L'esercito degli elmetti
L’esercito degli elmetti “critici”
Le minoranze del Prc, le guerre di Prodi e molto altro ancora…
di Leonardo Spinedi
Dopo aver messo in piedi una ridicola pantomima al VI congresso mettendo in discussione tutto fuorché il contenuto reale della svolta di Bertinotti, dopo averci spiegato che andare al governo con Prodi si può, purchè lo si faccia con criterio e con “energia negoziale”, dopo aver accettato passivamente l’ingresso del Prc nel nuovo esecutivo avendo oltretutto eletto un numero non indifferente di parlamentari nelle sue file, le due minoranze più consistenti di questo partito (Ernesto e Sinistra Critica) hanno finalmente palesato le loro reali intenzioni e la loro nullità nei primi cento giorni di governo: dal rifinanziamento della missione in Afghanistan, alla missione Onu in Libano fino alla finanziaria, il loro atteggiamento è sempre stato all’insegna del codismo, della passività e dell’inconcludenza.
Il caso Afghanistan
All’inizio del luglio scorso, il Governo Prodi annunciò l’intenzione di rifinanziare la missione militare in Afghanistan; la maggioranza dirigente del Prc, a dispetto dell’ottusa retorica pacifista cavalcata negli ultimi anni per apparire affidabile agli occhi delle classi dominanti, dichiarò su tutti i giornali che era necessario votare sì al rifinanziamento, che in fondo non si trattava di una missione di guerra, e che poi non si poteva certo far cadere il Governo su una stupidaggine del genere (sic!).
A fronte di tutto questo otto senatori della sinistra (tra cui quelli delle minoranze del Prc) annunciarono il loro voto contrario ed iniziarono ad organizzare insieme ad altre forze i primi sit-in di protesta; il primo, in particolare, che radunò circa un centinaio di persone davanti a Montecitorio (un successone se si pensa ai due successivi) fu l’occasione in cui Cannavò esternò il meglio della sua combattività e della sua coerenza: disse mentre arringava la folla “…certo che se la risposta della gente è questa, io non è che possa fare gran che…”, come se la responsabilità della riuscita di una manifestazione non fosse di chi la organizza… o non sarà stato che i deputati di “sinistra” avevano già capito da tempo che sarebbero stati i pompieri di questa protesta e per questo non si spesero affatto per la buona riuscita della stessa?
Andiamo avanti: il malcontento crebbe in settori significativi dell’avanguardia giovanile e di lotta e sembrò sfuggire di mano agli stessi organizzatori; sfociò in una grande assemblea autoconvocata a Roma il 15 luglio, al Centro congressi Frentani, a cui parteciparono un migliaio di compagni e compagne; parlarono anche i cosiddetti senatori ribelli, che giurarono e spergiurarono che mai e poi mai avrebbero votato una porcheria del genere, che il no alla guerra avrebbe avuto la priorità su tutto, che loro erano ancora dell’idea che bisognava andare “via dall’Iraq, via dall’Afghanistan” come si leggeva nel documento conclusivo dell’assemblea.
Pochi giorni dopo, il Governo pose la fiducia sul decreto, i ribelli votarono sì, e si accontentarono di presentare un ridicolo ordine del giorno in cui si vaneggiava di un osservatorio internazionale sulle guerre nel mondo (gestito, ovviamente, da chi le guerre nel mondo le fa).
Indossarono l’elmetto, abbigliamento indispensabile per chiunque voglia prendere posto tra i banchi del Governo.
Il massacro del Libano
Proprio il giorno dell’assemblea al Frentani iniziò la guerra genocida di Israele al Libano. Dal pulpito si levarono parole di solidarietà e di rabbia accompagnate da commossi e poderosi applausi; retorica? Certo che sì, da parte degli oratori, e gli sviluppi successivi ce lo dimostrano.
E’ successo infatti che resistenza libanese capeggiata da Hezbollah abbia tirato un brutto scherzo all’espansionismo sionista, abbia tenuto testa ad un esercito appoggiato dall’imperialismo americano ed oggi, dopo un massacro costato la vita a migliaia di civili libanesi inermi, ad Israele non resta che chiedere l’aiuto ai briganti dell’imperialismo europeo.
La missione – spacciata per missione di interposizione, in realtà finalizzata a garantire la sicurezza del nord di Israele ed a disarmare Hezbollah – mentre scrivo sta per essere approvata in Italia da Prodi con i voti di tutta la maggioranza compatta. Non solo il Prc, ma anche le sue minoranze accettano senza colpo ferire, alla faccia del no alla guerra. Stavolta non ci sono ribelli, non ci sono deboli giustificazioni di facciata, non sembra esserci neppure l’imbarazzo di assumersi la responsabilità di mandare un contingente militare a dare man forte ad uno stato genocida.
Questa volta – come la precedente, ma in maniera ancora più palese – non è l’appoggio al Governo ad essere subordinato al no alla guerra, ma il contrario: è il no alla guerra (e qualunque altra rivendicazione minima delle lotte di questi ultimi anni) ad essere sacrificato sull’altare del Governo Prodi.
Ecco dunque finalmente svelata dai fatti la nullità della proposta politica avanzata da Erre e dall’Ernesto: appoggio critico al Governo a patto che si tenga conto di obiettivi minimi da realizzare, tentativo di spostare a sinistra l’asse del gruppo dirigente del Prc, nulla di tutto ciò si è realizzato; ciò che si sta realizzando è la politica anti-operaia e guerrafondaia del Governo, con la complicità omertosa di chi si limita ad una critica sterile senza mai passare alle vie di fatto.
Un silenzio criminale
Da qualche settimana a questa parte i giornali sono pieni di dichiarazioni riguardanti la legge finanziaria che tra poco dovrà essere proposta dal Governo; inutile ribadire che si tratterà di un attacco frontale ai lavoratori, ai poveri ed agli sfruttati, su cui ricadrà l’onere di pagare il prezzo della crisi del capitalismo italiano.
Non un grido, non una voce, non un lamento si è levato dai banchi parlamentari occupati da questi sedicenti “ribelli”, di fronte a quella che si annuncia essere una stangata paragonabile solo a quella del Governo Amato nel ’92 nessuno di questi signori si è sentito in dovere di protestare, di spendere anche solo poche parole per dire la verità: che questo Governo, come il precedente, è un Governo antioperaio ed antipopolare.
Del resto, per fare una cosa del genere bisognerebbe mettere in discussione l’appoggio stesso al Governo, ma come potrebbero fare una cosa del genere, loro, condannati a rimanere minoranze di un partito malato di governismo?
Ancora una volta si conferma la giustezza e la coerenza della nostra scelta scissionista; solo rompendo col Prc e costruendo nelle lotte l’opposizione operaia a questo Governo può aprirsi lo spazio di un’alternativa vera, di un’alternativa dei lavoratori.
E’ l’appello che rivolgiamo a tutti quei compagni che sono rimasti nel Prc, e che alla luce degli eventi che abbiamo elencato, cominciano a non credere più ai loro dirigenti, opportunisti dichiarati o ribelli a parole che siano.
13/09/2006