Come un castello di carte, stanno crollando tutti i settori dell'economia mondiale, creando un quadro che unisce la disoccupazione ai i rincari degli alimenti, all’approfondimento della distruzione della sanità e dell'istruzione pubbliche, alla perdita accelerata dei più elementari diritti.
I numeri parlano da soli. Negli Stati Uniti, stando alle cifre ufficiali, nel 2008 si sono persi 2,6 milioni di posti di lavoro e si prevede che entro il 2009 un lavoratore su dieci rischia il posto di lavoro. In Spagna, la percentuale di disoccupazione è aumentata dal 8,7% al 14%, una cifra che arriva al 50% tra i lavoratori immigrati. In America Latina, la Cepal (Commissione economica per l'America Latina e Caraibi) prevede che il calo della disoccupazione degli ultimi anni si arresterà e che saranno in particolare i paesi per i quali l'emigrazione era una valvola di sicurezza. L’Ilo (International Labour Organization) stima che il numero dei disoccupati nel mondo crescerà di circa 50 milioni, passando da 190 a 230 milioni e che i lavoratori che vivono con meno di un dollaro aumenteranno di 40 milioni tra il 2008 e il 2009.
Il capitalismo imperialista che ha provocato questa crisi, dimostrando la sua incapacità di soddisfare i bisogni dell'umanità, ora la scarica sui lavoratori.
Spinti dalla crisi, i governi riducono sempre più il budget per la sanità e per l'istruzione. Crescono i prezzi di asili nido, dei servizi pubblici e dei trasporti. Per non parlare della cultura o del tempo libero che rimangono sempre relegati. Le opere pubbliche necessarie per proteggere le donne, come l'illuminazione di strade e piazze, sono letteralmente dimenticate. La stessa cosa avviene per ciò che attiene alla salute della famiglia, come la costruzione di nuove abitazioni, di reti fognarie, il trattamento dei rifiuti ecc.
La possibilità di avere un lavoro dignitoso che garantisca l'indipendenza finanziaria, condizione fondamentale per l'emancipazione delle donne, appare sempre più lontana non solo in Europa e negli Usa dove è il centro della crisi. Un’analisi Eclac informa che con ogni probabilità saranno colpite dalla crisi le attività con alta partecipazione di manodopera femminile, come il commercio, i servizi finanziari, l’industria tessile, l’abbigliamento. La stessa cosa si prevede per il turismo e per i servizi domestici, dove si concentra una gran parte del lavoro femminile, in particolare tra le lavoratrici immigrate.
Ma le donne che lavorano, non sono solo colpite come parte della classe operaia, ma anche come casalinghe e madri. Che conservino o meno il posto di lavoro, dovranno subire la disoccupazione di massa dei loro compagni. In molti casi, saranno costrette ad incrementare la giornata lavorativa con tutti i tipi di lavoro informale per poter mantenere la casa, mentre continueranno a caricarsi di tutte le faccende domestiche. Inoltre subiranno il progressivo deterioramento di sanità, istruzione e di tutti i servizi sociali e avranno una maggiore difficoltà a prendersi cura di bambini, adolescenti e anziani genitori. Tutto ciò è già una realtà per le donne immigrate in Europa e Stati Uniti d'America, i cui mariti sono diventati le principali vittime della crisi.
Di fronte a questa realtà, soprattutto oggi, è ipocrita la propaganda capitalista che “fa gli auguri” alle le donne nel loro giorno. Le donne lavoratrici non hanno nulla da festeggiare in questo 8 marzo. Devono soltanto lottare perché sono licenziate da fabbriche, banche, uffici, ospedali, negozi. Devono lottare perché i loro mariti rimangono sulla strada e loro sono costrette a sopportare tutto il peso della casa. Devono combattere per difendere la scuola e la sanità pubbliche perché da ciò dipende l'istruzione e la salute dei loro figli.
Con il deteriorarsi delle condizioni di vita, la mancanza di educazione sessuale e la difficoltà di accesso ai metodi di contraccezione, la maggior parte delle donne lavoratrici e povere saranno costrette a ricorrere ad aborti clandestini (o brutali metodi di aborti casalinghi) per le gravidanze indesiderate o per l'impossibilità di assicurare una vita dignitosa per i loro figli. Nel frattempo, le cliniche clandestine, continuano a guadagnare fortune grazie alla legislazione repressiva che impedisce che l'aborto venga eseguito gratuitamente negli ospedali e con le migliori condizioni mediche. Queste cliniche rappresentano la seconda fonte di affari, dopo il traffico di droga, in gran parte dei paesi coloniali e semicoloniali. Di ciò è particolarmente colpevole la Chiesa cattolica che, con la sua politica ipocrita di "difendere la vita" invia milioni di lavoratrici povere alla morte o alle mutilazioni. Sono altrettanto responsabili i governi che in primo luogo distruggono, con i loro piani, le condizioni di vita delle lavoratrici, e poi, capitolando a pressioni da parte della Chiesa e agli interessi dei proprietari di cliniche illegali, si rifiutano di depenalizzare l’aborto.
Le prime a subire questa terribile situazione sono le donne lavoratrici più povere ed emarginate, le nere, le immigrate e tra queste le più giovani. Tutte sono totalmente emarginate e dimenticate, anche da parte dei governi che pretendono di "governare per tutti", come quelli di Lula e Chavez
Solamente con un governo operaio e popolare si potrà avanzare nel cammino dell’emancipazione femminile.
Quanto più la crisi si approfondirà, tanto più crescerà la tendenza della borghesia ad imporre donne (così come neri o indigeni) nelle principali funzioni dello Stato. La partecipazione delle donne nei parlamenti e governi borghesi, anche se piccola, sta avanzando in tutto il mondo. Questo è una conseguenza distorta della lotta delle donne per la propria emancipazione. Ma le donne lavoratrici e povere non debbono farsi ingannare. Il ruolo di queste donne è dare una parvenza “femminista” per applicare, con più facilità, politiche contro le lavoratrici e le donne povere e contro tutta la classe operaia e i settori popolari. A conferma di ciò, è sufficiente citare il ruolo di Cristina Kircher in Argentina, Michele Bachelet in Cile, Dilma Roussef (una delle principali figure del governo Lula) in Brasile. Negli Stati Uniti, Hillary Clinton, rimpiazza Condoleezza Rice. Quest’ultima fu l’incaricata di applicare la politica di Bush in tutto il mondo. Ora Hillary Clinton farà lo stesso lavoro per Obama, iniziando già con l’invio di truppe in Afganistan.
Nella striscia di Gaza, donne e bambini, sono state le principali vittime dei bombardamenti israeliani. Non si sono udite in nessun luogo le grida di protesta di Condoleezza, di Hillary, né di nessun altra tra le potenti che partecipano o dirigono i governi. In Israele, Kadima, il partito di governo che promosse i bombardamenti, è guidato da una donna, Tzipi Livni, che mira a vincere le elezioni. Cosa possono aspettarsi le donne palestinesi da questa donna, che non fece nulla per fermare i bombardamenti e che pensa di formare un governo con il partito fascista Likud, di Benjamin Netanyahu?
In questo 8 marzo del 2009, quando le donne palestinesi ancora stanno cercando di riprendersi dal bagno di sangue sostenuto da Israele nella striscia di Gaza, rivolgiamo un appello alla classe operaia mondiale, specialmente alle donne lavoratrici e povere, ad appoggiare la resistenza palestinese contro la politica criminale di Israele e dell’imperialismo. Abbasso l’assedio. Perché tutti i palestinesi, soprattutto le donne incinte, possano avere libero accesso alle cure mediche! Perché si fermino immediatamente le distruzioni delle case dei palestinesi! Pene esemplari per i soldati israeliani che abusano delle donne palestinesi! Istituzione immediata di strumenti di difesa dei diritti delle donne, creazione di case di rifugio e altri servizi per proteggere le donne e i bambini dalle violenze! Che non rimanga nemmeno un soldato israeliano nella striscia di Gaza! Per la fine dello Stato sionista e genocida di Israele! Per una Palestina unica, laica, democratica e non razzista!
I problemi delle donne sono i problemi della intera classe operaia. Per fare in modo che la crisi la paghino i capitalisti che l’hanno provocata e non i lavoratori, le donne e gli uomini della classe operaia, devono rafforzare la lotta in comune contro tutte le forme di discriminazione: uguale retribuzione per uguale lavoro, nidi d’infanzia in tutti i luoghi di studio e lavoro, proporzionalità alle donne nelle direzioni sindacali; in difesa della vita delle donne: depenalizzazione dell’aborto, case protette per le donne vittime di violenza; in difesa dell’educazione e della salute pubblica: aumento immediato delle spese per la scuola e la salute. In difesa del lavoro e del salario: diminuzione dell’orario di lavoro senza riduzione del salario, scala mobile dei salari, nazionalizzazione sotto controllo operaio delle imprese che chiudono o che licenziano.
Ma la lotta sindacale non è sufficiente. E’ necessario abbattere il capitalismo e costruire una nuova società, la società socialista che non è organizzata in funzione dell’ottenimento del profitto per pochi, ma in funzione di rispondere alle necessità dell’intera umanità. La società socialista sarà realizzabile solo a partire dal trionfo della rivoluzione proletaria e popolare che ponga al potere la classe operaia. Questo non è possibile senza la partecipazione delle donne lavoratrici che sono più del 50% della classe operaia mondiale. Come fecero le operaie tessili russe, nell’ottobre del 1917, le donne devono rompere le catene della società maschilista, per occupare il posto che spetta loro nella storia.
Il trionfo della rivoluzione socialista richiede la costruzione di un partito rivoluzionario mondiale. Per fare ciò è imprescindibile la partecipazione, con ruolo dirigente, delle migliori avanguardie di lotta della classe operaia.
Con questa convinzione, in questo 8 marzo, salutando le lotte delle lavoratrici, di cui la resistenza palestinese è un simbolo, la Lit-Quarta Internazionale, riprende l’appello della Quarta Internazionale delle origini: largo alle operaie! largo alla gioventù!
Unità della classe operaia contro i licenziamenti e la perdita dei diritti!
Abbasso il capitalismo imperialista!
Viva la lotta per la rivoluzione socialista mondiale!