Partito di Alternativa Comunista

Lenin e l'apartitismo

 

Lenin e l'apartitismo

 

Ronald León Núñez *

 

lenin

 

Uno degli aspetti più dibattuti dalla “valanga opportunista”, che dopo la caduta del muro di Berlino ha travolto i partiti politici che si definiscono “di sinistra”, è la questione del partito leninista.
Nella misura in cui il “socialismo reale” aveva fallito e la “democrazia [borghese]” aveva acquisito un “valore universale”, la maggior parte di tali partiti accelerò il proprio corso opportunista di adattamento alla strategia prevalentemente elettorale e parlamentare. Ovviamente, se quello che il nuovo orizzonte - “radicalizzare la democrazia” – imponeva era il compito di “ottenere voti”, in modo da ottenere sempre più seggi parlamentari, non solo non era necessario, ma stava diventando pernicioso il tentativo di costruire dei partiti leninisti, vale a dire, partiti  operai, internazionalisti, rivoluzionari, di lotta. Era sufficiente costruire partiti che funzionassero e si perfezionassero come “macchine elettorali”, muovendosi sempre sul terreno del “possibile”.

Questo processo di negazione del marxismo e, più concretamente, del leninismo, scelse il percorso di adattamento alla democrazia borghese e acquisì varie forme ideologiche. Una di queste fu il vecchio e noto “apartitismo”.

Tutte queste “nuove teorie” e questi “teorici” postmodernisti e orizzontalisti, con argomenti più o meno “sofisticati”, si arruolarono per rinforzare l'antica crociata contro l'influenza dei “partiti” nei movimenti sociali e sindacali, principalmente contro i partiti leninisti.

Essere “militante” di un partito “leninista” divenne sinonimo di anacronismo, di “incapacità di comprendere” i “tempi nuovi” che si erano inaugurati tra il 1989 e il 1991. Al contrario, essere “apartitici” cominciò a essere di moda. Si inasprì, così, la stigmatizzazione contro il “militante di partito”, contro le “bandiere dei partiti” durante le manifestazioni e anche contro la “simbologia” [in realtà, contro le tradizioni] dei partiti operai e socialisti.

Molto è stato scritto su questo argomento. L'intento di questo testo non è quindi di presentare qualcosa di “nuovo”, ma di riscattare la posizione di V. I. Lenin, fondatore del bolscevismo, su questa questione. A tal proposito, vi è un suo testo, probabilmente poco noto, che risale al dicembre 1905 e che si intitola Il partito socialista e il  rivoluzionarismo senza partito [1]. In esso, Lenin discute la natura dell'apartitismo e spiega quello che dovrebbe essere l'atteggiamento dei comunisti in rapporto a questa ideologia e il loro lavoro nelle “organizzazioni non-partitiche” [di tipo sindacale].

La rivoluzione russa del 1905, come era inevitabile, sollevò nuovi problemi e fenomeni politici per i marxisti. Tra questi problemi vi era la nascita dei soviet [consigli popolari]: organizzazioni di fronte unico che le masse sfruttate crearono e rafforzarono nel calore della lotta rivoluzionaria; qualcosa che non aveva precedenti. Nei soviet agivano apertamente i partiti politici, borghesi e operai, riformisti e marxisti, sebbene le decisioni venissero prese sempre in modo autonomo, collettivo e democratico dalle masse, che appartenessero o meno a tali partiti politici.

I bolscevichi rispettavano l'autonomia dei soviet e dei sindacati in generale. Questo atteggiamento, d'altra parte, non poteva comportare alcun tipo di astensione politica. Da questo problema derivò la necessità di comprendere e di posizionarsi rispetto all'ideologia “apartitica”, che con lo sviluppo della lotta di classe cominciò a prendere forma.

Lenin, che a quel tempo difendeva la formula programmatica della “dittatura democratica del proletariato e dei contadini”, considerò l' "apartitismo" come l'espressione inevitabile del carattere democratico-borghese della rivoluzione russa:

Il carattere ben definito della rivoluzione [democratico-borghese] in corso dà origine, in modo assolutamente naturale, a organizzazioni non partitiche. Tutto il movimento nel suo insieme assume inevitabilmente l'aspetto di un apartitismo esteriore, un'apparenza di apartitismo [...]” [2].

A partire da questo punto di vista, Lenin spiega i motivi della nascita di tale “fenomeno”.

L'apartitismo non può essere considerato altro che lo slogan di una moda, perché la moda si accoda inerme agli avvenimenti e, come fenomeno tipico di superficie in politica, si manifesta esattamente come un'organizzazione senza partito, democrazia senza partito, movimento scioperante senza partito, rivoluzionarismo senza partito” [3].

A partire dalla comprensione di questi aspetti, Lenin dedica i suoi sforzi a combattere l'idea apartitica, considerandola un'ideologia reazionaria, e a spiegarne la funzionalità agli interessi della borghesia: “La borghesia non può fare a meno di tendere all'apartitismo, [perché] l'assenza di partiti tra coloro che lottano per la liberazione dalla società borghese comporta l'assenza di una nuova lotta contro quella stessa società borghese” [4].

In questo modo, Lenin polemizzava con coloro che affermavano che l'apartitismo, essendo su posizioni apparentemente “neutre”, esprimeva in maniera più fedele gli interessi del movimento contro quelli che, in modo meschino, difendevano gli “interessi” dei “loro” partiti. Il rivoluzionario russo svela la falsità di questa affermazione:

In una società basata sulla divisione in classi, la lotta tra classi avverse si trasforma inevitabilmente, in una determinata fase del suo sviluppo, in una lotta politica.  La lotta tra i partiti è l'espressione più integrale, completa e specifica della lotta politica tra le classi. L'apartitismo significa indifferenza verso la lotta tra i partiti. Però questa indifferenza non equivale alla neutralità, all'astensione dalla lotta, poiché non ci si può mantenere neutrali rispetto alla lotta tra le classi [...]. Per questo, rimanere indifferenti verso la lotta non significa, in realtà, appartarsi o astenersi dalla lotta né essere neutrali. L'indifferenza è il tacito appoggio a chi è forte, a colui che domina[5].

Immediatamente dopo, analizza le condizioni materiali da cui nascono questi tipi di teorie e di “teorici”:

L'indifferenza politica non è cosa diversa dalla sazietà politica. Colui che è soddisfatto è indifferente e insensibile al problema del pane quotidiano; ma l'affamato sarà sempre un uomo di “partito” di fronte a questo problema. L'indifferenza e l'insensibilità di una persona di fronte al problema del pane quotidiano non significa che non necessita del pane ma che lo ha assicurato, che non gli manca nulla, che si è accomodato bene nel “partito” di coloro che sono sazi” [6].

Pertanto, coloro che inveivano contro i partiti rivoluzionari erano, in primo luogo, “[...] liberali, rappresentanti dei punti di vista della borghesia, [che] detestano lo spirito socialista del partito e non vogliono sentir parlare di lotta di classe [7].

Ciò accade perché, per Lenin, “nella società borghese, l'apartitismo è la forma ipocrita, nascosta, passiva, per esprimere l'adesione al partito dei sazi, di coloro che dominano, degli sfruttatori[8].

E ancora: “L'apartitismo è un'idea borghese. Lo spirito di partito è un'idea socialista. Questa tesi è applicabile, in generale, a tutta la società borghese[9].

Lenin, a partire da questo ragionamento, trae la conclusione che:

Essere rigorosamente partitici è la conseguenza e il risultato di una lotta di classe molto sviluppata. E, viceversa, a beneficio di un'ampia e aperta lotta di classe, è necessario fomentare un rigoroso partitismo. Per questo il partito del proletariato cosciente, la socialdemocrazia, combatte sempre con tutte le sue ragioni l'apartitismo, e si impegna costantemente a creare un partito operaio socialista fedele ai suoi principi e ben coeso” [10].

E rafforza l'idea che l'intervento dei rivoluzionari nei sindacati e nelle altre organizzazioni “senza partito” sia redditizio, in primo luogo, proprio per la lotta di classe, perché “[...] essere rigorosamente partitici è una delle condizioni che trasformano la lotta di classe in una lotta cosciente, chiara, precisa e fedele ai suoi principi” [11].

All'interno di questa visione, la partecipazione dei militanti alle organizzazioni non partitiche serve “in primo luogo, per sfruttare tutte le possibilità di stabilire i nostri propri contatti e diffondere il nostro programma socialista integrale [12].

La condizione per questa partecipazione è spiegata in questa maniera:

La salvaguardia dell'indipendenza ideologica e politica del partito del proletariato è l'obbligo costante, invariabile e incondizionato dei socialisti. Chi non rispetta questo dovere smette di essere un socialista, per quanto sincere siano le sue convinzioni “socialiste” (socialisti a chiacchiere)” [13].

Allo stesso tempo, l'ingresso nei sindacati dei comunisti “è ammissibile solo a condizione di salvaguardare completamente l'indipendenza del partito operaio e a condizione che tutto il partito nel suo insieme controlli e diriga obbligatoriamente i suoi membri e i gruppi di “delegati” nelle associazioni o nei soviet senza partito” [14].

La lotta contro l'idea borghese dell' “apartitismo” è una caratteristica del leninismo. È collegata alla costruzione del partito rivoluzionario, operaio e centralista democratico, strumento indispensabile  per la presa del potere della classe operaia e dei suoi alleati e per la costruzione del socialismo internazionale. Per Lenin, solo nel partito comunista è possibile realizzare la sintesi di tutte le forme di lotta del proletariato (economica, ideologica e politica) e lottare così per la presa del potere.

Solo il partito comunista, se è realmente l'avanguardia della classe rivoluzionaria; se include i migliori rappresentanti di questa classe; se si compone di comunisti coscienti e fedeli che sono stati educati e forgiati dall'esperienza a una lotta rivoluzionaria tenace; se questo partito è stato in gradi di vincolarsi indissolubilmente a tutta la vita della sua classe, per mezzo della classe stessa, a tutta la massa degli sfruttati, e a guadagnare completamente tutta la fiducia di classe di queste masse; solo tale partito è capace di dirigere il proletariato nella lotta più implacabile, decisiva e definitiva contro tutte le forze del capitalismo[15].

Questi insegnamenti di Lenin ci sembrano fondamentali per guidare le nostre azioni nella fase attuale. La loro validità è persino maggiore di quando furono scritti. Il troskismo, legittimo continuatore del marxismo e del leninismo ai giorni nostri, ha il merito di mantenere vive queste lezioni e tradizioni che riguardano, in generale, il partito rivoluzionario,  e, in particolare, la relazione tra il partito comunista e i movimenti di massa. È per questo che ci permettiamo di terminare queste note con le parole che Trotsky scrisse su questo tema nel 1923:

I comunisti non temono la parola partito, perché il loro partito non ha nulla in comune con gli altri partiti. Il loro partito non è uno dei partiti politici del sistema borghese, è la minoranza attiva cosciente della classe proletaria, la sua avanguardia rivoluzionaria. Pertanto i comunisti non hanno alcuna ragione, né ideologica né organizzativa, per nascondersi all'interno dei sindacati. Non li utilizzano per macchinazioni sottobanco. Non li rompono quando sono in minoranza. Non perturbano in alcun modo lo sviluppo indipendente dei sindacati e appoggiano le loro lotte con tutte le proprie forze. Però allo stesso tempo il Partito Comunista si riserva il diritto di esprimere le sue opinioni su tutti i problemi del movimento operaio, incluso sui sindacati, di criticare le tattiche dei sindacati e di avanzare proposte concrete che i sindacati, da parte loro, sono liberi di accettare o rifiutare. Il partito si sforza, con l'azione concreta, di guadagnare la fiducia della classe operaia e, soprattutto, dei suoi settori organizzati nei sindacati” [16].

 

 

Note:

[1] LENIN, V.I. El partido socialista y el revolucionarismo sin partido. In: LENIN, V.I. Obras completas. Tomo XII. Moscú: Editorial Progreso, 1982, pp. 135-143. Todos los subrayados, salvo indicación contraria, son nuestros.

[2] Ídem, p. 138.

[3] Ibídem.

[4] Ídem, p. 139.

[5] Ibídem.

[6] Ídem, p. 140.

[7] Ibídem.

[8] Ibídem.

[9] Ibídem.

[10] Ídem, p. 135.

[11] Ídem, p.142.

[12] Ídem, p. 143.

[13] Ídem, p. 142. Subrayado de Lenin.

[14] Ibídem.

[15] LENIN, V. I. Tesis para el II Congreso de la Internacional Comunista.

[16] TROTSKY, León. Una explicación necesaria a los sindicalistas comunistas. Disponible en: http://www.ceip.org.ar/Una-explicacion-necesaria-a-los-sindicalistas-comunistas>. Consultado el 18-08-2016.

 

 

* dal sito della Lit-Quarta Internazionale: www.litci.org

(traduzione dallo spagnolo di Salvo De Lorenzo)

 

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