi anche in altre campi, come ad esempio lo sport. [...] Questi enormi successi, che sono stati possibili grazie alla rivoluzione, all'espropriazione dell'imperialismo e del capitalismo, oggi si stanno perdendo [...] Non c'è più l'economia pianificata. Non c'è più il monopolio del commercio estero. E non esiste più l'economia statalizzata, esiste solo in minima e decrescente parte. Quindi, a mio parere, ciò che sta accadendo a Cuba è la restaurazione del capitalismo. Un restaurazione che non avviene per un'invasione di “gusanos” (vermi, spregiativo riferito agli esuli anti-castristi negli USA), ma da parte dello stesso governo cubano.»

Il dibattito di cui parliamo si diede nel 2001, cioè quando il governo cubano era guidato da Fidel. Questa interpretazione di Martín Hernández, può spiegare perché gli attuali cambiamenti operati da Raul Castro, si realizzano senza alcuna opposizione da parte di suo fratello. Sappiamo che questo è un tema molto polemico.

 

(traduzione dallo spagnolo di Giovanni "Ivan" Alberotanza)

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