Partito di Alternativa Comunista

Rileggendo Stato e rivoluzione

Rileggendo Stato e rivoluzione

di Lenin

Un testo imprescindibile

 

 

 

di Ruggero Mantovani

“Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili.”(1)

 

Negli ultimi mesi, tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, il personale politico della borghesia italiana è stato travolto da una serie di scandali giudiziari che hanno fanno emergere squallide storie di ruberie e mazzette trasversali a tutto il sistema di rappresentanza dei partiti e delle forze economiche legali e cosiddette “illegali”: dagli appalti truccati del Tav, all’Expo di Milano, al Mose di Venezia, passando per la cosiddetta “mafia capitale” a Roma, oltre agli interessi sulla banca dell’ Etrulia della famiglia del ministro Boschi (Pd), fino alla recentissima inchiesta, sempre su appalti sospetti, che coinvolgerebbe anche il Ministro Lupi (Ncd), ma l’elenco potrebbe continuare. Una situazione che se da un lato mette non poco in difficoltà il quadro politico e le misure antipopolari del governo Renzi, dall’altro, ancora una volta, svela la sua essenza e le funzioni fondamentali dello Stato borghese, che tanto più oggi (anche se queste vicende attraversano tutta la storia recente e passata del sistema politico ed economico) mostra la sua vera natura: semplicemente un “comitato di affari” a servizio della borghesia. Peccato che nessun commentario giornalistico né tanto meno i dotti intellettuali di quello che rimane della sinistra radicale, a cominciare da Rifondazione comunista, ricordano che Marx ed Engels oltre centocinquant’anni fa dimostrarono che lo Stato si era sviluppato storicamente per assolvere questa funzione: gestire i profitti dei padroni e reprimere le classi subalterne. Invero la funzione dello Stato si dimostra tanto più oggi essenziale e sempre più complessa, proprio in un momento in cui l’imperialismo è attraversato da una enorme crisi di sovrapproduzione e da bolle speculative, che stanno senza sosta inasprendo i conflitti intra-capitalistici.

Le fantasticherie sulla fine degli stati nazionali (pensiamo al saggio di qualche anno fa Impero di A. Negri e alle posizioni espresse da quello che fu la rifondazione bertinottiana) che continuano, però, ad avere un certo seguito in settori autonomi, movimentisti, anarchici ecc., si scontrano platealmente con la realtà che fa emergere, invece, un rafforzamento della oggettività statuale proprio in un momento in cui la “guerra permanente” che si è sviluppata nel blocco borghese mondiale è combattuta (per adesso) attraverso i conflitti che si sono generati nei Paesi dipendenti o neo coloniali: arabi, africani, e nell’ex Urss. Conflitti fratricidi finalizzati a ridisegnare sia nuovi equilibri geo-politici per la spartizione delle materie prime e della manodopera mondiale; e sia a stratificare nuovi gruppi dominanti nelle aree dei Paesi dipendenti, dopo la fine degli ultimi dittatori locali, per garantire fin d’ora la formazione di nuovi governi fantoccio (pensiamo all’Afghanistan, all’Egitto, all’Arabia saudita, ad Israele, alla Siria, al nord Africa, e all’ultimo fenomeno dell’Isis, che agisce sul terreno del terrorismo stragista – si veda il recentissimo  attentato a Tunisi - tra l’altro finanziato da settori dell’imperialismo, circostanza confermata dal senatore Rand Paul degli Usa) per reprimere rivoluzioni popolari che sono state in questi ultimi anni e continuano ad essere l’unico grande nemico dell’imperialismo. Altro che conflitto tra l’islamismo radicale, medievale e antimoderno (che sicuramente nella sua proiezione simbolica può far leva su settori sottoproletari, di marginalità di strada, oltre che su mercenari professionisti) e il civile occidente e la secolarizzata cultura giudaico-cristiana.

Ecco perché su tali questioni riteniamo attuale il testo di Lenin Stato e rivoluzione, per riproporre la battaglia politica e teorica contro i traditori vecchi e nuovi del vero marxismo (pensiamo oggi al ruolo dei vari Landini, Vendola, Ferrero e all’imbroglio rappresentato da Tsipras) e ribadire la necessità di ricostruire una nuova direzione del movimento operaio mondiale per realizzare quella rivoluzione che i bolscevichi osarono. Ma andiamo per ordine!

 

La concezione dello Stato nel pensiero di Marx ed Engels.

Affermava Lenin: “(…) compito nostro è, innanzi tutto, ristabilire la vera dottrina di Marx sullo Stato”(2) e partendo dal saggio scritto da F. Engels L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, (pubblicato nel 1894) dichiarava: “Lo Stato (…) è un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'ordine (…) questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al disopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato".

Basterebbe questa definizione di Engels per spazzare via tutte le apparenti teorizzazioni del costituzionalismo borghese: lo Stato è il prodotto degli antagonismi inconciliabili delle classi sociali che con il monopolio della forza (o meglio della violenza organizzata per via istituzionale), cerca di comprimere il conflitto. Dinanzi a questa inconfutabile verità l’ideologia borghese, dal canto suo, nel corso storico è stata costretta a riconoscere l’esistenza di interessi contrapposti tra lavoro e capitale e attraverso i suoi intellettuali e pubblicisti ha lavorato instancabilmente ad insinuare possenti elementi di falsificazione del pensiero marxista, introducendo concezioni rassicuranti e deformanti  del conflitto sociale: lo Stato sarebbe per le classi dominanti il principale strumento di conciliazione degli antagonismi.

E così negli ultimi cent’anni di storia della società capitalista si sono avvicendate una serie di teorizzazioni che, al di là della contingenza fattuale, al fondo hanno riproposto una concezioni idealista sullo Stato ben tratteggiate dal filosofo Hegel: lo Stato come potenza imposta alla società dall'esterno e cioè dalla cosiddetta "realtà etica e della ragione". Scorrendo velocemente il fiume d’inchiostro che il costituzionalismo borghese ha fatto defluire sul tema, è possibile osservare che l’apparente scientificità delle teorizzazioni delle varie filosofie del diritto, che si sono modificate nel tempo, in realtà sono il riflesso delle esigenze relative alle mutazioni che sono intervenute nella società capitalista: da una concezione formalmente liberale nell’epoca pre-imperialista, le democrazie borghesi sono passate a concepire lo Stato come “unità politica”, come compromesso di classe con le burocrazie del movimento operaio, sempre ovviamente nel sacro principio del pluralismo delle diverse istanze sociali.

In Italia, giusto per citarne alcuni, ricordiamo il filosofo Noberto Bobbio e il giurista Costantino Mortati. Mentre per quest’ultimo lo Stato attraverso il sistema di rappresentanza dei partiti politici è il luogo ove è possibile realizzare quel “compromesso” tra le varie istanze sociali, Bobbio nel testo Liberalismo e democrazia (ed. Simonelli, Milano, p. 152) affermava che: “(…) lo Stato liberale è fornito di tutti quei meccanismi costituzionali che precluderebbero l'esercizio arbitrario del potere e ne impedirebbero l'abuso o l'esercizio illegale” attraverso il potere giurisdizionale. Peccato che il filosofo torinese rispetto alla sacra indipendenza della magistratura dal potere politico ed economico, anche a distanza di anni dalle sue teorizzazioni è smentito persino dalla cronaca giudiziaria attuale; tant’è che la Corte di Cassazione (giusto per evidenziare uno tra i tanti esempi) qualche mese fa ha definitivamente messo una pietra sepolcrale sulla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il padrone della società Eternit Stephan Schmidheiny, responsabile della morte – solo in Italia - di centinaia di lavoratori nei cinque stabilimenti dell’Eternit italiana, per aver respirato per anni polveri di amianto. Insomma tutta l’elaborazione realizzata da borghesi parrucconi universitari dissimulata da una apparente scientificità in merito alla concezione dello Stato, al fondo ha tradotto il permanente compromesso di classe con le direzioni del movimento operaio celandone la sua ontologia storica: l’uso della forza contro il proletariato per conservare i putrescenti interessi gestiti dal comitato d’affari dei principali circoli imperialistici mondiali.

Viceversa per Marx lo Stato “(…) è l’organo del dominio di classe (…) è un ordine che legalizza e consolida questa oppressione”.(3)

La conclusione a cui giunge Lenin in nome del vero marxismo è assolutamente chiara: se lo Stato è il prodotto dell’inconciliabilità degli antagonismi di classe e si rappresenta sempre più come una forza che si pone al disopra della società, è altresì evidente che solo una rivoluzione che spezzi l’apparato statale potrà risolvere l’oppressione di una classe su l’altra. Lo Stato borghese è per necessità storica una forza, che proprio perché segnata dagli antagonismi di classe si pone al di sopra della società. Engels nel meraviglioso saggio L’origine della proprietà privata della famiglia e dello Stato ne fornisce una definizione semplice ma efficacissima asserendo che rappresenta “(…) un distaccamento speciale di uomini armati che dispongono di accessori materiali quali prigioni e istituzioni coercitive di ogni genere. In cui l’esercito e la polizia sono i principali strumenti della forza storica del potere statuale”. Questa concezione dello Stato è stata senz’altro arricchita da Lenin con il precedente testo sull’imperialismo, mettendo ben in evidenza che man mano che il capitalismo è proceduto verso una forma monopolista, indica sempre più la sua putrescenza nella corsa alla conquista del globo terrestre e al contempo rende sempre più complessa l’organizzazione statuale della violenza attraverso organismi distaccati di uomini in armi, quale fondamentale guarentigia del dominio delle banche e della politica coloniale, grimaldello della quotidiana azione di rapina delle masse popolari nel mondo. Tutto ciò sempre, ovviamente, nel sacro principio della difesa della democrazia e degli stati dei popoli.

Ma Lenin proprio approfondendo le questioni poste dal vero Marx, ben mette in evidenza che la formazione dello Stato borghese non vive solo di monopolio della violenza (prigioni, eserciti, tribunali ecc.), ma necessita di una un ulteriore apparato burocratico-amministrativo che anzitutto è finalizzato a foraggiare economicamente e ideologicamente la sopravvivenza degli organismi statuali fondamentali. Sul tema Engels approfondisce la fisionomia del fenomeno e il risultato non solo è sorprendente ma, come vedremo, mantiene in se una freschezza ed attualità disarmante. Difatti, attingendo dalle teorizzazioni di Lenin nell’opera di cui ci stiamo occupando, ben si evidenzia che il mantenimento sempre più sofisticato dell’insieme dall’apparato burocratico repressivo e amministrativo dello Stato borghese, in particolare nell’epoca dell’imperialismo, crea inevitabilmente il moltiplicarsi del cosiddetto debito pubblico che dalla borghesia viene risolto attraverso una politica di rapina fiscale a danno delle classi subalterne.

Difatti scrive Engels: ”(…) per il solo fatto che posseggono un potere pubblico e il potere di riscuotere le imposte i funzionari come organismi della società sono posti al di sopra di essa (…) la ricchezza usufruisce del suo potere statale in modo indiretto attraverso la corruzione dei propri funzionari in secondo luogo con l’alleanza tra i governi e la borsa (…)”.

Ma vi è di più. Lenin evidenzia che nell’epoca dell’imperialismo il potere delle banche ha fatto divenire un “arte raffinata” queste metodiche di rapina sugellando il senso stesso dell’onnipotenza del sistema capitalistico. Difatti il sistema che matura nello Stato borghese tra il “funzionario corrotto”, i “sindacati capitalisti” e i miliardari concussori, è il miglior strumento politico e burocratico su cui si fonda il potere borghese che “nessun cambiamento, né di persone, di istituzioni, né di partiti può scuotere (…)”.

Un’analisi che non solo spiega in forma scientifica il rapporto tra il potere capitalistico e l’apparato burocratico dello Stato, basato non accidentalmente ma organicamente sulla “corruzione e concussione”, ma che fa emergere la natura di fondo degli scandali dell’attuale classe politica, che i lacchè della borghesia vorrebbero far regredire a fenomeni di mal costume di una classe politica non particolarmente selezionata.

Questa concezione svela senza indugi il carattere materiale dello Stato borghese contro ogni teorizzazione di ogni filisteo e masnadiero della storia contemporanea.

Ma non basta, Lenin affronta l’altra questione fondamentale per il marxismo: la rivoluzione! Il grande rivoluzionario argomentando contro tutte le tendenze anarchiche, piccolo borghesi e riformiste che lo Stato borghese non si “estingue” come la luce elettrica attraverso un interruttore, può solo essere “soppresso”, “spezzato” dalla violenza rivoluzionaria delle masse attraverso la direzione di avanguardia del partito comunista.

Ciò che si “(…) estingue dopo la rivoluzione – spiega Lenin – è lo Stato proletario o semi-Stato (…)”. Una puntualizzazione non casuale né tantomeno accidentale, poiché per il marxismo asserire che la rivoluzione determini “l’estinzione” dello Stato è un regalo alla borghesia. Significa, in ultima analisi, negare la sostituzione di una “forza speciale” di repressione della borghesia imperialista (la dittatura proletaria) e la stessa edificazione del socialismo.

Insomma, secondo Marx, nella storia umana negare la violenza come “levatrice” dell’emancipazione dell’uomo significa negare il senso stesso della storia, poiché ogni società quando è colma delle contraddizioni che ha generato è necessariamente gravida di una nuova società. Al di là di ogni versione elogiativa del pacifismo piccolo borghese di ogni epoca, per Engels “(…) la violenza è lo strumento con l’aiuto del quale il movimento sociale si fa strada e spezza le forme politiche morte e fossilizzate (…)”.

In sostanza Lenin in questo magnifico saggio nel nome di Marx ed Engels ben mise in evidenza che la cosiddetta concezione scientifica dello Stato borghese, più prosaicamente è costruita su un comitato di affari (governo e parlamento), su organismi burocratici repressivi (prigioni, tribunali, eserciti, polizia ecc.) e amministrativi (ministeri ed enti derivati), e solo la violenza rivoluzionaria delle masse, la rivoluzione (e non certamente visioni di sovversivismo piccolo borghese e anarchico,  o idee estremistiche che sostituendosi alla forza pratica delle masse, hanno prodotto enormi danni per il movimento operaio), può spezzare il dominio dell’uomo sull’uomo e determinare “l’estinzione” dello Stato: dal momento che diviene il rappresentante di tutta la società e non soltanto di una minoranza  sfruttatrice, non avrà più ragion d’essere!

La conclusione per Lenin, traendo una grande lezione da un altro magnifico saggio, Antidühring(4), risulta di una semplicità sconvolgente: ”(…) l’intervento statale nei rapporti sociali si ‘assocerà’ di per sé (…) invece del governo sugli uomini si avrà l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi di produzione”.

Questo è il comunismo!               

 

La concezione marxista nel vivo dell’esperienza del 1848-1951 e della Comune di Parigi.

Tra il 1848 e il 1851 l’Europa è infiammata dalle rivoluzioni liberal-democratiche che inevitabilmente ponevano al centro del dibattito del movimento operaio il tema della rivoluzione, quale sbocco naturale di un mutamento radicale della società fin allora esistita. Marx concependo la storia non idealisticamente comprende ben presto che la borghesia avrebbe replicato il suo comportamento: così come nella metà del seicento in Inghilterra, nel 1789 dopo la rivoluzione francese e a metà dell’ottocento nel risorgimento italiano, si contrappose alla trascendenza della rivoluzione popolare pur di conservare il proprio potere.

Marx con una serie di articoli denunciò il tradimento dell’Assemblea nazionale di Francoforte,(5) che invece di essere conseguente con il programma rivoluzionario stringeva compromessi con il potere feudale, impaurita dalla consistente composizione operaia nei moti rivoluzionari del 1848. La borghesia preparò un nuovo tradimento: il corpo di spedizione prussiano colpì duramente le forze militari dell’Assemblea di Francoforte, malgrado una eroica resistenza che durerà fino al 1849.(6) Dall’esperienza dei moti rivoluzionari del 1848 Marx compose il saggio Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850,(7) utilizzando la concezione materialistica della storia esposta nell’opera L’ideologia tedesca.(8) La rivolta del 1848 in Francia era stata prodotta dalla colossale crisi economica mondiale del 1847 e la ripresa nel 1849 coincise col montare della reazione. Per la prima volta Marx non si limita ad asserire che la classe operaia doveva conquistare il potere, ma definisce quel potere come “dittatura proletaria”. La sconfitta della rivoluzione aprì la strada a Napoleone III che istaurò un sistema repubblicano reazionario.

Da questa esperienza Marx compose il saggio Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte,(9) una delle sue opere storiche più importanti. Il testo richiama il colpo di stato che il 9 novembre 1799 era stato ordito da Napoleone Bonaparte, zio di Luigi (18 brumaio è la data del nuovo calendario del governo repubblicano del 1792). Molto più acutamente che nel Manifesto del partito comunista, Marx analizza la dittatura politica attuata dalla borghesia e giudica matura la necessità della presa del potere, proponendo un’esposizione dettagliata sui compiti del proletariato. Lenin proprio da questa esperienza storica trae ulteriori elementi di chiarificazione sul tema della rivoluzione e citando Engels ben mette in evidenza:(10)”(…) La rivoluzione va fino in fondo delle cose. Essa sta ancora attraversando il purgatorio (…)”.

Insomma ancora una volta viene confermata tutta la concezione dello Stato ripresa da Lenin: “(…) le rivoluzioni anteriori a quella russa non fecero che perfezionare la macchina dello Stato, mentre bisognava spezzarla, demolirla (…) Le due istituzioni più caratteristiche dello Stato sono: l’esercito e la burocrazia (…) due parassiti sul corpo della società che la classe operaia impara a conoscerle a sue spese (…)”(11). Tant’è che le rivoluzioni che precedettero quella sovietica giunsero fino al “purgatorio”, perché furono represse dagli apparati repressivi dello Stato che si andava formando: “l’assalto al cielo” e cioè la rivoluzione bolscevica, fu possibile solo quando “(…) la vecchia talpa” scavò fino in fondo l’itinerario dell’insurrezione e distrusse lo Stato borghese.

Un’altra esperienza storica nel 1871 conosciuta come la Comune di Parigi ancora una vota confermerà quanto già era accaduto con le rivoluzioni risorgimentali della metà del secolo XIX. Lenin mette in evidenza che tutta la produzione letteraria di Marx ed Engels era stata attraversata da avvenimenti storici che segnarono profondamente la vicenda del proletariato internazionale. Proprio in questo periodo, in cui Marx intensifica la produzione teorica, il movimento operaio francese viveva un stagione straordinaria. Il governo repubblicano retto da Thiers, succeduto alla sconfitta di Napoleone III, aveva abbandonato Parigi rifugiandosi a Versailles, patteggiando la capitolazione con l’invasore prussiano. A questo punto dal 18 marzo al 28 maggio 1871 il popolo parigino costituì un governo autonomo: nasceva così la Comune di Parigi. Ma questa volta la classe operaia parigina (in particolare i comunardi), a differenza della precedente rivoluzione del 1848-1851, si diede un programma decisamente più ambizioso: espropriazioni delle fabbriche e nascita di cooperative operaie.

La reazione borghese non si fece attendere: il governo di Thiers scatenò una dura repressione che costò 120.000 morti tra cui 30.000 comunardi. La Comune, pur scontando l’immaturità della soggettività rivoluzionaria (mancò la direzione di un partito d’avanguardia come dirà successivamente Trotsky), ha rappresentato il primo movimento in cui il proletariato si è posto il problema della conquista del potere. Non la conquista giacobino-blanquista del potere statale, ma di un nuovo potere basato sulla “distruzione della macchina burocratica e militare”. E non è un caso che Marx con il saggio La guerra civile in Francia(12), sostenne che quel governo costituisse nella storia il primo esempio di un governo socialista. Ma al contempo Marx, ancora una volta, fornisce sul terreno dell’esperienza storica la prova della giustezza delle sue impostazioni sulla funzione dello Stato borghese e della rivoluzione proletaria, tant’è che nel saggio sopra richiamato ammoniva che: “(…) la classe operaia non può impossessarsi puramente della macchina statale già pronta e metterla in moto per i propri fini”. Il proletariato, ribadì Marx, deve spezzare, demolire “(…) la macchina statale già pronta (…) e non limitarsi ad impossessarsene”(13). E proprio in nome di questa impostazione programmatica e teorica conducendo una lotta senza quartiere nei confronti delle componenti opportunistiche (i tradunionisti inglesi di Lucraft che presero le distanze dalla Comune di Parigi e dalla rivoluzione), anticipò la successiva lotta all’opportunismo che maturò nella socialdemocrazia tedesca e nei confronti del rinnegato Kausky.

 

Lenin in piena rivoluzione contro i traditori del marxismo

Lenin nell’agosto del 1917 in piena rivoluzione e per giunta in clandestinità dal suo nascondiglio, scriveva il saggio dal titolo Stato e rivoluzione contro le mistificazioni revisioniste di Plekhanov(14) e Kautsky(15), anche se tenne a precisare che: “(…) è più piacevole e utile fare l’esperienza di una rivoluzione che non scrivere a proposito di essa”.  Un’opera di chiarezza teorica in merito alla natura dello Stato e ai compiti del proletariato, con cui Lenin, riprendendo quello che aveva già scritto il 24 marzo del 1917 nelle “Lettere da lontano”, dopo la rivoluzione di febbraio, puntava l’indice contro il revisionismo “dei putrescenti partiti riformisti” che avevano snaturato o dimenticato gli insegnamenti della Comune di Parigi e l’analisi che ne aveva fatto Marx ed Engels.

Lenin ammoniva che l’opportunismo che finalizzava il suo compito a snaturare il marxismo, trovava il suo nucleo centrale nella tendenza ad eludere il problema della rivoluzione proletaria e nell’abolizione dello Stato borghese. Una endiadi teorica utilizzata in particolare tra i massimi teorici del marxismo, come Plekhanov e Kautsky che, come abbiamo visto persino dalla loro biografia personale, utilizzarono per svolgere il ruolo degli agenti della borghesia nel movimento operaio. Ma andiamo per ordine! Lenin polemizza duramente con Plekhanov il quale nel 1894 dedicò, sul tema della rivoluzione nei confronti dello Stato, l’opuscolo Anarchismo e socialismo. Questo saggio segnò un primo esempio di opportunismo politico, poiché furbescamente l’autore criticando la scorrettezza della concezione anarchica sul tema dello Stato (poiché dopo la sua immediata abolizione mai spiegò con che cosa andava sostituito) eludeva, però, la concezione dello Stato proletario che, come abbia visto Marx sviluppò in tutte le sue principali opere. Lenin proprio sulla questione si scaglia contro Plekhanov rimproverando che “(…) parlare di anarchismo e socialismo” eludendo totalmente la questione dello Stato, senza vedere tutto lo sviluppo del marxismo prima e dopo la Comune, voleva dire cadere nell’opportunismo. Ciò che infatti serve all’opportunismo è che le due questioni che noi abbiamo indicate non siano affatto poste…”.(16)

Per Lenin la critica all’opportunismo maturato in particolar modo nei confronti Kautsky, analizzando le sue principali opere progressivamente evidenzierà che la sua concezione centrista, cioè oscillante tra riforma e rivoluzione, si trasformerà apertamente nel social sciovinismo durante la prima guerra mondiale. Lenin sottolinea che quello che “diverrà il rinnegato Kautsky”,(17) malgrado nella seconda internazionale passava per il più autorevole avversario degli opportunisti (Millerand e Jaurès in Francia e Bernstein in Germania) in realtà era già possibile cogliere “(…) una deviazione sistematica verso l’opportunismo” e, guarda caso, proprio sul problema dello Stato e della rivoluzione proletaria. Lenin svela l’inganno kautskyano analizzando tre saggi del transfugo più famoso del marxismo.

Nel saggio contro “Bernstein e il programma socialdemocratico”, mette bene in evidenzia come Kautsky malgrado si sforzi di fornire una ferrata critica verso Bernstein che nel suo saggio “Premesse del socialismo” accusa il marxismo di blanquismo, ritenendo che Marx affrontasse la questione della rivoluzione nel medesimo modo degli anarchici, in realtà concede innumerevoli capitolazioni all’opportunismo. Alle accuse del dotto revisionista tedesco che vede inesistenti identificazioni con quelle di Proudhon, Kautsky si limita ad osservare che la classe operaia può, in generale, impadronirsi della macchina statale e cioè implicitamente riferendosi a quella imposta dalla borghesia. Lenin analizza un secondo saggio del dotto Kautsky, “La rivoluzione sociale”, in cui più chiaramente viene ammessa la conquista del potere della classe operaia, ma in assenza della distruzione dell’apparato burocratico-amministrativo e repressivo della borghesia. L’autore si limita ad immaginare che con la rivoluzione la classe operaia conquisterà un parlamento in cui eleggerà i propri delegati il quale avrà la “(…) funzione di sorveglianza, direzione e un apparato burocratico (…)”. Insomma Kautsky non esce dal perimetro del parlamentarismo borghese. Al contrario ben evidenza Lenin che Marx ha sempre ritenuto che dopo la rivoluzione gli operai avrebbero distrutto il “pollaio della borghesia” dalle fondamenta, sostituendolo con un nuovo apparato rappresentativo diretto dal proletariato per mezzo dei loro rappresentanti eletti e sempre sottoposti a revoca, in cui nelle attività di direzione e sorveglianza della società e dell’economia “tutti diventeranno temporaneamente burocrati”: quindi se nessuno diverrà tale di professione renderà impossibile perpetuare il principale organismo dello Stato.

Un ulteriore contributo di Lenin nell’opera di smascheramento dell’opportunismo ante litteram di Kautsky è rappresentato da una tagliente analisi su un importante opuscolo La via al potere, apparentemente indirizzata contro il revisionismo, in cui dopo aver risolutamente proclamato che l’era rivoluzionaria era cominciata, ancora una volta, però, trascura la questione dello Stato riproponendo implicitamente le accomodanti teorizzazioni verso gli opportunisti.

 

In conclusione

Proprio dalla attenta analisi dei testi che qui schematicamente abbiamo riportato, per Lenin i marxisti conseguenti dovevano rompere “con gli opportunisti”, ribadendo che la rivoluzione non era rappresentata da uno spostamento dei rapporti di forza tra le classi sociali, ma dalla presa del potere del proletariato, dalla demolizione dalle fondamenta dello Stato borghese e del suo parlamentarismo, dalla edificazione della Repubblica dei soviet dei deputati degli operai e dei militari, sul modello della Comune, per istaurare la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Per Lenin lo studio del vero marxismo contro le caricature di Kautsky e i suoi compagni di merenda imponeva di “(…) considerare che la II Internazionale, nella maggioranza dei suoi rappresentanti ufficiali” era completamente caduta “nell’opportunismo” esercitando una immensa influenza in cui gli Stati muniti di “(…) un apparato militare rafforzato dalle competizioni imperialiste son diventati mostri militari che stermineranno milioni di uomini per decidere, chi, tra l’Inghilterra e la Germania, tra questo e quel capitale finanziario dominerà il mondo”.(18)

Le guerre imperialiste che si sono succedute nella storia hanno realizzato vergognosi crimini contro l’umanità, ma non hanno smorzato i loro carboni ardenti. Tanto più oggi in cui il capitalismo continua le sue lotte intestine attraverso i conflitti generati nei Paesi dipendenti, il ruolo della socialdemocrazia sindacale e politica, a cui la borghesia non può rinunciare a cuor leggero anche qualora la stessa sia divenuta effimera (come ad esempio nel caso italiano quella rappresentata da Landini, Vendola, Ferrero o dall’imbroglio di Tsipras in Grecia), va contrapposta la costruzione del partito di Marx, di Lenin e costudito da Trotsky e dalla IV Internazionale: consapevoli che  unirsi costantemente alla classe operaia e "nuotare con la corrente delle masse” è la rivoluzione.             

 

 

NOTE

1) Lenin, Stato e rivoluzione, Newton Compton, p. 43.

2) Ivi, p. 43.

3)  Ivi, p. 45.

4)  Engels Friedrich, Antidühring, edizioni Lotta comunista. Il saggio del 1878 è uno dei maggiori contributi di Engels alla diffusione delle teorie del socialismo scientifico. Esso nacque come una confutazione delle teorie del professore berlinese Karl Eugen Dühring, che stavano suscitando grande interesse nella socialdemocrazia tedesca, si ampliò fino a divenire un'esposizione completa dei fondamenti scientifici e filosofici del comunismo.

5) Dal 18 maggio 1848 al 31 maggio 1849 a Francoforte sul Meno si riunì la cosiddetta Assemblea nazionale di Francoforte (in tedesco: Frankfurter Nationalversammlung'), una assemblea costituente riunita per dare una costituzione alla Confederazione germanica e gettare le basi dello Stato unitario.

6)  In quella situazione, nella Germania meridionale si trovava tra le file combattenti anche Engels.

7) K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Editori Riuniti, Roma, 1992.

8) K. Marx, L’ideologia tedesca, Bompiani. Marx ed Engels ne L'ideologia tedesca portano un attacco alla filosofia tedesca del tempo rappresentata da Ludwig Feuerbach, l'esponente più avanzato del panorama filosofico tedesco, da Bruno Bauer e Max Stirner. Gran parte del libro è dedicata alla critica, volutamente sarcastica e sprezzante, dell'opera principale di Max Stirner L'Unico e la sua proprietà. L'opera fu pubblicata solo nel 1932.

9) Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma, 1997.

10) Ivi, p. 98.

11) Lenin, Stato e rivoluzione, p. 64. 

12) K. Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma, 1990.

13) Ivi, p. 43.

14) Gheorghi Valentinovic Plekhanov (1856-1919), il più eminente marxista russo prima dell’inizio dell’attività politica di Lenin. Nel 1905, durante la rivoluzione, si lasciò influenzare da idee liberali e combatté le posizioni leniniste. Divenne in seguito social patriota slegandosi definitivamente al bolscevismo.

15) Karl Kautsky (1854-1938), economista e storico, teorico della Socialdemocrazia tedesca, fu uno degli esponenti principali della II Internazionale. Allo scoppio della I guerra mondiale, si trovò accanto agli sciovinisti.

16) Lenin, Stato e rivoluzione, p. 136.    

17) Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, edizioni Lotta comunista. Nel saggio Lenin asserì: ”L'opuscolo di Kautsky La dittatura del proletariato (Vienna 1918, Ignaz Brand, pp. 63), è uno degli esempi più lampanti del completo e ignominioso fallimento della II Internazionale, di cui da molto tempo parlano tutti i socialisti onesti di tutti i Paesi. La questione della rivoluzione proletaria si pone ora praticamente all'ordine del giorno in tutta una serie di Stati. E' quindi necessario analizzare i sofismi da rinnegato e la totale abiura del marxismo da parte di Kautsky”.   

18) Lenin, Stato e rivoluzione, p. 152.

 

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