Partito di Alternativa Comunista

A 110 anni dalla prima rivoluzione russa 1905

A 110 anni dalla prima rivoluzione russa

1905

L’insostituibile ruolo del bolscevismo

 

 

di Ruggero Mantovani

 

1905

 

“Lo sviluppo della coscienza di classe delle masse sarà, come sempre, la base e il contenuto principale di tutto il nostro lavoro… Attacco e non difesa: questa deve essere la parola d’ordine delle masse; loro compito sarà l’implacabile annientamento del nemico”.
(Lenin “Gli Insegnamenti della Rivoluzione di Mosca” agosto 1906).

La guerra imperialista della Russia contro il Giappone (1) fu l’avvenimento più importante del 1904 e fu decisiva per lo scoppio della rivoluzione del 1905, senza la quale sarebbe stata improbabile la rivoluzione del 1917.
A registrare il clima di terrore e repressione imposto dallo zarismo fu lo scrittore Lev Tolstoj, che il 16 gennaio 1902 denunciò con una missiva indirizzata a Nicola II quanto segue: “[...] Un terzo della Russia si trova nello stato di emergenza, vale a dire fuori della legge. L'esercito della polizia, ufficiale e segreta, continua ad aumentare. Le prigioni, i luoghi di esilio e le colonie penali sono affollate di prigionieri politici, tra i quali sono annoverati anche gli operai”.

La rivoluzione durò tutto l’intero anno facendo emergere un protagonismo e una autonomia della classe operaia senza precedenti, che cominciarono a scavare anche in quel mondo contadino storicamente succube della borghesia e del paternalismo zarista.

All’inizio dell’insurrezione la classe operaia, in particolare, pur avendo avanzato rivendicazioni democratiche ed economiche - dalla fine dell'autocrazia all'assemblea costituente e alla giornata lavorativa di otto ore – ben presto si rese conto che la borghesia era legata mani e piedi all’autocrazia zarista.

Nel vivo di una straordinaria esperienza rivoluzionaria, che cancellò ogni illusione di auto-riforma del sistema russo e superando anche le concezioni mensceviche (riformiste che praticavano l’alleanza con i liberali), si sancì un’alleanza tra il mondo operaio e il bolscevismo, maturando la consapevolezza di essere l'avanguardia politica e sociale per realizzare il socialismo nell’anello più debole dell’imperialismo mondiale.

 

I principali avvenimenti della rivoluzione

La guerra acuì una crisi sociale senza precedenti: sconfitte militari, disastro economico, disoccupazione, rincaro dei beni di consumo che combinato con la riduzione della produzione agricola colpì duramente tutte le città. In questo clima la reazione del proletariato russo non si fece attendere.
Il 26 dicembre iniziò il grande sciopero dei pozzi petroliferi di Bakue e il 16 gennaio, a Pietroburgo, entrarono in sciopero le officine di Putilov, a seguito del licenziamento di quattro operai iscritti all'Assemblea degli operai russi di fabbrica e d'officina, estendendosi alla maggioranza dei siti produttivi di Pietroburgo che, anche in questo caso, avanzarono rivendicazioni economiche e politiche: stabilire i minimi salariali, ottenere la giornata lavorativa di otto ore, la separazione tra Stato e Chiesa, la distribuzione della terra ai contadini, la fine della guerra, la legalizzazione dei sindacati, il diritto di sciopero, la giornata lavorativa di otto ore e le assicurazioni previdenziali gestite dallo Stato
Per tutta risposta lo Zar iniziò la repressione: proclamò lo stato d'assedio nella capitale (affidato al granduca Vladimir e al generale Vasil'cikov) e rafforzò il presidio militare nella città, dove furono concentrati 22 mila soldati, reparti di cosacchi e di cavalleria.
La risposta operaia fu immediata: la mattina di domenica 22 gennaio (il 9 gennaio secondo il vecchio calendario) circa 200 mila manifestanti, divisi in undici cortei provenienti da ciascuna delle sezioni dell'Assemblea operaia, così come altri cortei, si misero in marcia verso il Palazzo d'Inverno.
Malgrado le eroiche barricate operaie i manifestanti furono respinti a fucilate provocando centinaia di feriti e di morti.
Alla notizia della strage nella capitale entrarono in sciopero gli operai di Mosca e della provincia, unitamente agli operai delle fabbriche degli Urali, del bacino del Volga e ai metallurgici di Tula, mentre da Saratov uno sciopero dei ferrovieri si estese alle stazioni collegate.

Il 25 maggio 1905 la città di Ivanovo-Voznesensk, situata nel distretto di Mosca (chiamata la “Manchester russa”), iniziò uno sciopero con più di 40 mila aderenti.

Il giorno successivo gli operai di tutte le fabbriche in sciopero elessero un Consiglio dei deputati operai rappresentando le istanze comuni di tutta la massa degli scioperanti: così nacque il primo soviet della storia.

 

L’insurrezione comincia a contagiare la marina, l’esercito e i contadini.


A Odessa, il 26 giugno, era stato dichiarato lo sciopero generale e si verificò l’eroico ammutinamento dei marinai della corazzata Potëmkin che la sera gettò le ancore al porto.
Il 28 giugno, quando la salma del marinaio Vakulenkuk fu portata a terra, scoppiò la rivolta, culminata nella notte con l'incendio dei magazzini portuali e la repressione dei cosacchi che provocò centinaia di morti.
Dal 2 ottobre entrarono in sciopero anche i tipografi di Mosca, seguiti dai fornai, dagli operai delle manifatture dei tabacchi, dai tranvieri, ma ancora una volta i cosacchi spararono brutalmente sugli scioperanti.
Malgrado la costante repressione zarista il 19 ottobre entrarono in agitazione anche i macchinisti e gli operai delle officine della linea Mosca-Kazan' e il 20 ottobre l'Unione dichiarò lo sciopero generale dei ferrovieri. In breve tutta la Russia si trovò paralizzata.
In questo costante clima insurrezionale nella notte del 26 ottobre il primo Soviet dei deputati operai di Pietroburgo si riunì in una sala dell'Istituto Tecnologico e il 27 ottobre, presente anche Lev Trotsky appena giunto dalla Finlandia, furono ammessi i rappresentanti dei tre partiti socialisti: social-rivoluzionari, menscevichi e bolscevichi.
Da comitato di sciopero, il soviet di Pietroburgo si trasformò in breve in organo politico e rivoluzionario del proletariato cittadino. Il suo esempio fu rapidamente imitato e sorsero in tutta la Russia una cinquantina di soviet operai, oltre a qualche soviet di soldati e di contadini. Il più importante, dopo quello di Pietroburgo, fu il soviet operaio di Mosca.
L’8 novembre nella base navale di Kronštadt dopo l’arresto di alcuni marinai, a seguito di comizi e rivendicazioni economiche e politiche, scoppiò una rivolta armata che portò alla conquista della città da parte degli insorti.

Il 23 novembre si ammutinarono anche i marinai dell'incrociatore Ocakov, ormeggiato al porto di Sebastopoli, che appoggiarono lo sciopero in corso nella città e arrestarono i loro ufficiali.

Altri marinai e la guarnigione di Sebastopoli si unirono all'insurrezione e in città fu formato un soviet dei deputati, marinai, operai e soldati, che reclamò l'Assemblea costituente, la giornata lavorativa di otto ore, la soppressione della pena di morte e la liberazione dei detenuti politici.

Ma gli ammutinati non si organizzarono adeguatamente contro l'inevitabile reazione zarista, che il 27 novembre fece sparare da truppe fedeli sulle navi ribelli e sulle caserme dei marinai: trenta morti e settanta feriti il bilancio degli scontri.

Malgrado la repressione, il 9 novembre gli operai delle officine metallurgiche decisero di propria iniziativa di ridurre la loro giornata lavorativa a otto ore. Il soviet ratificò la decisione e l'11 novembre lanciò la lotta per la giornata di otto ore in tutte le fabbriche di Pietroburgo.

Dopo tre giorni questo sciopero fu sospeso per proclamarne un altro a favore dei seicento marinai protagonisti della rivolta di Kronstadt che il governo minacciava di far giudicare dal tribunale di guerra.

I padroni decisero la serrata delle fabbriche e licenziarono 70 mila scioperanti.

L'ultima iniziativa di rilievo del soviet di Pietroburgo, presa il 5 dicembre su impulso del suo presidente Trotsky, riguardò il “manifesto finanziario” pubblicato il 15 dicembre, che chiamava allo sciopero fiscale il proletariato russo, con l’intento di sottrarre ingenti somme trattenute dalle banche zariste che da subito reagirono energicamente.

Dal 23 dicembre tutta la periferia di Mosca era ricoperta di barricate.
In realtà, quella di Mosca non fu l'unica rivolta armata nelle strade. A Novorossijsk il soviet operaio proclamò la repubblica e resistette due settimane all'offensiva dell'esercito.
L'esempio fu imitato in Siberia, dove le stazioni della ferrovia transiberiana diventarono un centro di resistenza, e a Krasnojarsk e a Cita la “repubblica” tenne testa per un mese agli attacchi delle truppe zariste.

 

Il quadro politico ed il ruolo dei bolscevichi.

E’ da notare che sia nel 1904 che nel 1914 i menscevichi si rifiutarono di ricercare le causa della guerra nel conflitto imperialistico.
Nel 1904 la borghesia in Russia non era ancora totalmente interna al potere zarista, a differenza del 1914 quando l’autocrazia fece un passo in avanti verso una monarchia costituzionale e la borghesia divenne sempre più legata mani e piedi all’imperialismo russo. Ne derivò, nel 1904, un disfattismo dei menscevichi simile a quello dei liberali, strumentale ad ottenere agevolazioni. Entrambi sapevano che se la Russia avesse perso la guerra, l‘autocrazia sarebbe stata più debole e doveva per forza maggiore fare concessioni.

Il disfattismo dei bolscevichi era invece finalizzato a trasformare la guerra in lotta rivoluzionaria e i menscevichi, per scongiurarlo, fecero blocco con i liberali che nel frattempo avevano ripreso vigore, sottoscrivendo petizioni indirizzate allo Zar e insistendo che non bisognava spaventare la borghesia. Riproponevano nei fatti la loro vecchia idea di assegnare ai liberali la lotta politica e al proletariato le rivendicazioni economiche.

Ma Lenin sapeva bene che in campo vi era una grande forza, la classe operaia, l’unica che avrebbe spezzato, con i contadini, le catene dell’autocrazia e del capitalismo.

Purtroppo, malgrado al II congresso del Posdr (1903) la maggioranza fosse andata ai bolscevichi, in poco tempo, dopo l’arresto di alcuni componenti del CC e la svolta opportunistica di Plechanov, il CC e L’Iskra passarono nelle mani dei menscevichi.

I bolscevichi non avevano più il controllo del partito ed erano in clandestinità. Lenin a questo punto decise per la scissione e si formò un’organizzazione centrale panrussa dei bolscevichi che contrastò il CC menscevico.

I bolscevichi lanciarono tra le masse senza guida politica la parola d’ordine dell’insurrezione e della formazione di un governo rivoluzionario provvisorio. Nella metà del 1905 ebbe luogo il III congresso, convocato dall’Ufficio dei comitati a Londra, a cui parteciparono solo i bolscevichi: furono messe all’ordine del giorno l’insurrezione armata, lo sciopero generale e la messa a punto di un programma per la rivoluzione imminente.

Il movimento operaio e contadino si era sviluppato di pari passo ai bolscevichi; l’esercito e la flotta cominciarono a manifestare lo spirito di rivolta. L’autocrazia zarista cominciò a fare concessioni e decise di convocare la Duma. (2)

A quel punto i menscevichi videro l’inizio del parlamentarismo mentre i bolscevichi, sapendo che il tempo della rivoluzione era maturo, rifiutarono qualsiasi partecipazione, tanto più che la Duma poteva fornire privilegi solo alla borghesia.

Mentre nel 1871 Marx si affrettò con lo scritto La guerra civile in Francia ad esaltare l’azione dei comunardi, i menscevichi condannarono la rivoluzione. Ma la rivoluzione del 1905 fu importante perché per la prima volta l’insurrezione avvenne utilizzando le parole d’ordine dei bolscevichi, preparando, in effetti, quella del 1917.

 

Sulle questioni di fondo nessuna contrapposizione tra Lenin e Trotsky.

Al di là di quanto sostenuto dai tristi epigoni dello stalinismo, è bene sottolineare che sulle questioni essenziali Trotsky non ebbe mai alcun disaccordo con Lenin: sull'indipendenza di classe del proletariato e del partito rivoluzionario ruppe con i menscevichi di Martov; nella rivoluzione del 1905 tutte le polemiche con Lenin sul centralismo si sciolsero come neve al sole; nel 1917 confluì nel partito bolscevico con la sua organizzazione composta da quattromila aderenti e al fianco di Lenin, che riarmò il partito con le “Tesi di Aprile”, diresse la rivoluzione russa.
Non è un caso che tutta l'elaborazione di Trotsky fu tesa a confermare l'insostituibile ruolo del partito d'avanguardia e ad approfondire la dialettica leninista partito – masse.

Trotsky, prima di essere assassinato da un sicario staliniano (il 20 agosto del 1940) scriveva il saggio Classe, partito, direzione in cui, nel ribadire il ruolo insostituibile del partito d'avanguardia (espresso decenni prima da Lenin nel Che Fare?) riprendeva un concetto chiave che già nelle Lezioni dell'Ottobre (1924) aveva espresso con queste parole: “Senza il partito, al di fuori del partito, aggirando il partito, con un surrogato del partito la rivoluzione proletaria non può vincere”.

Al contempo la teoria della rivoluzione permanente elaborata da Trotsky e dal socialdemocratico Parvus, all'indomani della rivoluzione del 1905, rappresenta senza dubbio un apporto essenziale al marxismo conseguente. Trotsky giustamente contestò la vecchia formula leniniana della “dittatura democratica degli operai e dei contadini”, che in effetti risentiva di una visione maturata nella socialdemocrazia tedesca di Kautsky, ed era ancora interna a una concezione "semi-tappista" della rivoluzione, che avrebbe dovuto passare per una "tappa" democratica (in una democrazia borghese) come premessa della dittatura del proletariato (al contrario, per Trotsky, la dittatura del proletariato era la premessa dell'assolvimento degli stessi compiti democratici di un'unica "rivoluzione permanente".
Contemporaneamente, però, Lenin (su questo in totale accordo con la posizione di Trotsky) denunciò senza esitazione il legame tra la borghesia russa e l’imperialismo zarista e, a differenza dei menscevichi, non attribuiva alcun potenziale ruolo egemone alla borghesia nella futura rivoluzione.
Lenin ben sottolineava che le forze capitaliste russe avevano riproposto ciò che era accaduto alla metà del seicento in Inghilterra e nel 1789 dopo la rivoluzione francese e alla metà dell’ottocento nel risorgimento italiano: si opponevano tenacemente alla trascendenza popolare della rivoluzione per salvaguardare la sua egemonia sociale.

Molto più correttamente Trotsky riteneva che la “dittatura democratica rivoluzionaria” non era concepibile “senza la dittatura del proletariato”, giungendo con l'opera “La nostra rivoluzione”, nel paragrafo intitolato “Bilanci e prospettive” (1906), a rovesciare gli schemi elaborati dalla socialdemocrazia, la quale riteneva che in Russia dovesse realizzarsi in primo luogo una rivoluzione democratico-borghese.

Trotsky a questa impostazione oppose la sua analisi, che ancor meglio riassumerà nel 1919 nella prefazione alla riedizione di “Bilanci e prospettive”, in cui scrive: “inizialmente borghese per i suoi compiti immediati la rivoluzione russa svilupperà rapidamente potenti contraddizioni di classe e sfocerà in una vittoria solo trasferendo il potere all'unica classe capace di porsi alla testa delle masse sfruttate, il proletariato (...) una volta al potere, il proletariato non solo non vorrà ma non potrà neanche limitarsi ad attuare il programma democratico-borghese. Esso potrà portare la rivoluzione fino in fondo solo se la rivoluzione russa si trasformerà in rivoluzione del proletariato europeo”.

D’altronde per il marxismo rivoluzionario il programma comunista non ha mai rappresentato un postulato morale, un'ideologia speculativa, un generico “manuale” sul capitalismo e sul socialismo: esso riflette anzitutto il pensiero, le condizioni oggettive e gli obiettivi del movimento operaio. Per dirla con Lenin “nel suo programma il proletariato deve formulare la sua dichiarazione di guerra al capitalismo”.

Questa è stata fin dal suo nascere l'essenza del programma comunista che, lungi dal celebrare il trionfo di una ricetta salvifica, ha costituito il principale strumento di lotta politica del partito rivoluzionario, concretizzandosi in un programma di rivendicazione transitorie: nazionalizzazione delle risorse economiche e soppressione degli apparati repressivi dello Stato borghese; controllo della produzione sociale da parte dei soviet.

Come ribadirà Trotsky, nel continuare la battaglia leninista contro il bonapartismo staliniano, citando Lenin, “nella lotta per il potere, il proletariato non ha altra arma che l'organizzazione”.

 

Quali le cause del fallimento della rivoluzione del 1905 e quale insegnamento ne derivò?

Mentre i menscevichi ritenevano che il fallimento della rivoluzione doveva addebitarsi esclusivamente alle rivendicazioni “eccessive” che avevano prodotto una frattura con la borghesia; i bolscevichi invece ritenevano che il fallimento era stato determinato: primo, dal blocco borghese internazionale che fu il salvagente dello Zar e lo strumento che rinsaldò i legami tra l’autocrazia e la borghesia russa; secondo, dalla mancanza di una piena coscienza rivoluzionaria dei contadini e dall’incapacità dei bolscevichi di trascinarli nei Soviet; terzo, dal tradimento della borghesia, la quale comprendendo che il proletariato stava divenendo una forza autonoma e che avrebbe spazzato via lo zarismo e i suoi interessi, abbandonò la lotta e scese a compromessi con lo Zar.
Sul tema, Lenin, nell’agosto del 1906, pubblica gli Insegnamenti della Rivoluzione di Mosca in cui meglio approfondisce la dinamica rivoluzionaria: “Il proletariato aveva avvertito prima dei suoi capi il mutamento delle condizioni oggettive della lotta, la quale esigeva il passaggio dallo sciopero all’insurrezione. Come sempre la pratica aveva preceduto la teoria (...) gli operai chiedevano: 'e dopo?', esigevano azioni sempre più energiche (...) si sarebbero dovute impugnare le armi con maggior decisione, si sarebbe dovuto spiegare alle masse l’impossibilità di limitarsi ad uno sciopero pacifico e la necessità di condurre una lotta armata intrepida e implacabile. Questo è il primo insegnamento degli avvenimenti del dicembre 1905. Il secondo riguarda il carattere della insurrezione (...) l’insurrezione è un’arte e la regola principale di questa arte consiste nell’offensiva (...) noi non abbiamo sufficientemente assimilato questa verità (...) è necessario un raggruppamento basato sull’atteggiamento verso la insurrezione armata. Chi è contro di essa deve essere gettato nel campo degli avversari, dei traditori, dei vili e dei vigliacchi, perché si avvicina il giorno in cui la forza degli avvenimenti ci costringeranno a distinguere nemici e amici in base a questo criterio (...) Il terzo grande insegnamento che Mosca ci ha dato riguarda la tattica e l’organizzazione delle forze per l’insurrezione (...) Mosca aveva creato una 'nuova tattica delle barricate'. Questa tattica è la tattica della guerra partigiana (...) che consiste nel creare squadre mobili molto piccole. La guerra partigiana (...) si esercita in Russia insegnando alle masse l’impiego della giusta tattica e quale tecnica militare sia utilmente impiegata nella rivoluzione (...) ricordiamo che una grande lotta di massa si avvicina. Sarà l’insurrezione armata.”

 

Quali le conseguenze di tutto ciò?

Quali furono le conseguenze degli avvenimenti fin qui descritti? Prima tra tutte un raggruppamento delle forze di classe e il passaggio della borghesia alla controrivoluzione.
La borghesia russa svolse un ruolo determinante fino al 1905, come nel 1848 la borghesia tedesca utilizzò la classe operaia per consolidare il suo potere.

Nel 1906 a Stoccolma si svolse il IV congresso del Posdr (Partito Operaio Socialdemocratico Russo), che sotto la spinta delle masse determinò una transitoria riunificazione tra menscevichi e bolscevichi. Ma il contrasto era divenuto insanabile: i bolscevichi asserivano che sarebbe arrivata un’altra rivoluzione, poiché i problemi che avevano generato gli avvenimenti del 1905 non si erano risolti. I menscevichi, dal canto loro, puntavano alla costituzione di una forza socialdemocratica simile a quella europea, allontanandosi definitivamente dalla rivoluzione e intravedendo la possibilità di un vero compromesso con la borghesia e il suo Partito cadetto. (3)

Ma la vera riunificazione dei due gruppi socialdemocratici non ci fu: vi erano ormai due partiti in uno. 

 

Il ruolo di Lenin per salvare il partito bolscevico del settarismo

Lo Zar comunque sciolse la prima Duma per tacitare il partito cadetto e le sue ambizioni. (4)
In questo quadro si svolse nel 1907 a Londra il V congresso dei socialdemocratici russi (IV per i menscevichi) in cui entrarono tre nuove organizzazioni: la socialdemocrazia lettone, quella polacca e il Bund (5) che si dichiararono d’accordo sulle questioni tattiche con i menscevichi, determinandone in varie votazioni la maggioranza.

Lenin ribadì il ruolo indipendente della classe operaia e la necessità della rivoluzione, ottenendo in qualche votazione una maggioranza instabile.

Nello stesso anno lo Zar sciolse la II Duma e si pose la discussione all’interno del Posdr se parteciparvi o meno. E’ da notare che tra i bolscevichi era maggioritaria la tendenza al boicottaggio, poiché si riteneva che si sarebbe prodotto un movimento analogo al 1905.

Lenin, andato nel frattempo in minoranza, ebbe la meglio solo per la sua autorevolezza: insisteva che bisognava stare accanto agli operai sia nella Duma che nei sindacati, malgrado fossero maggioritari i menscevichi, nelle cooperative e nei circoli, non bisognava staccarsi dalle masse. Se avesse vinto la tendenza antileninista il bolscevismo si sarebbe trasformato in una ridicola setta autocentrata.

Malgrado ciò, anche a seguito della demoralizzazione del 1905, si produssero nel 1909 una serie di frazioni settarie molto pericolose. L’otzovismo (6) fu una tendenza locale che dichiarava il ritiro dei deputati dalla Duma, proponeva il carattere illegale del partito e l’uscita dai sindacati e dai circoli; l’ultimatismo (7), una variante più moderata dell’otzovismo, poneva l’ultimatum di svolta radicale; per giungere alla versione più volgare con il deismo, che rappresentò una specie di lettura mistico-religiosa del marxismo.

Anche nel menscevismo si produssero disgregazioni: i liquidatori che auspicavano l’abbandono del partito rivoluzionario; i partitisti (Plechanov) che ritenevano la necessità di mantenere i connotati originari.

L’ultimo tentativo di mantenere l’unità tra bolscevichi e menscevichi si ebbe a Parigi nel 1910 durante un Comitato Centrale, dove la corrente dei bolscevichi conciliatori, ottenendo la maggioranza e mettendo in minoranza Lenin, fece l’errore di non saper riconoscere che già nel 1909-1910 vi erano le condizioni per la rottura definitiva con i menscevichi.

La rottura definitiva si ebbe a Praga nel 1912, quando i bolscevichi ebbero la maggioranza, garantiti anche da una nuova classe operaia che si era formata tra il 1907 al 1911 durante il periodo della reazione e nelle nuove mobilitazioni: rialzarono la bandiera del bolscevismo e fondarono La Pravda. (8)

Verso la fine del 1912 dopo gli anni duri della reazione dunque due forze si contrapponevano: da una parte i bolscevichi con il nuovo partito, dall’altra i menscevichi raggruppati sotto la bandiera delle rivendicazioni parziali e della monarchia costituzionale.

 

La classe operaia apre la porta alla rivoluzione del 1917

Nel frattempo durante il 1912 e il 1913 crescevano, di nuovo, le mobilitazioni sociali.
Nel 1913 e soprattutto nel 1914 il conflitto sociale si riacutizzò: si videro le prime barricate e si ricreò una situazione con analogie con quella del 1905 ma con una classe operaia e contadina più avanzata e un partito più forte.

Ma la guerra portò alla distruzione del partito e della stessa Seconda Internazionale. Lenin esule lanciava la parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, tentando di attrarre l’estrema sinistra della II Internazionale, ma tutte le porte si chiusero inesorabilmente.

Quando scoppiò la guerra la maggioranza delle tendenze socialiste russe erano socialscioviniste tranne il bolscevismo, che continuò ridotto al lumicino a costituire una piccola tendenza di sinistra nel movimento zimmerwaldiano.

Una situazione che condusse il bolscevismo, ancora nel febbraio del 1917, ad essere una forza del tutto minoritaria nella sinistra. Ma nel momento in cui le forze mensceviche fecero di nuovo l’accordo con la borghesia imperialista, il bolscevismo, "riarmato" da Lenin e Trotsky, seppe realizzare la rivoluzione d'Ottobre, filo conduttore della storia del marxismo rivoluzionario fino ai giorni nostri.

 

 

Note

1) Il 1º marzo 1903 il generale Kuropatkin annotava sul suo diario che Nicola II aveva "progetti grandiosi: impadronirsi della Manciuria e annettersi la Corea. Egli sogna anche di porre il Tibet sotto il suo dominio. Vuole prendere la Persia e impadronirsi non solo del Bosforo ma anche dei Dardanelli", mirante all'annessione di quei territori, in possesso della Cina e oggetto delle mire imperialistiche del Giappone.

2) Assemblea rappresentativa istituita da Nicola II nel 1905. Avrebbe dovuto essere un corpo consultivo, con il compito della discussione preliminare e dell’elaborazione delle leggi: i risultati sarebbero stati poi sottoposti al Consiglio di Stato, mentre lo Zar manteneva il diritto assoluto di veto. La prima Duma fu convocata nel maggio 1906. Era composta di 486 membri, e venne sciolta per ordine dello Zar il 21 luglio dello stesso anno. Nel marzo 1907 si riunì la seconda Duma, sciolta anch’essa il 16 giugno. La terza fu convocata per il novembre successivo, e fu l’unica che riuscì a completare il proprio mandato di cinque anni. Nella quarta Duma, che si riunì alla fine del 1912, le elezioni avevano garantito la maggioranza ai conservatori, dei quali gli Ottobristi costituivano il gruppo di maggiore importanza.

3) Il “partito cadetto” (che prese il nome dalle iniziali K. D. del suo nome: costituzionale-democratico) fu il maggior partito della borghesia monarchico-liberale in Russia. Venne costituito nel 1905. Cercò di conquistare adesioni anche tra le masse contadine e di trasformare il regime zarista in un regime monarchico costituzionale. Si definì perciò anche come partito “della libertà del popolo”. Trasformatosi nel rappresentante della borghesia imperialista durante la Prima guerra mondiale, fu spazzato via dalla Rivoluzione d’Ottobre. 

4) Lo Zar sciolse la II Duma (3 giugno 1907) ed emanò una nuova legge elettorale che assicurava, nella nuova Duma, la maggioranza assoluta alle forze dell’estrema destra politica e del blocco agrario-industriale. Il periodo che seguì il 3 giugno fu quello della brutale e sanguinosa reazione di Stolypin, capo del regime poliziesco.

5) Il Bund (Unione generale operaia ebraica in Lituania, Polonia e Russia) fu fondata nel 1897. Sosteneva il separatismo e il nazionalismo nel movimento operaio.

6) Da “Otozvat”= “ritirare”, sotto la direzione di Alksinskij, Bogdanov, e Lunakarskij si costituirono in gruppo nel 1908 e pretesero il “ritiro” dei deputati socialdemocratici dalla III Duma (1907-1912) nonché la rinuncia a svolgere in essa, nei sindacati, nelle cooperative, e negli altri organismi di massa, legali e semilegali, qualsiasi azione politica.

7) Gli “ultimatisti” si distinguevano dagli “otzovisti” solo per la forma: esigevano che il partito ponesse un ultimatum per farsi espellere dalla Duma.

8) Pravda (la Verità): quotidiano bolscevico sorto per iniziativa degli operai di Pietroburgo. Il primo numero uscì il 22 aprile 1912 (riprendendo il titolo di una testata precedentemente edita da Trotsky). Il 5 luglio venne soppresso dal governo ma in seguito riapparve, divenendo l’organo di stampa ufficiale dei bolscevichi.

 

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