Partito di Alternativa Comunista

Oppressione di genere: il vero nemico è il patriarcato?

Oppressione di genere: il vero nemico è il patriarcato?

 

 

 

di Laura Sguazzabia

 

 

 

Pubblichiamo qui la versione italiana di un articolo di Laura Sguazzabia scritto per lo speciale della Lit-Quarta Internazionale sull’8 marzo.

 

In Italia ogni due giorni una donna è vittima di femminicidio e sono tragicamente in aumento violenze, maltrattamenti e atti persecutori nei confronti delle donne, con un abbassamento dell’età di vittime e carnefici. La necessità di trovare risposte è diventata urgente e per questo da qualche mese si è riaperto il dibattito sul patriarcato, in un modo insolito ma purtroppo con le stesse identiche conclusioni.

 

Le premesse

Il 26 ottobre 2023 è uscito nelle sale cinematografiche italiane il film C’è ancora domani, opera prima alla regia di Paola Cortellesi, attrice molto nota in Italia. Oltre a rivelarsi campione di incassi, è diventato un caso mediatico perché raccontato e percepito come una sorta di doppio documentario sul patriarcato dell’Italia di ieri e sull’Italia di oggi. Presentato dalla stessa autrice come tentativo di dare voce a donne che «si consideravano delle nullità», il film, ambientato nella Roma del secondo dopoguerra, racconta la storia di una proletaria - vittima della violenza di un marito padrone e delle angherie del suocero - che concilia la cura della famiglia con lavori precari e mal retribuiti. L’arrivo di una misteriosa lettera (il cui contenuto è taciuto allo spettatore) è l’evento scatenante verso un finale in cui, secondo la stessa regista e co-sceneggiatrice, starebbe il significato attuale della storia: la lettera si rivela essere la tessera elettorale per la prima votazione cui le donne italiane furono chiamate nel giugno 1946.
Il 20 novembre 2023 sulle colonne di un quotidiano italiano viene pubblicata la lettera di Elena Cecchettin (sorella di Giulia, ventiduenne vittima di femminicidio per mano dell’ex fidanzato) che tenta così di elaborare il proprio dolore e perché quanto successo alla sorella non sia vano. Rispetto all’assassino della sorella scrive: «Viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro». Cita la frase «non tutti gli uomini», che ribadisce la necessità di non generalizzare quando si parla di femminicidi, per specificare però che «tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini. Nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto», suggerendo la necessità, oggi più che mai, di educare.
Il 25 novembre a Roma oltre 500 mila manifestanti hanno animato il corteo nazionale per la Giornata contro la violenza sulle donne. Le direzioni del movimento femminista italiano Nudm (Non Una Di Meno) hanno trasformato il film di Cortellesi e le parole di Cecchettin in un manifesto, richiamando il loro Piano contro la violenza di genere, stilato nel 2017, in cui si dichiara: «La violenza maschile è espressione diretta dell’oppressione che risponde al nome di patriarcato, sistema di potere maschile che a livello materiale e simbolico ha permeato la cultura, la politica, le relazioni pubbliche e private. Oppressione e ineguaglianza di genere non hanno quindi un carattere sporadico o eccezionale: al contrario, strutturale. [...] Il patriarcato, e dunque la violenza maschile, sono inoltre da sempre funzionali alle logiche del profitto e dell’accumulazione capitalistica, all’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento».
Il vero nemico da sconfiggere diventa così ufficialmente il patriarcato, un sistema che rende le donne tutte sorelle nell’oppressione esercitata dagli uomini; che pone nella differenza salariale l’unico centro della disuguaglianza sociale tra i sessi; che principalmente con l’uso del linguaggio vuole esercitare la propria coercizione sull’universo femminile. Un nemico che si può sconfiggere attraverso un'unione solida tra donne (tutte le donne di qualunque estrazione sociale), una unione alla quale gli uomini, ma solo se debitamente educati, possono dare il proprio sostegno, una unione che consenta di lottare per abbattere la disparità economica e sociale attraverso leggi, riforme e un uso più attento del linguaggio.
Politici e giornalisti si sono immediatamente prodigati in proposte ed analisi volte ad arginare il fenomeno «patriarcato».
Il capo del governo, Giorgia Meloni, ha immediatamente rassicurato l’opinione pubblica facendo votare l’ennesimo Pacchetto Sicurezza che, provenendo da un governo di destra, si limita ad inasprire le pene e le misure restrittive. Nel contempo ha varato una serie di manovre economiche che ostacolano l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, relegandole sempre più nel ruolo di madri e badanti.
L’opposizione al governo, capeggiata da una donna, Elly Schlein, ha invitato la premier a mettere da parte le differenze per votare insieme una legge sull’educazione all’affettività nelle scuole, dimenticando che l’impoverimento, non solo economico, della scuola italiana è legato ai tagli e alle riforme varati dai governi «progressisti» guidati dal suo partito.
I giornali italiani hanno sostenuto con articoli e approfondimenti la teoria del «patriarcato colpevole» oppure l’hanno affossata chiarendo che questo elimina la colpevolezza del singolo individuo. Gli uomini, famosi o meno, hanno sentito la necessità di chiedere scusa o viceversa di ribadire la propria estraneità a comportamenti propri di «altre culture».

 

Sorellanza o…?

Nudm, che si definisce «movimento politico transfemminista, intersezionale, antirazzista, antifascista, anticapitalista, autonomo da qualsiasi partito, che mira alla trasformazione radicale della società a partire dalla lotta contro la violenza maschile e di genere e contro le gerarchie sociali», ha al proprio interno differenti posizioni e soprattutto diversi modi di intendere il termine «patriarcato», riproducendo così la vaghezza con cui la parola viene utilizzata nei dibattiti sulla condizione delle donne. Di norma serve per riferirsi a tutto ciò che opprime o manifesta l'oppressione della donna in quanto tale nella società, ma molto raramente chi lo usa ha un'idea chiara di che cosa sia od è in grado di darne una definizione esatta. Questo perché non ne esiste una, unica, comune e coerente: le diverse varianti dell'ideologia femminista corrispondono a diverse interpretazioni di ciò che dovrebbe essere questa «struttura» sociale chiamata patriarcato, e di come abolirla. Il patriarcato appare piuttosto come un'idea di ciò che va cambiato socialmente, ma un’idea non sempre ben definita.
L’idea di patriarcato sottesa al film C’è ancora domani è ben definita dalle parole della stessa regista che in un’intervista ha dichiarato: «Se nasci donna fai subito parte di un movimento, stai dalla parte di chi ha subìto, non puoi ignorarlo. Nilde Iotti diceva: i diritti non sono eterni, bisogna combattere per mantenerli. Gli ultimi tempi ci hanno mostrato quanto è facile tornare indietro». Un’unione tra donne che travalica i confini di classe, per cui saranno le donne, tutte sorelle, a porre fine all’oppressione di cui soffrono. E nel caso specifico la lotta è condotta tutta internamente alla via istituzionale. La scena finale del film, quella del voto, costruita su una triangolazione di sguardi tra la protagonista (eroica nel suo gesto), il marito (furente ma che deve arretrare di fronte alla barriera che le altre elettrici ergono a difesa della nostra) e la figlia adolescente (che guarda con orgoglio l’esempio materno) - cerca di consolidare l’idea che questo momento (quello del voto per le donne italiane) abbia rappresentato una lotta esemplare da recuperare. Rimangono in sospeso però due importanti questioni: cosa è cambiato per la protagonista al rientro a casa o al lavoro e quanto quel diritto di voto ha inciso sulle vite delle proletarie italiane negli anni successivi e fino ad oggi? Quante Delia (questo il nome della protagonista) esistono ancora oggi che si barcamenano tra lavori precari e sottopagati (proprio in quanto donne), la cura della casa, l’accudimento di figli e anziani, magari accanto ad un marito violento da cui non possono sottrarsi per mancanza di alternative economiche? Ma pure queste domande non fossero sufficiente motivo di riflessione, è bene ricordare la Storia: quel dritto di voto che nel film viene sbandierato come una battaglia esemplare fu il frutto di una lotta vera di donne proletarie, le donne partigiane italiane, che credevano nella possibilità di un mondo diverso e che in nome di questo ideale hanno combattuto, rischiato o perso la vita. La risposta al finale di C’è ancora domani si può sintetizzare nelle parole di una di loro, Maria Martina Rustichelli detta Iuccia o Sonia, attiva nei Gruppi di difesa della donna e staffetta partigiana: «A volte penso: Si è fatto tanto e il mondo non è cambiato! Tanti morti, tanti sacrifici! Ma noi non ci siamo sacrificati per l’ambizione di avere qualcosa… noi donne soprattutto, non abbiamo avuto proprio niente: la parità è sulla carta, è più campata per aria che reale».
Un po’ più forte la posizione espressa dalla lettera di Elena Cecchettin che fa riferimento invece ad una vera e propria «classe» maschile, ostile a quella femminile in virtù di privilegi sociali dai quali può liberarsi solo con un’adeguata educazione: ogni uomo consapevole deve intervenire con amici e colleghi non appena senta il minimo accenno di violenza sessista. Non possiamo che concordare ed è quello che facciamo all’interno dei nostri partiti dove vige un controllo molto serrato sugli atteggiamenti sessisti, così come siamo favorevoli ad una egualitaria condivisione degli uomini nelle faccende domestiche perché si alleggerisca il doppio lavoro delle donne.
Ma combattere atteggiamenti sessisti o convincere singoli uomini ad assumersi una quota maggiore di lavoro domestico non è la risposta né la soluzione all'oppressione delle donne poiché la società nel suo insieme è fortemente permeata di maschilismo, così come di altre ideologie (razzismo, omobitransfobia, ecc). Il capitalismo, il sistema economico che la società si è data nel tempo, utilizza strumentalmente il maschilismo e rende l’oppressione delle donne funzionale alla propria sopravvivenza: non è stato un processo meccanico, ma soltanto la conseguenza della capacità del capitalismo di assumere a sé istituzioni e consuetudini precedenti alla sua comparsa - nella forma compiuta nella quale lo conosciamo - laddove possono essere utili a far profitto o a mantenere stabile l’ordinamento sociale (salvo sbarazzarsene quando non gli servono più o sono troppo difficili o costose da mantenere). Valori culturali come la fedeltà e la monogamia non hanno infatti un’origine di carattere morale o sentimentale, ma sono legati a doppio filo con l’idea di funzionalità. L'ideale della famiglia monogama si basa su un'ipocrisia fondamentale, ossia il valore della monogamia solo per la donna, ma non per l'uomo, in modo da poter controllare la discendenza. Pertanto, insieme allo sviluppo dei matrimoni monogami, è emersa la prima commercializzazione del sesso sotto forma di prostituzione - entrambi prodotti della società di classi. La monogamia e la prostituzione sono due facce di una stessa moneta, quelle che Engels chiama «contraddizioni inseparabili» dello Stato sociale. In funzione della loro origine e natura queste contraddizioni non possono essere estirpate tramite una rivoluzione soltanto etica o dei costumi, ma materiale, economica.

 

La posizione dei marxisti

Questo modo di affrontare il problema dell’oppressione delle donne, prevede la coesistenza di due sistemi, patriarcato e capitalismo, il primo più dannoso del secondo per le donne e vera causa della loro oppressione. Il patriarcato si configura così come un sistema strutturale della società, parallelo e storicamente anteriore al capitalismo, edificato nel corso del tempo sulla differenza di genere tra uomini e donne, e sul potere degli uomini sulle donne: abbattere il patriarcato diventa quindi prioritario per le donne o addirittura sostituisce la necessità di abbattere il capitalismo, attraverso una lotta comune di tutte le donne contro tutti gli uomini. Da qui l’idea che le donne si debbano organizzare tra loro, in un legame di sorellanza che individua nell’uomo il vero nemico da sconfiggere, oppure arrivando ad estremizzare questo legame, ossia che le donne costituiscano una classe che si deve scontrare con una contro classe, quella maschile, per ottenere la propria liberazione.
Lo stesso approccio viene utilizzato per porre fine al razzismo e alla xenofobia o nella lotta contro l’omobitransfobia, continuando a moltiplicare i soggetti sociali, tutti in lotta contro la loro oppressione. Così facendo, le classi sociali non sono più la categoria centrale in cui è strutturata la società. Ma il problema è che questi gruppi sono attraversati da classi sociali i cui interessi sono contrastanti. Le donne della borghesia hanno con i loro uomini legami molto forti, ne condividono gli interessi economici, sociali e politici, sono unite a loro nella difesa della proprietà privata, del profitto, del militarismo, del razzismo e dello sfruttamento di altre donne. È vero che tutte le forme di società di classe sono state dominate dagli uomini e che gli uomini sono addestrati fin dalla nascita ad essere maschilisti, ma non è vero che gli uomini in quanto tali rappresentano il principale nemico delle donne. Questo infatti eliminerebbe la moltitudine di uomini oppressi e sfruttati che sono essi stessi oppressi dal principale nemico delle donne, che è il sistema capitalista. Anche questi uomini hanno un interesse nella lotta di liberazione delle donne; possono e devono diventare alleati delle donne nella lotta verso un nuovo sistema sociale, economico e politico che permetta ad entrambi una libera ed uguale realizzazione.
Come marxisti, facciamo un uso molto attento del termine patriarcato perché rendere espliciti i concetti, stabilirne l'origine, la storia, i fondamenti, chiarire e specificare come un concetto nasce e si adatta alla realtà storica e mutevole, è fondamentale per avanzare non solo a livello empirico ma soprattutto nella lotta di classe. Per i marxisti, fin da Engels e Marx, sono le relazioni sociali della proprietà privata, e quindi la «proprietà» delle donne e l'appropriazione del lavoro altrui, che costituiscono la base materiale dell'oppressione delle donne: si tratta della famiglia patriarcale che emerge quando la filiazione femminile e il diritto materno vengono sostituiti dalla filiazione maschile e dal diritto ereditario paterno, così che il padre diventa il capofamiglia, e intorno a lui si costituisce una gens paterna. La famiglia patriarcale è caratterizzata da una accresciuta autorità e dal potere del padre sul gruppo e dall'incorporazione di membri dipendenti e sottomessi in questa struttura di dominio.
Questo tipo di famiglia sopravvive per una fase relativamente breve della storia umana perché poi si produce un grande cambiamento che cristallizzerà l'oppressione delle donne: molto rapidamente, con lo sviluppo delle forze produttive, si affermerà la società divisa in classi, e quindi un nuovo tipo di famiglia basata sul matrimonio monogamico, dove l'uomo riduce la moglie ad una proprietà e stabilisce così un'autorità ferma e diffusa nel sistema sociale. Non c’è però per i marxisti nessuna volontà di «ridurre» la questione complessa e centrale dell’oppressione femminile alla sola componente economica, ma la constatazione che lo status giuridico di inuguaglianza tra uomini e donne non è la causa dell’oppressione delle donne, ma la conseguenza dell’affermarsi della società di classi. È indiscutibile che quando si parla di oppressione delle donne non si possono utilizzare solo categorie economiche: l’oppressione è un insieme di fattori psicologici, emotivi, culturali, ideologici, che compongono la «sovrastruttura» ideologica e la cui relazione con la «struttura» economica della società è molto complessa ed è variata nelle diverse epoche storiche. Non c’è una corrispondenza diretta, tuttavia in ultima istanza (benché non meccanicamente) le leggi economiche condizionano le leggi ideologiche.
Ecco perché per noi l’unico soggetto sociale in grado di porre fine a tutte le forme di oppressione e sfruttamento è la classe operaia. Ciò non significa che non siamo d’accordo sull’unità d’azione di tutte le donne in lotte specifiche: un'unità d'azione che sosteniamo da sempre e alla quale partecipiamo, difendendo i diritti delle donne in una prospettiva di classe e rivoluzionaria.
Tuttavia, abbiamo il compito di smascherare quelle direzioni dei movimenti che tentano di spegnere la rabbia e l’energia di quanti - lavoratrici e lavoratori, studentesse e studenti, soprattutto giovani - si sono mobilitati contro la violenza e l’oppressione alla ricerca di risposte e soluzioni, un movimento potente come non si vedeva in Italia da decenni. In queste lotte c’è un potenziale rivoluzionario che per essere realizzato ha bisogno della forza di tutta la classe lavoratrice contro il capitalismo, per porre fine a ogni forma di oppressione, sfruttamento e barbarie. Per questo siamo per la costruzione di un partito rivoluzionario, di proletarie e proletari, che combatta ogni giorno ogni forma di oppressione e che diriga tutta la classe operaia a prendere il potere per porre fine al capitalismo e gettare così le basi per creare una nuova società senza sfruttamento o oppressione di alcun tipo. In questo senso, non ci stanchiamo mai di ricordare le parole di Inessa Armand, dirigente della Rivoluzione russa: «Se la liberazione delle donne è impensabile senza il comunismo, anche il comunismo è impensabile senza la liberazione delle donne».

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