Partito di Alternativa Comunista

I dilemmi dell

I dilemmi dell’Ucraina

 

 

di Eduardo Almeida (*)

La prima e più importante definizione sull’Ucraina è che in questo Paese è iniziato un processo rivoluzionario la cui prima fase ha avuto il suo picco con la caduta di Yanukovich, nel febbraio del 2014.
Gran parte della sinistra mondiale, raggruppata nella corrente castrochavista, è salita in difesa di questo governo corrotto, agente dell’oligarchia e dell’imperialismo, sostenendo che si trattava di un golpe della destra. L’obiettivo è snaturare l’incontestabile fatto per cui un governo identificato con l’oppressione russa sia stato rovesciato da un’ampia e prolungata mobilitazione popolare.

Il principale argomento del castrochavismo è la forza di settori neonazisti nella mobilitazione e nel nuovo governo. Tuttavia, le elezioni dello scorso giugno, dopo la ribellione di Maidan, hanno mostrato il peso reale di questi settori. Il principale gruppo neonazista, Svoboda (Libertà), è sceso dal 10,5% ottenuto alle scorse elezioni del 2012 all’1,17%. L’altro gruppo neonazista, Praviy Sektor (Settore di destra), ha ottenuto lo 0,67%.

In realtà, il fatto vero è che le grandi ribellioni popolari che hanno scosso l’Egitto, la Tunisia, sono arrivate in Europa. Portano la forza impressionante delle masse nelle piazze, con emozionanti episodi come la resistenza di migliaia di persone in Piazza Maidan persino sotto il fuoco dei cecchini di un governo sempre più autoritario. Questa massa in rivolta si è auto‑organizzata travalicando le direzioni che avevano proposto un accordo per convocare elezioni in dicembre. Un attivista brandì il microfono, respinse l’accordo e disse che, se Yanukovich non si fosse dimesso, il giorno dopo sarebbe stato invaso il palazzo per prenderlo. Subito dopo, il presidente fuggì e le masse occuparono gli edifici pubblici.

Al contempo, queste gigantesche mobilitazioni portano allo scoperto le innumerevoli confusioni causate dall’arretramento nella coscienza dopo la restaurazione nell’Est europeo e, soprattutto, dall’assenza di una direzione operaia rivoluzionaria di massa che si ponga come direzione del processo. Ciò è dimostrato dalla fragilità di quest’auto‑organizzazione, che rapidamente si è dissolta nelle aspettative nell’Unione europea, essendo assente il proletariato organizzato come classe.

Le masse mobilitate sono state capaci di rovesciare un governo, ma incapaci da sé sole di costruire un’alternativa. Così, la borghesia ucraina ha potuto canalizzare la grande ribellione di Maidan verso la democrazia borghese attraverso la reazione democratica eleggendo Poroshenko col 54% dei voti. Uno dei più grandi borghesi ucraini – uno degli oligarchi che ha portato il Paese all’attuale situazione – ha capitalizzato un’eroica mobilitazione di massa.

In realtà, si tratta del secondo episodio di ribellione popolare che rovescia un governo nel recente passato. Nel 2004, la cosiddetta “rivoluzione arancione” evitò che lo stesso Yanukovich venisse eletto alla presidenza attraverso un gigantesco broglio elettorale.

Ma la dinamica del processo rivoluzionario è proseguita. La decadenza del Paese e la miseria delle classi popolari – che continuano ad aggravarsi dalla restaurazione del capitalismo – sono state le basi materiali che hanno generato la “rivoluzione arancione” e l’attuale “Maidan”.

Una situazione, questa, che va approfondendosi ulteriormente con il piano del Fmi assunto dal nuovo governo. Verranno privatizzati i gasdotti (che trasportano il gas dalla Russia verso l’Europa) e le miniere, aumentati del 50% il prezzo del gas, del 40% le tariffe per l’elettricità, brutalmente ridotti i sussidi, licenziati impiegati pubblici in ragione del 20%. La svalutazione del 50% della moneta ucraina ha fatto aumentare il prezzo dei prodotti importati. L’accordo di libero commercio con l’Unione europea (Ue) firmato lo scorso 27 giugno apre del tutto le frontiere ucraine ai prodotti europei accelerando la decadenza e la deindustrializzazione del Paese.

L’altro motore del processo rivoluzionario è la questione nazionale. L’Ucraina è un Paese indipendente solo dal 1991. È stata oppressa dallo zarismo e dallo stalinismo, che hanno accentuato lo sciovinismo gran russo. È stata occupata dal regime nazista. Anche dopo la sua formale indipendenza continua ad essere duramente oppressa dalla Russia e dall’imperialismo europeo.

Nulla di progressivo verrà dalla submetropoli vicina, la Russia, che vuole mantenere il controllo maggioritario dell’economia del Paese.

E ancor meno dall’Unione europea. L’accordo di libero commercio con l’Ue, l’applicazione del piano del Fmi e la privatizzazione dei gasdotti sono passi importanti verso la colonizzazione dell’Ucraina, che può essere considerata, a partire da questi accordi, una semicolonia dell’Unione europea.

Le aspettative delle masse popolari ucraine nell’Ue contrastano fortemente con la realtà nel resto del continente. Mentre veniva eletto Poroshenko, le contemporanee elezioni europee indicavano un fenomeno di segno opposto: un’astensione gigantesca e la sconfitta dei partiti socialdemocratici e della destra tradizionale nella maggioranza dei paesi europei hanno mostrato un profondo rifiuto dell’Unione europea da parte dei lavoratori del continente.

Solo se ricostruirà la sua coscienza di classe assumendo una posizione di indipendenza dalle distinte borghesie associate ai blocchi dell’Ue e di Putin, il proletariato ucraino potrà puntare verso un’alternativa rivoluzionaria socialista per costruire l’Ucraina indipendente, libera e unita: ciò che si esprime nella costruzione di un partito, una direzione che affronti la lotta per portare la classe operaia al potere.

 

Una storia di grandi sconfitte

L’Ucraina è uno dei più grandi e più popolosi Paesi europei. Il suo territorio è più esteso di tutte le potenze imperialiste continentali, come Germania, Italia, Inghilterra, Francia e Spagna. Ha terre molto fertili, essendo considerata il “granaio d’Europa” (è stata il terzo maggior esportatore mondiale di grano nel 2011), e un settore industriale sviluppato.
Nel XVIII secolo, l’Ucraina era divisa fra l’Impero austro‑ungarico (Ucraina occidentale) e l’Impero russo (Ucraina orientale). La rivoluzione del 1917 creò la Repubblica socialista sovietica di Ucraina nella parte orientale che successivamente si unificò con l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche nata nel dicembre del 1922. Nel settore occidentale si verificò una rivoluzione con un finale differente, con la nascita della Repubblica popolare dell’Ucraina occidentale, che fu sconfitta e annessa alla Polonia.

Nel breve periodo dei primi sette anni della rivoluzione russa si progredì nella soluzione del problema nazionale nella Repubblica socialista sovietica di Ucraina, con un importante recupero della tradizione linguistica e culturale, definito “ucrainizzazione”. Era un esempio per quell’altra parte del Paese che in quel momento era schiavizzata dalla Polonia, così come per tutti i popoli oppressi del continente.

Tuttavia, la controrivoluzione stalinista invertì brutalmente il corso di questo processo. La “russificazione” forzata del Paese represse violentemente qualsiasi pretesa indipendentista. Sul problema nazionale si innestò una violenta ondata emozionale sociale. La collettivizzazione forzata dell’agricoltura imposta dallo stalinismo in tutta l’Urss incontrò una forte resistenza fra i contadini del paese, che provocò fra cinque e sei milioni di morti.

L’unità nell’Urss, che aveva iniziato a consolidarsi attraverso il convincimento, si trasformò in una tendenza centrifuga, di odio delle masse ucraine contro l’oppressione russa.

L’accordo di Stalin con Hitler nel 1939 fece sì che l’Armata rossa invadesse l’Ucraina occidentale e riunificasse il Paese sotto il tallone russo. Quando gli eserciti del nazismo ruppero il patto con Stalin occupando l’Ucraina, si verificò un episodio rivelatore del fallimento stalinista nella risoluzione della questione nazionale ucraina: alcune regioni dell’Ucraina occidentale ricevettero i nazisti come liberatori. Ma l’occupazione nazista generò anche una forte opposizione del popolo ucraino.

Alla fine della seconda Guerra mondiale, la maggior parte dell’Ucraina fu riunificata sotto il controllo dell’Urss, stabilendosi nuovamente uno Stato operaio burocratizzato e sottoposto alla burocrazia russa.

 

L’indipendenza associata alla restaurazione del capitalismo

La caduta delle dittature staliniste nell’Est europeo nel 1991 rese possibile la convocazione di un referendum che decise per l’indipendenza del Paese. Nel mezzo dell’Europa, l’Ucraina esiste come Stato indipendente solo da 23 anni. C’è un sentimento nazionale esacerbato dall’oppressione e, al tempo stesso, uno Stato fragile, incapace di imporsi alle potenze oppressore.
L’indipendenza del Paese, lungamente desiderata, non ha tuttavia portato i miglioramenti attesi. La restaurazione capitalista ha prodotto una forte decadenza economica, con una caduta del Pil del 60% fra il 1991 e il 1999. Il livello di vita è stato duramente colpito e i lavoratori hanno perso conquiste come il pieno impiego e servizi pubblici di qualità. Le masse popolari hanno nuovamente conosciuto la miseria.

I burocrati che controllavano il Paese si sono appropriati delle imprese statali trasformandosi nei nuovi borghesi. Sono chiamati “oligarchi” del Paese, nuovi multimilionari che fanno parte dell’élite governante. Hanno le caratteristiche tipiche di tutte le borghesie, associate alla brutalità delle burocrazie.

Non si tratta di un fenomeno solo dell’Ucraina, ma di tutto l'Est europeo. In Russia, Abramovich, il nuovo borghese che si è impossessato dell’impresa statale russa del petrolio, l’ha rivenduta per 13 miliardi di dollari. È l’attuale proprietario del Chelsea, una delle più grandi squadre di calcio inglesi.

Akhmetov, il più grande oligarca ucraino, si è appropriato delle miniere statali ed è il proprietario dello Shaktar, la squadra di calcio più importante del Paese. Ha avuto relazioni molto strette con Yanukovich e oggi difende l’Unione europea. Yulia Timoshenko, una delle leader della “rivoluzione arancione” contro la dominazione russa, è una delle donne più ricche del Paese ed era stata arrestata per una gigantesca corruzione nei negoziati sul gas con la stessa Russia. Yanukovich già era stato arrestato per un furto ed è uno sfacciato corrotto. Il suo palazzo con la rubinetteria d’oro è stato invaso dalle masse ribellatesi di Maidan.

La borghesia ucraina si divide fra un settore che dipende più dalle esportazioni verso la Russia e un altro che guarda verso l’Unione europea. Molte volte, un settore oscilla da un lato all’altro in funzione dei propri interessi immediati. Ma tutti infine dipendono dal capitale finanziario internazionale.

Poroshenko, il presidente appena eletto, fa parte della stessa oligarchia. È il proprietario della più grande industria di cioccolata, di varie imprese di produzione e vendita di automobili e di un canale Tv. È stato presidente della Banca nazionale ucraina per molti anni e agente della privatizzazione dell’impresa statale della produzione di ferro che valeva un miliardo di dollari e fu venduta per ottanta milioni. È stato ministro del Commercio e dell’Economia di Yanukovich, ma al sentore della crisi ha abbandonato la nave appoggiando il movimento di Maidan.

Questa nuova classe borghese dominante governa il Paese dalla restaurazione del capitalismo, ma non riesce a stabilizzare la democrazia borghese. Nel 2004, Yanukovich, che già era primo ministro, realizzò dei brogli nelle elezioni presidenziali e fu dichiarato eletto. Ci fu una ribellione chiamata “rivoluzione arancione” per il colore usato dal candidato oppositore, Victor Yushchenko. La ribellione segnò una vittoria, con la prima destituzione di Yanukovich e la salita al potere di Yushchenko e della sua vice, Yulia Timoshenko.

Il nuovo governo si logorò rapidamente, affondando nella crisi economica e la corruzione. Yanukovich vinse di nuovo le elezioni nel 2010 per essere poi deposto per la seconda volta durante la mobilitazione rivoluzionaria di Maidan iniziata sul finire dell’anno scorso.

Ora è il turno di Poroshenko, altro membro dell’oligarchia, cui tocca l’imposizione del più duro piano d’austerità mai applicato nel Paese.

 

La pressione della submetropoli russa

La Russia che è sorta dalla restaurazione capitalista ha subito una brutale caduta nella relazione mondiale fra Stati. L’Urss era la seconda economia mondiale (solo dietro agli Stati Uniti). La Russia attuale ha un il inferiore a quello del Brasile.
Anche con lo Stato burocratizzato, che limitava la crescita del Paese, la popolazione russa godeva del pieno impiego, sanità ed istruzione di qualità. Oggi, la miseria e la disoccupazione sono parte della realtà russa, allo stesso modo che negli altri Paesi capitalisti.

La Russia è una nuova submetropoli dell’imperialismo che si è rilocalizzata nel mercato mondiale, adesso principalmente come fornitrice di energie (in particolare, gas e petrolio). Così come la Cina è la “fabbrica del mondo”, l’India produce software e prodotti informatici, il Brasile esporta minerali e prodotti agrozootecnici, la Russia esporta energia.

Continua a possedere un esercito gigantesco e un importante arsenale nucleare. Ha basi militari fuori del suo territorio che agiscono in difesa dei suoi interessi, come nel caso della difesa di Assad in Siria e di Yanukovich in Ucraina, o di governi come l’Ossezia e l’Armenia nel Caucaso o il Tagikistan in Asia centrale.

Era una superpotenza che si divideva il governo del mondo con l’imperialismo nordamericano. Non si è trasformato in un nuovo Paese imperialista, come ritengono settori della sinistra, bensì in una submetropoli dell’imperialismo.

Le submetropoli, come il Brasile e l’India, sono dipendenti dall’imperialismo e, d’altro lato, esercitano oppressione su altri Paesi più fragili. La Russia è un caso speciale, esattamente perché trova la sua origine nella restaurazione del capitalismo nella superpotenza dell’Urss. In altri termini, il livello da cui precipita è molto alto, molto più di quello di qualsiasi altra submetropoli.

Esercita, a differenza di queste ultime, una pressione sui Paesi vicini molto più grande. L’oppressione è ancor più grande sui Paesi dell’Est, in particolare su quelli che facevano parte dell’antica Unione Sovietica e i confinanti come l’Ucraina. Di quest’ultima, la Russia è il principale partner commerciale, assorbendo più del 30% delle sue esportazioni. Attraverso l’Ucraina passano i gasdotti che portano il gas russo a tutta l’Europa, oltre a quello consumato dalla stessa Ucraina.

In questo momento, Putin sta facendo pressioni sul nuovo governo perché paghi di più per il gas. Minaccia la sospensione delle forniture, cosa che avrebbe conseguenze gravissime perché colpirebbe il riscaldamento di case in regioni estremamente fredde.

All’oppressione secolare del passato zarista e stalinista sull’Ucraina si aggiunge l’attuale pressione capitalista russa.

 

L’impasse dell’est dell’Ucraina

Come afferma la dichiarazione della Lit sull’Ucraina, la collera contro il governo di Kiev e il suo piano del Fmi viene sviata da direzioni controrivoluzionarie nell’est ucraino. Il movimento separatista di Donetsk e Lugansk ha imposto un discutibile referendum e ha dichiarato l’indipendenza di queste regioni.
La possibilità di una lotta dell’insieme del proletariato ucraino contro il governo di Kiev sta fallendo a causa di direzioni filorusse nell’est dell’Ucraina, che sviluppano azioni di milizie armate separatiste.

Il governo di Kiev ha reagito con un’offensiva militare – compreso il bombardamento aereo delle sue stesse popolazioni – che ha già provocato centinaia di morti. Siamo contro l’offensiva di Kiev, che trascina con sé la ricolonizzazione del Paese ad opera dell’imperialismo europeo. Siamo contro le azioni militari delle truppe separatiste.

Ripudiamo i due blocchi politici borghesi che opprimono l’Ucraina. Siamo contro il blocco intorno al governo Poroshenko che gode dell’appoggio dell’imperialismo europeo e nordamericano. Siamo contro il blocco borghese di Putin e i suoi agenti politici nell’est ucraino.

Estendiamo questa posizione al terreno militare rifiutandoci di appoggiare l’offensiva bonapartista di Kiev, così come non appoggiamo militarmente le azioni delle milizie separatiste filorusse. Difendiamo l’unità dell’Ucraina e la sua indipendenza, sia rispetto all’Ue che alla Russia.

Rivendichiamo l’intervento della classe operaia e delle masse popolari ucraine affinché sconfiggano entrambi queste alternative borghesi e oppressore attraverso la loro mobilitazione e la lotta auto‑organizzata. Il proletariato dell’est (come già embrionalmente ha fatto) deve sconfiggere le azioni delle bande separatiste filorusse. E il proletariato dell’insieme dell’Ucraina deve fermare l’esercito di Kiev.

Le proposte per un cessate il fuoco e i piani di pace del governo Poroshenko non puntano ad autentiche prospettive di pace. Poroshenko parte da una posizione di forza, offensiva, facendo affidamento sulla passività di Putin. Soddisfatto dell’annessione della Crimea e cercando di ritrovare l’accordo con l’imperialismo, il governo russo negozia con Kiev senza garantire appoggio alla lotta armata delle milizie separatiste, sempre più indebolite.

Così come accaduto a Maidan, nell’est ucraino operano gruppi neonazisti, come il Battaglione Vostok e Oplot, che definiscono questa regione con l’antica denominazione zarista di “Nuova Russia”. Al contrario di quanto affermato dalle correnti castrochaviste, esiste nell’Est un peso considerevole di questi settori neonazisti. Innanzitutto, perché Putin ha l’appoggio attivo di innumerevoli gruppi neonazisti in Russia, che sono direttamente coinvolti nella lotta armata nell’Est dell’Ucraina. Putin non dirige un governo fascista, ma bonapartista autoritario. Tuttavia, è appoggiato da molti gruppi neofascisti. Un esempio è la “Unione euroasiatica della Gioventù”, un’organizzazione di estrema destra, filoputiniana, fondata dal neofascista russo Aleksandr Dugin.

Putin ha anche l’appoggio dell’estrema destra europea, come quella di Marine Le Pen, leader del Fronte nazionale (francese), che ha dichiarato: “Egli è estremamente consapevole del fatto che difendiamo valori comuni”. Il leader del partito austriaco di estrema destra Partito della Libertà (Fpö), Heinz Christian Strache, ha identificato Putin come “un democratico puro, con uno stile autoritario”.

Il movimento nato intorno a Maidan ha prodotto grandi mobilitazioni di massa. Ciò non si verifica nell’est ucraino, in cui gli scontri vedono la partecipazione essenzialmente delle milizie separatiste da un lato e dell’esercito di Kiev dall’altro.

Può darsi che questa realtà trovi una spiegazione nella situazione delle masse nell’est. Non esistono grandi mobilitazioni perché non esiste – almeno finora – una disposizione dei lavoratori a mettere a rischio le proprie vite per la causa separatista. Può darsi perché sono contro il governo di Kiev, ma al contempo non ripongano fiducia in queste direzioni filorusse. Può darsi che appoggino l’indipendenza, ma non l’annessione alla Russia che è difesa da queste milizie separatiste.

È un fatto che, finora, tali direzioni separatiste non siano state in grado di organizzare grandi mobilitazioni. Un altro fatto è che hanno subito un arretramento nelle loro basi, perdendo Harkov, Odessa e Mariupol, e sono centrate a Donetsk e Lugansk.

Il proletariato ucraino dell’est è il più grande e concentrato del Paese. Ha un’enorme tradizione storica di lotta. La sua avanguardia sono stati i minatori del Donbass, che hanno avuto la loro massima espressione nei processi di lotta contro Gorbaciov, Kravshuk e tutto l’apparato del Pcus dal 1989 al 1991. In seguito, hanno perso forza e organizzazione e i loro dirigenti sono stati cooptati dai nuovi oligarchi.

Nonostante il peso dell’idioma russo e dell’attrazione per il livello di vita in Russia (che, a dispetto della crisi è di gran lunga superiore a quello in Ucraina), non si può meccanicamente considerare questo proletariato come una base d’appoggio del movimento separatista. Basti ricordare che nel 1991 le masse popolari nel loro insieme, comprese quelle dell’est, votarono per l’indipendenza rispetto alla Russia, con un risultato di più del 90%.

Da questa regione si stanno producendo iniziali punti d’appoggio operaio per un’alternativa contro i separatisti e favorevole a una lotta unificata dell’insieme del proletariato ucraino, come è accaduto a Krivoy Rog, Krasnodon e Chernograd.

Il processo rivoluzionario in Ucraina è appena agli inizi. Avrà progressi e riflussi. Ci saranno altre manifestazioni con l’adozione dei piani del Fmi e l’inevitabile logoramento del governo dell’oligarca Poroshenko.

È su questi ancor deboli punti d’appoggio che si deve costruire una nuova alternativa, un terzo campo, intorno al proletariato indipendente dai due blocchi borghesi – quello del governo filoeuropeo e quello filorusso – come pure da qualsiasi altro settore dell’oligarchia borghese. È necessario puntare alla prospettiva strategica della rivoluzione socialista con i lavoratori al potere, unica alternativa per arrivare a un’Ucraina libera, indipendente e unificata.
per questo, sarà necessario unificare l’avanguardia rivoluzionaria in un partito socialista che recuperi la tradizione bolscevica di risposta alla questione nazionale.

 

 

(*) Segretariato internazionale della Lit – Quarta Internazionale

 

(Traduzione dall’originale in portoghese di Valerio Torre)

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