Partito di Alternativa Comunista

Perch

Perché aderisco al Pdac/4
Giovani in lotta per rovesciare il mondo
Intervista a Simone e Nicola dei Giovani di Alternativa Comunista
 

 
 
a cura di Adriano Lotito
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Siamo alla quarta puntata delle interviste a compagni che hanno recentemente aderito al Pdac. La serie è iniziata con l'intervista a Luis Seclen, di Milano (dirigente della lotta dei lavoratori dell'Esselunga), è proseguita con Carlo Velletri, di Padova (ex militante del Pcl), poi con Michele Adorni (operaio alla Fiat Ferrari di Maranello). Oggi intervistiamo due compagni da poco entrati nei Giovani di Alternativa Comunista. Nicola De Prisco, dei Giovani Pdac Napoli, classe 1991, e Simone Tornese, Giovani Pdac Lecce, classe 1992. Entrambi sono impegnati sul fronte della lotta studentesca nel loro territorio, entrambi hanno deciso di aderire al nostro progetto, a dimostrazione di come la nostra sia una realtà viva e in crescita, capace di attrarre le nuove generazioni ad una prospettiva di cambiamento radicale della vita e della società attuale, nonostante i mass media imperanti propugnino i valori alienanti e conformistici della civiltà consumista e la disaffezione dall’impegno politico.
Cominciamo dalla realtà politica che vivete sui vostri territori. Qual è l’analisi che avete svolto della situazione in cui siete inseriti come studenti e militanti del partito? Quali i problemi di natura oggettiva che ostacolano la costruzione e il radicamento? Che idea vi siete fatti delle forze in campo con cui avete a che fare? Come procede l’attività militante e l’inserimento nelle organizzazioni del movimento studentesco?
Nicola:
La situazione è viva. A tratti radicale. Ma disorganizzata. Il movimento studentesco napoletano è caratterizzato principalmente da due realtà. Da una parte la “socialdemocrazia studentesca”, ovvero l’insieme di quelle organizzazioni (Link, Uds) spesso legate ai sindacati concertativi, Cgil in primis, guidate da direzioni riformiste. Queste organizzazioni hanno un certo peso soprattutto tra gli studenti medi, ma deficitano di una contestualizzazione di classe della questione studentesca e di una piena coscienza anticapitalista. Dall’altro lato troviamo l’area “autonoma e auto-organizzata” dei collettivi universitari, con un’anima molto radicale e anticapitalista, che si richiama, quantomeno a parole, al comunismo e talvolta anche al "leninismo". Tuttavia, ed è un paradosso visto il richiamo al leninismo, vige un inconscio culto della disorganizzazione che si manifesta: 1) nel rifiuto (quasi unilaterale) della pratica del voto quale strumento di decisione in sede assembleare; 2) nel rifiuto dei concetti di delega, rappresentanza e direzione, quindi di partito; 3) nella chiusura totale verso potenziali casse di risonanza come le tribune elettorali studentesche; 4) nella chiusura verso tutte le organizzazioni del movimento studentesco e operaio ritenute (spesso a ragione) riformiste; 5) in atteggiamenti fortemente settari esistenti tra gli stessi collettivi. Mi sono soffermato di più su questa seconda realtà non solo perché, nonostante tutti i suoi limiti, è quella politicamente più matura e con un maggiore potenziale di lotta, ma anche perché è quella che conosco meglio, facendo parte io stesso di uno di questi collettivi, il Cdup (Collettivo in Difesa dell’Università Pubblica), che da più di quattro anni ormai occupa un’aula, la P32- De Waure, al terzo piano della sede centrale di Ingegneria (P.Tecchio).
Simone: Sarei ipocrita se dicessi che è positiva, anche se ci sono delle realtà con cui si può instaurare un rapporto e intervenire nelle lotte. L’Unione degli Studenti, che è una sorta di socialdemocrazia studentesca con un discreto seguito in numerose scuole e città d’Italia, di fatto non esiste a Lecce (è presente invece in alcuni paesi della provincia). A livello universitario spadroneggia l’Udu che, come risaputo, è vicina alla Cgil e dunque al Pd. Esistono poi alcuni collettivi studenteschi di vario genere, purtroppo nel loro complesso non molto avanzati e spesso autoreferenziali. Uno di essi, il Caos, è di orientamento anarchico. Un altro (Far), più o meno attivo e non molto numeroso, è diretto a tutti gli effetti da due o tre ragazzi usciti da Rifondazione (ormai praticamente scomparsa) e nel giro di Csp di Rizzo. Per il resto, non molto altro. Anche a causa di ciò le mobilitazioni dell’autunno scorso, lanciate in particolare dall’Uds, non hanno avuto complessivamente un grande successo. Come Giovani di Alternativa Comunista, stiamo cercando soprattutto di approfondire i rapporti con alcuni studenti, sia medi che universitari, che si sono avvicinati nelle ultime settimane. A dimostrazione che, nonostante il quadro non proprio idilliaco, alcune premesse oggettive sono comunque presenti.
Come avete maturato la decisione di aderire ai Giovani di Alternativa Comunista? Quali erano i vostri dubbi, come li avete superati?
Nicola:
Non è stata una scelta fatta a cuor leggero, bensì è maturata nel tempo. Tempo che mi è servito per riflettere sulla necessità dell’organizzazione e per superare un sentimento anti-partitico, comune a quasi tutti i miei coetanei. Giustificabile visti i disastri provocati dalla sinistra governista. Ma che deve essere necessariamente superato dalla comprensione della necessità storica di un tipo di partito diverso. Non sapevo molto cosa fosse un’organizzazione centralizzata democraticamente. Un conto è sentir parlare di una cosa, altro conto è viverla. Ma più partecipo alle lotte, più mi rendo conto dell’urgenza di costruire un partito rivoluzionario. Contemporaneamente è solo impegnandomi nella costruzione del partito, attingendo dalla memoria storica del movimento operaio, che inizio a comprendere le dinamiche che stanno dietro le lotte.
Simone: Ho cominciato a interessarmi più o meno attivamente di politica già a sedici anni (forse anche prima), ma ancora un anno e mezzo fa mai mi sarebbe passato per la testa di iscrivermi ad un partito. Mi sembravano sostanzialmente tutti uguali, ed ero convinto che lo fossero “di per sé”, cioè esclusivamente in quanto partiti. Ora so che questa maniera di vedere le cose, purtroppo molto diffusa tra i giovani e che prescinde totalmente dai reali interessi di classe di cui i partiti sono espressione, è quantomeno ingenua (e anche fortemente ideologica). L’ho capito prima di tutto per esperienza diretta. Mi sono reso conto fin da subito che, fra tutti quelli che si richiamano al comunismo (qualcuno persino al trotskismo), il Pdac è in Italia l’unico partito d’avanguardia con un “programma d’avanguardia”, ossia un programma di rivendicazioni transitorie che miri  a convincere i lavoratori -a partire da quelli più avanzati e in prima fila nelle lotte- dell’irriformabilità del capitalismo e quindi della necessità di rovesciarlo. L’unico, peraltro, a far parte di un’organizzazione internazionale, la Lega Internazionale dei Lavoratori, presente in diversi Paesi; prerequisito indispensabile se si vuole costruire una direzione realmente rivoluzionaria e di classe. Sono principalmente questi i motivi che, sin dal primo momento, mi hanno spinto ad aderire al Pdac con convinzione.
Eppure l’estrema sinistra italiana è popolata da una miriade di partiti che si autoproclamano “comunisti”, in mille salse e varianti. Penso, per citare quelli più noti, a Rifondazione Comunista, ai Comunisti Italiani, allo stesso Vendola che per quanto possa aver abbandonato la simbologia e il vocabolario tradizionale del comunismo, ha conservato un linguaggio per certi versi radicale. Qual è la vostra posizione rispetto a questi partiti?
Nicola:
La sinistra governista penso che sia la palese dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, del fallimento storico del riformismo in tutte le sue varianti. Mi indigno quando vedo la falcemartello utilizzata sulle bandiere di partiti che hanno votato e appoggiato le missioni militari in Iraq e Afghanistan, che hanno votato a favore delle leggi che hanno precarizzato il mondo del lavoro, aperto la strada alla privatizzazione dell’istruzione, ma anche dei trasporti e della sanità. Trovo assurdo che Vendola venga considerato di sinistra quando in Puglia è stato quello che ha garantito i migliori affari per l’Ilva sulle vite dei lavoratori. Trovo oltraggioso che Rifondazione e il partito di Diliberto si permettano ancora di strumentalizzare la parola “comunista”. E poi trovo pericoloso che molte persone a sinistra vedano ancora di buon occhio quel pagliaccio reazionario di Grillo, che non manca occasione per manifestare il suo latente razzismo nonché il suo disprezzo per le reali pratiche democratiche nei movimenti.
Simone: Credo di aver già risposto, almeno in parte, a questa domanda. Voglio però aggiungere una breve riflessione. Contrariamente a quanto sostiene da secoli la cultura dominante, un grande traguardo non può essere raggiunto percorrendo “strade diverse”: ad ogni fine corrispondono determinati mezzi. Il partito è lo strumento principale di cui dispone la classe operaia per raggiungere i propri scopi. Per i rivoluzionari lo scopo fondamentale, da cui discendono (quasi) tutti gli altri, è la conquista del potere da parte del proletariato. Di conseguenza si tratta di costruire un partito che serva realmente a tale scopo. Non basta quindi un generico riferimento al comunismo, né è pensabile che il programma di un partito possa essere qualcosa di separato dal partito stesso, perché ad un determinato programma deve necessariamente corrispondere un determinato tipo di partito. Il riformismo è un’illusione alimentata dalla borghesia, e il compito dei partiti socialdemocratici è precisamente di fare da cintura di trasmissione tra essa e le classi subalterne. Non è perciò sorprendente che questi partiti, non facendo altro che ingannare i lavoratori e rivelandosi puntualmente loro principali traditori, come dimostrano le continue partecipazioni ai governi di rapina sociale della borghesia (vedi il caso di Rifondazione in Italia), non si distinguano quasi per nulla da quelli propriamente borghesi. Il compito del partito d’avanguardia, presente in tutte le lotte con lo scopo di unificarle e condurle al loro logico sviluppo, è anzitutto quello di smascherare questi “agenti della borghesia all’interno del movimento operaio”.
Il Partito di Alternativa Comunista vuol essere il primo tassello nel percorso di costruzione di un partito realmente rivoluzionario in Italia. E’ chiaro che il lavoro sarà lungo e faticoso e rifiutiamo la scorciatoia dell’autoproclamarci già oggi "il partito rivoluzionario". Ma secondo voi, ai giorni nostri, la parola “rivoluzione” ha ancora un senso? Cosa significa, oggi, essere rivoluzionari?
Nicola:
Oggi come ieri, questa parola non è solo una definizione, ma una necessità individuale, storica e collettiva. Una necessità che deriva dall’impossibilità nell’attuale società capitalista, di vivere una vita dignitosa, libera da sfruttamento e oppressione e nella quale si possa essere liberi di coltivare le proprie passioni senza le morbose ossessioni artificiali tipiche della società dei consumi. E’ una condizione d’essere. Ma è anche la più grande delle ambizioni. Perché prima di potersi fregiare dell’onore di questo termine, bisogna ancora adempiere l’onere della lunga scalata da compiere. Dalle mie parti si dice: “è bell a chiacchier a vacant”. Cioè nello specifico: è bello usare paroloni a vuoto. Con questo voglio dire che per poter essere veramente quello a cui ambiano, bisogna scalare l’Everest tutti i giorni e bisogna farlo ancora per il resto della propria vita. Ecco perché affinché questo termine non rimanga solo una bel parolone, bisogna ancora riempire il resto dei nostri giorni di lavoro appassionato, sudore e sangue. Perché è chiaro che quello che vogliamo noi non lo si fa mettendo i fiori nei cannoni e nemmeno porgendo l’altra guancia. Qua si tratta di fare giustizia, di riappropriarsi della propria dignità di uomini liberi, e di sacrificare anche quello che resta della nostra libertà per costruire lo strumento necessario alla distruzione del capitalismo: il Partito. Per noi, per le persone che ci vogliono bene, ma anche per quelle che non ci vogliono bene, perché se deve cadere Sansone, cadranno anche i Filistei. Solo allora potremo essere accostati senza pericolo di blasfemia a questo nobile sostantivo che si deve pronunciare con molta umiltà. E non saremo noi a fare questo accostamento, ma eventualmente la Storia con la sua permanente sentenza: la Rivoluzione.
Simone: Significa essenzialmente avere coscienza che non vi può essere reale progresso per l’umanità senza rivoluzione socialista. Il capitalismo è un sistema economico e sociale che deve essere abbattuto. Fino a quando esisterà continueranno ad esserci la miseria, le guerre, lo sfruttamento, la distruzione della natura; e gli uomini vivranno in uno stato di alienazione perenne. Significa anche schierarsi sempre dalla parte degli oppressi: non per pietà o semplice compassione (per questo esistono già preti e filantropi in abbondanza) ma nella convinzione che il compito storico della nostra epoca, il rovesciamento del sistema capitalistico, può essere adempiuto unicamente dal proletariato e dalle masse popolari, che non hanno che da prender coscienza della propria forza e dei propri interessi reali. Significa infine esser consapevoli che per fare ciò, come in tutte le attività umane che richiedono una comprensione scientifica dei fenomeni, è necessario avere un determinato metodo, una guida per l’azione. E questa guida per l’azione è il marxismo, il cui unico sviluppo conseguente è oggi il trotskismo.
Un'ultima domanda: cosa ne pensate della struttura giovanile del Pdac che stiamo costruendo?
Nicola: E' una struttura nata da poco ma che si sta sviluppando rapidamente, iniziando a radicarsi in diverse scuole e università nelle diverse regioni. Disponiamo di pochi mezzi ma abbastanza efficaci: i volantini, il nostro blog http://giovanidialternativacomunista.wordpress.com/ e di un foglio periodico che esce in allegato a Progetto Comunista. Lo spazio libero che troviamo a sinistra è davvero grande: prodotto della crisi verticale specialmente dei Giovani di Rifondazione, costretti oggi, insieme a tutto il loro partito, a travestirsi di arancione seguendo un magistrato che solidarizza con i poliziotti che repressero nel sangue il movimento di Genova 2001...
Simone: Lo spazio politico ampio per costruire una organizzazione giovanile rivoluzionaria è dato al contempo sia dalla crisi del riformismo sia dalla crescita delle lotte in tutta Europa. E' la stessa parola "rivoluzione" che (anche grazie alla lotta eroica dei giovani egiziani, siriani, ecc.) riprende spazio nell'orizzonte di tanti giovani. L'idea che il capitalismo possa essere riformato o governato diversamente non convince la gran parte dei giovani politicizzati della nostra età. C'è bisogno di una rivoluzione e, aggiungiamo noi, di un partito per organizzarla.
 

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