Partito di Alternativa Comunista

Perch

Perché ci iscriviamo al Pdac /5
Per costruire un partito rivoluzionario
e un'Internazionale trotskista
abbiamo rotto col Pcl e aderiamo al Pdac
Intervista a Conny Fasciana e Mauro Buccheri
 

 
a cura di Patrizia Cammarata
 
 
sicilia
Sono numerosi i compagni e le compagne che, negli ultimi mesi, hanno deciso di iscriversi al Pdac, partito la cui nascita era stata accompagnata (sette anni fa) dalle più pessimistiche previsioni da parte di burocrati politici e sindacali. Eppure, nonostante le difficoltà di ogni genere, questo piccolo partito sta diventando ogni giorno di più lo strumento credibile per quei compagni che, provenendo da organizzazioni riformiste o centriste,  non si rassegnano “a tornare a casa” e tanto meno si rassegnano al meno peggio, alla resa nei confronti del capitalismo e della barbarie che la crisi economica internazionale sta evidenziando ogni giorno di più.
Queste nuove compagne e compagni, che si avvicinano al Pdac, non sono in cerca “né di privilegi, né di carriere, né di certezze di vittoria” ma di uno strumento di lotta per la “costruzione di un mondo nuovo”. Nella serie "Perché mi iscrivo al Pdac" che abbiamo iniziato a pubblicare nello scorso settembre, stiamo intervistando alcuni di questi compagni, per lasciare a loro spiegare il senso della scelta.
Dopo le interviste (tutte reperibili sul nostro sito web) a Luis Seclen (protagonista della lotta dell'Esselunga di Pioltello), a Carlo Velletri (operaio, ex militante del Pcl che ora sta costruendo la sezione del Pdac a Padova), a Michele Adorni, (operaio alla Fiat-Ferrari di Maranello, delegato Cub), ai  due giovani compagni Nicola De Prisco di Napoli e Simone Tornese di Lecce (entrambi impegnati sul fronte della lotta studentesca nel loro territorio), intervistiamo ora la compagna Conny Fasciana di Caltanissetta e il compagno Mauro Buccheri di Palermo, entrambi usciti dal Pcl di Ferrando di cui erano dirigenti in Sicilia e che, insieme, hanno fatto la scelta di iscriversi ad Alternativa Comunista.
Mauro, Conny, quali sono i motivi per cui siete usciti dal Pcl, partito di cui eravate dirigenti in Sicilia, e avete deciso di aderire al Pdac?
Buccheri: Ho spiegato in maniera molto dettagliata le motivazioni per cui sono uscito dal Pcl in una lettera aperta “Perché sono uscito dal Partito comunista dei lavoratori” che ho divulgato nei mesi scorsi e che invito a leggere, si trova a questo link
 
(il testo può essere letto anche aprendo il file pdf che alleghiamo in fondo a questo testo)
 
In sintesi, non sopporto l'ipocrisia e reputo intollerabile la distanza radicale esistente in quel partito fra la teoria e la prassi, fra ciò che è proclamato pubblicamente (in primis nello statuto e nei documenti congressuali), e ciò che è messo in pratica. Sul piano organizzativo, il Pcl si presenta statutariamente come un partito di militanti, ma, di fatto, opta per un tesseramento allargato anche a persone che non fanno militanza reale e che non ne condividono le linee programmatiche, senza che ci sia, dunque, un'effettiva distinzione fra militanti e simpatizzanti. Inoltre, scavalcando le decisioni prese all'ultimo congresso (che prevedevano fra l'altro lo svolgimento di seminari a livello nazionale e locale), la dirigenza del Pcl ha rinunciato alla formazione dei propri tesserati, preferendo dare assoluta priorità alla partecipazione elettorale, anche in territori dove il partito è praticamente inesistente. Coerentemente con l'illusione che il partito rivoluzionario si possa costruire intorno alla figura di un leader carismatico (Ferrando) e alle sue qualità oratorie esibite davanti alle telecamere e alla stampa borghese, piuttosto che attraverso l'organizzazione e la lotta sul territorio.
Capita poi, come avvenuto in Sicilia, che qualche dirigente locale (meno abile di Ferrando a recitare davanti le telecamere) smascheri involontariamente il bluff del Pcl rivendicando pubblicamente (e ingroianamente) la rivoluzione “pacifica”, tradendo l'inquietante esigenza di rassicurare la stampa e l'opinione pubblica borghese rispetto alla radicalità delle loro parole d'ordine. Magari per raggranellare qualche voto in più, come se l’eventuale partecipazione alle elezioni da parte dei rivoluzionari avesse quest’obiettivo e non piuttosto quello di propagandare il programma comunista guadagnando a esso nuovi militanti.
Dato che il Pcl non richiede effettivamente una militanza attiva, regna lì dentro una diffusa apatia e la tendenza a delegare tutto alla dirigenza, in particolare a Ferrando, o in subordine a qualche caporione locale. Il tesseramento allargato provoca, come avviene nelle formazioni borghesi di massa, l'ingresso nel partito anche d’esibizionisti o personaggi equivoci che operano in competizione con gli altri compagni (!) e in maniera refrattaria rispetto al centralismo democratico (tutte questioni che ho spiegato analiticamente con dovizia d’esempi nel mio documento succitato).
L'assenza d’organizzazione e di un progetto di formazione dei tesserati comporta che i compagni frequentemente non hanno gli strumenti per orientarsi politicamente e per pianificare il lavoro. Persino i compagni più seri e impegnati si trovano spesso in difficoltà, non avendo talvolta basi teoriche sufficienti oppure non avendo il necessario supporto da parte del resto del partito, col risultato che più che un'organizzazione coesa, il Pcl risulta nei fatti una federazione d’entità a sé stanti dal punto di vista dell'azione e delle posizioni politiche espresse. A mio avviso, ciò che effettivamente interessa maggiormente ai dirigenti del Pcl è fare numero e non estromettere nessuno, in modo tale da avere più soldati possibili che portino in giro qualche bandiera e che raccolgano firme per partecipare alle elezioni.
In conclusione, siamo usciti dal Pcl perché non ritenevamo ci fossero minimamente le condizioni per una battaglia interna in quel contesto di disastro generale.
Quanto alla mia successiva adesione al Pdac, ne condivido innanzi tutto l'indirizzo politico d’ispirazione trotskista, dato che il trotskismo costituisce, a mio avviso, la genuina continuità con la tradizione marxista e leninista, e ha sempre contrastato le derive socialdemocratiche e staliniste, principali ostacoli rispetto all'obiettivo rivoluzionario.  Mi ha convinto poi la cura che il Pdac dedica all'organizzazione e alla formazione dei militanti. Rispetto a quest'ultimo aspetto, basta leggere il giornale e la rivista teorica per rendersene conto. I seminari, sia a livello nazionale sia locale, sono svolti con continuità, ed è straordinario vedere tanti compagni giovanissimi, di 18 o 20 anni, impegnati costantemente nelle lotte e dotati d’impressionanti capacità d’elaborazione teorica. Credo che in un contesto simile ogni compagno, a partire da me, possa avere ulteriori stimoli e ampi margini di crescita. Ho potuto costatare, inoltre, nel Pdac, la coerenza fra l'indirizzo politico e l'azione, un'azione orientata concretamente a raccordare le lotte sul territorio intorno ad un programma d’alternativa di sistema, come dimostra l'importante contributo fornito recentemente alla costituzione di comitati di lavoratori in lotta, ad esempio in Puglia, o il contributo al “Coordinamento No Austerity”. Un contributo importante, dicevo, e non ostentato, poiché concepito in funzione della necessità di supportare e raccordare le realtà in lotta, senza manie di protagonismo, coerentemente con l'idea che il partito rivoluzionario non deve essere fine a se stesso, ma un mezzo al servizio delle lotte e della costruzione dell'alternativa di sistema.
E' essenziale, inoltre, a mio avviso, il fatto che il Pdac è sezione italiana della Lit (Lega Internazionale dei lavoratori- Quarta Internazionale), che sta lavorando per la costruzione di un Partito internazionale, perché non c'è comunismo senza internazionalismo. Le sezioni della Lit lavorano all'unisono, costituiscono un'organizzazione unitaria reale, a differenza d’altre sedicenti internazionali costruite a tavolino, che effettivamente sono soltanto sommatorie di monadi.
Fasciana: Sono uscita dal Pcl per gli stessi identici motivi per i quali vi ero entrata, e cioè la mia consapevolezza che la morale suprema è quella della Rivoluzione sociale.
“Guardare in faccia la realtà, non cercare la linea di minore resistenza, chiamare le cose con il loro nome, dire la verità alle masse, per quanto amara sia, non temere gli ostacoli; essere rigorosi nelle piccole cose come nelle grandi” [citazione di Trotsky, ndr]... tutto ciò, ho sempre pensato, a partire da noi stessi.
Il Pcl l’ho conosciuto attraverso la figura del suo leader guru, Marco Ferrando, durante l’inaugurazione della sezione di Caltanissetta ma, con il passare del tempo, risultava evidente che la mia figura era scomoda. “Troppo rigide” le mie posizioni ed inoltre era sempre più chiara la mia incompatibilità con una sezione che dissacrava ad ogni passo i più elementari principi del trotskismo. Ne cito uno per tutti: l’impostazione bolscevica del partito.
Non era la mia casa quella.
Dire perché sono entrata nel Pdac a questo punto è quasi superfluo: nonostante una reticenza iniziale dovuta, da una parte ad una residuale amarezza per l’esperienza politica vissuta, e dall’altra ad una sorta di retaggio mentale causato dalla campagna di demolizione da sempre portata avanti dal Pcl nei confronti di quello che ora è il mio partito, il Pdac. Il Pdac, sezione effettiva, reale, tangibile di un progetto che è la Lit. Un approccio serio e privo di strumentalizzazioni e, al contempo, il rigore richiesto ai militanti, la cura per la formazione teorica.
La consapevolezza di essere nel posto giusto.
Alcuni compagni, militanti o simpatizzanti della sinistra, sono convinti che, siccome sia Pcl sia Pdac si riferiscono entrambi al trotskismo e alla Quarta Internazionale, la separazione in due partiti distinti rappresenti una forzatura artificiale, magari frutto d’attriti personali fra dirigenti, che potrebbe essere superata con la buona volontà. Come fare per spiegare, in modo chiaro e convincente, che si tratta, non solo di due metodi, ma di due progetti distinti che vanno in direzioni diverse?
Buccheri: In passato parecchie divisioni all'interno della sinistra sono state effettivamente determinate da attriti personali fra dirigenti, magari fra burocrati interessati più alle poltrone e a posizioni di prestigio che alle ragioni del comunismo. Qui però si parla di tutt'altra cosa. Nello specifico, la nostra scelta di uscire dal Pcl (così come la divisione fra Pcl e Pdac) non ha niente a che vedere con questioni “personali”, anche se qualcuno all'interno di quel partito – con la solita superficialità – ha provato a ridurre tutto in quel senso, non avendo argomenti sul piano politico.
Fasciana: Qui stiamo parlando di ben altro, cioè di questioni politiche decisive. Qui stiamo parlando di come si costruisce un partito rivoluzionario, e si può facilmente intuire che trattasi di un punto centrale, anche se i dirigenti del Pcl sembrano non rendersene conto. A meno che, infatti, non ci si voglia limitare alla semplice testimonianza (o magari all'esibizionismo), è chiaro che l'attenzione al metodo di costruzione del partito rivoluzionario è fondamentale, e non si ha speranza di riuscita senza la definizione di un robusto assetto organizzativo, senza un centralismo democratico realmente operante e fondato sulla formazione dei militanti, senza un'impostazione militante del partito (in cui ci sia distinzione fra l'avanguardia e la classe), senza una prospettiva internazionalista.
Buccheri: Per comprendere quanto sia centrale la questione, basti pensare che proprio intorno ai metodi di costruzione del partito rivoluzionario nel 1903 si verificò la famosa spaccatura all'interno del Partito Socialdemocratico Russo fra la corrente bolscevica (quella che poi farà la rivoluzione), che scelse di costruire un partito di militanti, e quella menscevica, che invece puntava alla costruzione di un partito di massa. Lo stesso Trotsky, più avanti, individuerà proprio nel ritorno (dopo la morte di Lenin e con la burocratizzazione) da un'impostazione di militanti ad un'impostazione di massa (con tesseramenti allargati) una delle operazioni decisive attraverso cui Stalin aveva liquidato il partito bolscevico.
Fasciana: L'improvvisazione, il leaderismo, il tesseramento scriteriato, l'auto-ostentazione, l'ansia da elezioni e da visibilità mediatica, nonché l'isolamento nazionale, tracciano un percorso che porta soltanto ad ulteriori sconfitte e delusioni. Data l'estrema gravità dell'attacco portato avanti dai poteri forti contro la collettività non possiamo permetterci il lusso di sprecare tempo nonché preziose risorse umane. Ci riferiamo soprattutto al fatto che i progetti politici fallimentari rischiano di allontanare dalla militanza i compagni, così come spesso è avvenuto in passato.
Siete entrambi impegnati nelle lotte sindacali ed entrambi coprite incarichi all’interno di Usb (Unione sindacale di base), pensate che la vostra adesione al Pdac vi aiuterà anche nel lavoro sindacale?
Buccheri: La nostra adesione al Pdac ci potrà aiutare anche nell'azione sindacale, vista l'importante funzione formativa che il partito può avere per noi sul piano dell'esperienza, della pratica democratica, della condivisione di informazioni, dello sviluppo di competenze.
Il sindacato e il partito sono i nostri strumenti per portare avanti la medesima lotta contro il sistema. Il lavoro sindacale, finalizzato al raggiungimento di obiettivi immediati su vertenze specifiche, è un lavoro prezioso – tanto più davanti alla attuale deriva dei sindacati concertativi - che portiamo avanti quotidianamente sul territorio e nei luoghi di lavoro (recentemente abbiamo contribuito all'apertura della sede Usb di Caltanissetta). Tuttavia, la battaglia non può e non deve fermarsi al livello sindacale, ma deve essere concepita all'interno di un quadro più generale che è quello della lotta radicale contro il sistema nella sua globalità. Proprio perché è il sistema stesso a generare le storture e le conflittualità che poi si affrontano sul piano sindacale.
Il Partito, in quanto organizzazione di avanguardia deputata alla lotta contro il sistema, è lo strumento indispensabile che può orientare la nostra attività a qualsiasi livello. L'indirizzo politico e la struttura organizzativa centralizzata e democratica del Partito rivoluzionario vanno promosse nei sindacati, oggi spesso carenti in merito all'assetto organizzativo e alla definizione di strutture democratiche efficaci.
Fasciana: Il concetto di sindacato come palestra di guerra trova nella mia adesione al Pdac una nuova linfa vitale. Sto conducendo una durissima battaglia sindacale contro gli accordi di comodo che la magistratura ha stipulato con enti regionali a discapito della garanzia di legalità che essa dovrebbe rappresentare. La progressiva precarizzazione del personale giudiziario, e l’ altrettanto progressiva e spudorata accettazione delle logiche del profitto, hanno fatto sì che larghe fette di lavoratori precari provenienti da altri enti, per lo più regionali (!), fossero fagocitati in progetti fantasma tendenti a deportarli da un campo di concentramento precario all’altro, in applicazione di protocolli d’intesa che ne dichiaravano, di fatto, la morte clinica e li ponevano in attesa di un black out dei fondi di copertura per decretarne la definitiva morte. Mi relaziono quotidianamente con uno dei poteri forti dello Stato, il più subdolo, quello meglio inserito nelle logiche della sopraffazione del più forte sul più debole ma che è costretto a nascondersi da se stesso e dalla sua natura mascherandosi dietro l’egida della applicazione della norma come corollario della sua stessa esistenza. Sotto quelle toghe essi consumano efferate azioni di sopraffazione operata nei confronti di chiunque osi sottrarsi alle loro logiche.
I lavoratori ed i loro diritti non necessitano della complicità dei governi tecnici per essere calpestati da questi artefici dell’ingiustizia legalizzata dal loro ruolo costituzionale.
Io non ci sto. “La posta in gioco è la lotta per l’influenza sulla classe operaia”!
In questi giorni ho portato le parole d’ordine del partito all’interno di un’assemblea autoconvocata dai precari in questione e nonostante la presenza di soli quattro tesserati Usb (il sindacato in cui milito),  rispetto ai restanti 37 suddivisi tra Cobas e Ugl, la parola d’ordine della mobilitazione ha riscontrato il voto favorevole di ben 38 di essi!
Dopo quasi vent’anni di precariato l’unione di questi lavoratori urlerà con forza ai padroni la volontà ferma di non farsi sopraffare dalle logiche del capitale che, dopo averli sfruttati e sviliti, oggi vorrebbe chiudere semplicemente la porta sulla loro dignità, in nome di una crisi che colpisce senza pietà.
“Come ci sei riuscita con soli quattro iscritti?” mi hanno chiesto i dirigenti Cobas ed Ugl. Ho risposto citando Trotsky: “I sindacati non sono un fine in sé: sono solo semplici strumenti lungo la strada che conduce alla rivoluzione proletaria”.
Non vi spaventa la militanza rigorosa che è richiesta quando si è iscritti ad un partito di tipo bolscevico come il Pdac ?
Buccheri: Più che spaventarci, la militanza rigorosa costituisce una conferma alle nostre aspettative, e il fatto che l'organizzazione la richieda costituisce per noi una garanzia. Del resto, come detto in precedenza e come insegna la storia, lo strumento che serve in funzione del nostro obiettivo è proprio un partito di questo tipo. Le scorciatoie adottate da chi vorrebbe costruire il partito rivoluzionario prescindendo dalla militanza effettiva e dalla formazione, riservandola a pochi illuminati o presunti tali, non solo non possono funzionare ma addirittura provocano ulteriori danni.
Fasciana: Noi continueremo a fare ciò che abbiamo fatto in questi anni, ovverosia portare avanti la lotta sul territorio, con la consapevolezza oggi di non essere soli. Metteremo a disposizione dei compagni le esperienze maturate in questi anni di attività sul nostro territorio di riferimento, e siamo convinti che il lavoro coerente e metodico produrrà i suoi risultati.
Alle ultime elezioni regionali il 52,58% dei siciliani ha scelto di non andare a votare. Ha vinto, come si usa dire, il partito dell'astensione, con largo distacco da M5S, Pd, Pdl. Il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, in pratica, è stato eletto presidente solo con il 10% dei voti . Cosa sta succedendo in Sicilia? 
La forte astensione alle elezioni regionali, le grandi manifestazioni di studenti e lavoratori che si sono svolte a Palermo e in altre città siciliane, sono segnali importanti e reali o, come si usa dire, “tutto cambia affinché nulla cambi”? e quali ostacoli o quali fattori di spinta vedete per la costruzione del Pdac in Sicilia ?
Fasciana: Sarebbe riduttivo dedurre un dato positivo in assoluto dal fatto che l’oltre 50% dei siciliani non si sia recato alle urne, poiché sarebbe come se pensassi di avere guadagnato, non dico l’intero gruppo degli astenuti ma, perlomeno, una larga parte di essi ad una seppur embrionale consapevolezza della coscienza della lotta di classe ed alla sua necessità. Potrebbe sembrare a prima vista, un timido passo propedeutico alla progressiva acquisizione ed espansione della necessità di tradurre il dissenso verso ogni forma di istituzione di natura borghese. Potrebbe essere,e in piccola parte lo è certamente, una prima scintilla nella prospettiva della Rivoluzione sociale.
La minoranza composta da sedicenti rivoluzionari, populisti filofascisti, riformisti e collusi ha occupato le poltrone dell’Assemblea regionale siciliana. La maggioranza, cioè l’enorme percentuale di astenuti, non solo non ha occupato nessuna poltrona ma, purtroppo, nessuna piazza o palazzo del potere. Né nuovi precari si sono uniti a quelli che occupano la piazza antistante il Comune ormai da mesi. Né nelle piazze ho riscontrato un acutizzarsi del dissenso o un allargamento delle sue fasce, fatta eccezione per i movimenti studenteschi che però ad oggi, essendo composti soprattutto da studenti medi non rappresentano un dato attendibile, né posso avere la presunzione di pensare che si sarebbero astenuti dalle urne (sono semplicemente ipotetici astenuti). Studenti, precari di settore e senzatetto che ritengo prematuro poter definire “comitati”.
Rilevo inoltre, nonostante il quasi totale silenzio dei media (ricordo però di averlo pubblicato pochi giorni dopo le elezioni), un dato a mio avviso delicatissimo e inquietante: la totale (non era mai avvenuto) astensione dei detenuti delle carceri palermitane, l’Ucciardone ed il Pagliarelli, di “massima sicurezza,” che sono, storicamente, il termometro attraverso il quale gli strateghi della giustizia misurano la temperatura dei rapporti Stato /mafia per il controllo dei voti, del territorio, del potere della criminalità organizzata e dei suoi fedelissimi agenti istituzionali. Il fatto che più di 1.500 detenuti, e quindi le loro famiglie (naturali e di appartenenza), abbiano scelto (?) di non votare non è certo una forma di protesta ma è una sfida.  La sfida del silenzio contro i presunti poteri forti. La sfida, a mio avviso, è stata lanciata molto più in alto. E’ un avvertimento alle banche, più che alle istituzioni. Ritengo, inoltre, che una grossa fetta degli astenuti non abbia per nulla maturato la consapevolezza dell’inutilità del voto e che abbia utilizzato il diritto all’astensione come forma democratica di punizione, a distanza, dei colpevoli della macelleria sociale.
Nonostante queste considerazioni penso tuttavia che esista una componente avanzata in questo 52,58% e che spetti a noi intercettarla, ribadendo le nostre parole d’ordine in maniera costante e puntuale all’interno di ogni focolaio di lotta e di ogni mobilitazione a partire da quelle imminenti, come per esempio il 15 febbraio prossimo, anche in vista delle elezioni politiche ormai alle porte. E’ assolutamente necessario alimentare il dissenso e la consapevolezza attraverso parole d’ordine minime che superino quelle propagandistiche che rischiano, data l’esiguità delle nostre forze in Sicilia, di essere confuse nel calderone di quelle degli pseudo- rivoluzionari di sistema che le sfruttano perché è di moda.
casa-studio-lavoro, sono parole d’ordine minime.
Usarle come parole d’ordine di agitazione, piuttosto che di propaganda, potrebbe avere, a mio avviso, un effetto transitorio determinante sulla coscienza sfiduciata delle masse.
Buccheri: Non posso biasimare quel 52,58% di siciliani che non si è recato alle urne in occasione delle recenti elezioni regionali (e del resto io sono uno di loro). In un periodo di grave crisi economica come quello attuale emergono ancora più prepotentemente le contraddizioni del sistema capitalista, e i partiti borghesi (di centrodestra come di centrosinistra), che in questi anni hanno fatto gli interessi dei poteri forti contro la collettività, hanno ben poco da promettere. La crisi economica in corso, combinata con una crescente sfiducia verso le “istituzioni” e i partiti di massa, travolti dalla corruzione e dal trasformismo, ha fatto schizzare l'astensionismo sopra la soglia del 50%, in una regione che ha visto i due ultimi “governatori” coinvolti in rapporti perversi con la mafia (il primo dei due già condannato in sentenza definitiva) e che nei mesi scorsi è stata percorsa dalla diffusa e radicale mobilitazione promossa dai “forconi”, una mobilitazione che ha paralizzato l'isola e ha coinvolto nelle piazze siciliane tantissime persone. Risultato apparentemente importante, se non fosse che queste mobilitazioni – promosse intorno a rivendicazioni corporative e autonomistiche – erano guidate da forze conservatrici e reazionarie che hanno strumentalizzato la parola “rivoluzione”, avendo in realtà come obiettivo quello di interloquire con le istituzioni borghesi (nell'interesse di visibilità di alcuni capipopolo) e arrivando poi a candidarsi alle elezioni regionali, con programmi ovviamente destrorsi.
E' significativo anche il fatto che, astensionisti a parte, il Movimento 5 Stelle di Grillo si sia affermato in Sicilia come il partito più votato da chi si è recato alle urne lo scorso ottobre. Segnale negativo, data la natura populista e a tratti reazionaria del partito di Grillo (vedi le posizioni sui migranti e l'apertura al “dialogo” nei confronti dei neofascisti), e purtroppo comprensibile in relazione al clima di disillusione e disorientamento generali.
L'astensionismo porta con sé, a mio avviso, dei segnali positivi, perché rappresenta (nonostante le letture faziose di certi “politologi” di sistema) una scelta in molti casi consapevole operata da cittadini che hanno deciso a maggioranza di revocare la delega e la fiducia verso i politicanti e i loro partiti di riferimento, inclusi quelli della sedicente “sinistra radicale” (Sel, Prc, Pdci). Potrebbe essere un primo passo avanti. In assenza di una forza politica realmente antisistema, che promuova le ragioni della lotta di classe, ritengo comprensibile e legittimo che si opti per una scelta di rottura di tipo astensionista, fermo restando che l'astensionismo in materia elettorale deve essere accompagnato dall'impegno nella lotta quotidiana sul territorio, altrimenti è una protesta sterile e inconcludente. E, da questo punto di vista, gli studenti hanno dato segnali importanti ad altre categorie che ancora non danno segni di dinamismo.
Non ritengo, invece, una scelta di rottura il voto dato ai grillini, che denota a mio avviso una diffusa immaturità politica, una pericolosa tendenza alla delega e all'attesa di un salvatore della patria (ieri Berlusconi, oggi Grillo), nonché un’ostinata indisponibilità ad accettare delle verità evidenti, ovverosia il fatto che il sistema non si può cambiare senza mettersi in gioco in prima persona, e non si può cambiare dall'interno dei palazzi, meno che mai con ricette, come quelle proposte da Grillo, che non escono per nulla dalle logiche di sistema (non è un caso del resto se i grillini non si vedono mai nelle lotte di piazza). La “democrazia borghese” è, infatti, la maschera che consente alle oligarchie dominanti di dare ai cittadini l'illusione della partecipazione alla vita politica.
Alla luce di questa analisi, le condizioni oggettive, il diffondersi dell'astensionismo e l'acuirsi della radicalità delle lotta, come dimostra – nonostante l'attuale fase di riflusso - l'autunno caldissimo di Palermo, con decine di migliaia di giovani, operai, disoccupati che sono scesi in piazza, sono fattori potenzialmente positivi rispetto alla crescita del Pdac. Gli ostacoli principali invece sono rappresentati, come accade del resto ovunque oggi in Italia, dalle burocrazie dei partiti e dei sindacati collaborazionisti (sempre pronti a fare da estintore rispetto ai focolai di lotta), dal “grillismo”, che diffonde ulteriori illusioni istituzionali spacciandosi per “novità”, ma anche dalla frammentazione nell'area di “sinistra” e dalla diffusa sfiducia verso la parola “partito”. Sfiducia assolutamente comprensibile, dati i disastri prodotti dai partiti di sistema, ma talvolta non bilanciata da una profonda e consapevole analisi che, al di là della condanna di un sostantivo, permetta di fare un passo avanti per svincolarsi dal nichilismo.
Il nostro difficile compito oggi, in Sicilia come altrove, è riuscire a trasmettere la differenza fra un partito di sistema e un partito che il sistema lo vuole abbattere, cercando di far emergere l'importanza dell'organizzazione (un'organizzazione di tipo bolscevico ovviamente) rispetto alla necessità di sviluppare e raccordare le lotte. Un'organizzazione che lavori quotidianamente alla costruzione di un ponte fra le rivendicazioni immediate e l'obiettivo del rovesciamento del sistema. Perdere di vista le prime significa infatti essere utopici, perdere di vista il secondo significa rinunciare a trasformare il sistema. Fra l'utopismo e il riformismo c'è il marxismo rivoluzionario.
 

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