Tra l'ipocrisia "nonviolenta" della sinistra governista
e l'infantilismo degli sfascia-vetrine
COME RIPRENDERCI LA PIAZZA
E FAR CRESCERE IL MOVIMENTO
L'autodifesa delle manifestazioni dalla repressione
di Francesco Ricci
L'ipocrita
censura "di ogni violenza" rimbalza dall'Unità al Manifesto, da
Vendola di Sel a Ferrero di Rifondazione. La violenza a cui fanno riferimento,
neanche a dirlo, non è la violenza quotidiana del capitalismo e della sua
crisi, non sono i caroselli dei mezzi blindati della polizia in mezzo ai
manifestanti inermi a San Giovanni (questo al più è derubricato come
"problema nel coordinare le forze di polizia") ma sono i colpi di
spranga agli edifici di qualche gruppo di pseudo-anarchici che sono convinti di
abbattere il capitalismo abbattendo qualche vetrina.
Ed è normale
che sia così. La sinistra che aspira a tornare al governo, da Vendola a
Ferrero, deve dimostrarsi "responsabile". Ecco perché Vendola si dice
pronto a "estirpare la cancrena della violenza" dal movimento; mentre
Ferrero gli fa eco intonando inni al culto della "non violenza". L'unico
scopo con cui partecipano al movimento è, ancora una volta, quello di usarlo
come trampolino di lancio di un governo di alternanza per il post-Berlusconi.
Un nuovo governo di centrosinistra che gestirà le politiche anti-operaie come
già hanno fatto i vari governi di centrosinistra di tutta Europa ieri e oggi, dal
Prodi I al Prodi bis, da Zapatero a Papandreu. Ecco perché questa sinistra di
aspiranti parlamentari, ministri e sottosegretari, non può certo puntare il
dito sulla violenza ordinaria di quelle "bande armate" del capitale
che sabato non aspettavano altro che l'occasione per spezzare il corteo.
Un'occasione
prontamente offerta dai consueti gruppi in nero che non mancano mai in queste
occasioni, composti da un misto di infantili di sinistra effettivamente
esistenti e da qualche provocatore in servizio effettivo che esce da dietro le
fila degli autoblindo per aizzare lo scontro nei punti dove con più facilità il
pronto arrivo delle cariche fa disperdere l'insieme della manifestazione.
Fatto
sta che sabato ci è stata portata via la piazza e vani sono stati i tentativi
coraggiosi a San Giovanni di manifestanti giovanissimi di difendersi e cacciare
indietro l'impressionante schieramento di uomini messo in campo da Maroni e
Berlusconi. Decine di compagni sono rimasti feriti, tanti sono stati fermati.
Il Partito di Alternativa Comunista è al loro fianco, contro la repressione di
governo e padroni.
Ma di chi è
la colpa se sabato la manifestazione è stata privata della piazza? Dagli
apparati della borghesia non ci si poteva certo aspettare niente di diverso:
esistono appunto con l'unico scopo di reprimere le lotte dei lavoratori e dei
giovani. Ai cosiddetti "black block" c'è poco da spiegare: non avendo
un programma il loro scopo è la scaramuccia di piazza. Il loro spazio cresce in
proporzione allo spazio lasciato vuoto da una direzione politica rivoluzionaria.
Il problema
vero è piuttosto che sabato mancava, oltre a una piattaforma coerente della
manifestazione (ma su questo rimandiamo a quanto abbiamo scritto
nell'editoriale pubblicato sul nostro sito: http://www.alternativacomunista.it/content/view/1514/1/),
sostituita dai vari programmi della sinistra governista o semi-governista, in
cinque punti o più; sabato mancava, dicevamo, una organizzazione del corteo e
un servizio d'ordine in grado di difendere la manifestazione dalla repressione
poliziesca (e di dare un paio di pedate nel sedere agli sfasciacarrozze).
Tanto più
ipocrita risultano ora le "prese di distanza" e i
"distinguo" del Comitato 15 ottobre (che raggruppa dalla sinistra
Cgil a Usb, da Rifondazione ai centristi di Sc e Pcl attorno a una piattaforma
riformista). Sono loro che, ciascuno col proprio piccolo obiettivo di
visibilità mass-mediatica, hanno lasciato la manifestazione priva di una minima
strutturazione. Alcuni di questi da un mese indicavano come obiettivo i palazzi
del potere solo per strappare qualche citazione sui giornali, senza
preoccuparsi di come effettivamente si poteva organizzare la manifestazione e a
quel punto, viste le grandi dimensioni e la combattività di tanti giovani, anche
indirizzarla (come è stato fatto in tante piazze d'Europa in questi mesi) a
circondare il parlamento dei padroni.
L’enorme
corteo che ha attraversato le strade di Roma è stato lasciato a sé stesso: non
esisteva comunicazione tra la testa e la coda del corteo, i giovanissimi
manifestanti sono stati mandati allo sbaraglio, trovandosi contro i blindati
della polizia e dei carabinieri: sono decine e decine i manifestanti gravemente
feriti, ma non era escluso che potesse andare ancora peggio, con una triste
riedizione di ciò che successe a Genova.
Il problema
dell'organizzazione dei cortei e della loro autodifesa dalle bande del
Capitale, cioè il problema di come organizzare la forza delle masse, insieme a
quello di sviluppare un coerente programma contro il capitalismo si porrà di
nuovo nelle prossime settimane. Il livello della lotta di classe è destinato ad
alzarsi anche in Italia, dove pure gli ostacoli da infrangere sono più numerosi
che altrove (perché più forte che altrove è il ruolo narcotizzante delle
burocrazie e micro-burocrazie sindacali e quello della sinistra governista).
Si tratta
infatti di un problema strategico perché gli espropriatori non si faranno
espropriare in modo indolore: le classi dominanti useranno in ogni modo tutti
gli apparati di cui dispongono per frenare le lotte.
La
manifestazione del 15 ottobre deve essere solo l’inizio di un percorso di
lotta. Perché la protesta possa crescere, estendersi e radicarsi, unire
studenti e lavoratori, è necessario che si doti di un altro programma e di
un’altra organizzazione. Occorre un programma rivoluzionario e anticapitalista,
che non permetta ai vari Vendola e Ferrero di giocare sulla pelle dei giovani
indignati, cioè un programma che rivendichi l’esproprio della grande industria
e delle banche. Occorre inoltre arrivare alle prossime manifestazioni
preparati, porre all’ordine del giorno in ogni assemblea e mobilitazione la questione
centrale dell’autodifesa.
Soprattutto
non si può pensare di far crescere un movimento di massa lasciandone la
direzione in mano ai dirigenti politici e sindacali dei vari gruppi (peraltro
minoritari) della sinistra riformista e centrista che mirano solo a dare
visibilità ai propri leader. Bisogna invece creare comitati di
"indignati" in ogni città in cui sia possibile un reale confronto
democratico tra tutte le posizioni, siano esse di singoli o di partiti o
organizzazioni, e in cui a decidere siano i presenti, una testa un voto (non
riproponendo il metodo già sperimentato coi "social forum", in cui
l'assemblea discute e dietro le quinte gli pseudo-leader decidono). E poi
costruire un comitato nazionale che rappresenti tutti i comitati locali, sempre
sulla base della più ampia democrazia.
Per
parte nostra, come Pdac, continueremo, come abbiamo fatto sabato in piazza, ad
avanzare la nostra proposta comunista e internazionalista per guadagnare quello
che resta l'unico obiettivo realistico a fronte dell'imputridimento del
capitalismo e qundi, per usare le parole del Manifesto scritto da Marx ed Engels più di un secolo e mezzo fa:
"la violenta sovversione del tradizionale ordinamento sociale". Cioè
a dire: la rivoluzione.