Partito di Alternativa Comunista

COME RIPRENDERCI LA PIAZZA

Tra l'ipocrisia "nonviolenta" della sinistra governista

e l'infantilismo degli sfascia-vetrine

COME RIPRENDERCI LA PIAZZA

E FAR CRESCERE IL MOVIMENTO

L'autodifesa delle manifestazioni dalla repressione

 


 

 

 

di Francesco Ricci

 

 

pdac15ottobre

 

L'ipocrita censura "di ogni violenza" rimbalza dall'Unità al Manifesto, da Vendola di Sel a Ferrero di Rifondazione. La violenza a cui fanno riferimento, neanche a dirlo, non è la violenza quotidiana del capitalismo e della sua crisi, non sono i caroselli dei mezzi blindati della polizia in mezzo ai manifestanti inermi a San Giovanni (questo al più è derubricato come "problema nel coordinare le forze di polizia") ma sono i colpi di spranga agli edifici di qualche gruppo di pseudo-anarchici che sono convinti di abbattere il capitalismo abbattendo qualche vetrina.
Ed è normale che sia così. La sinistra che aspira a tornare al governo, da Vendola a Ferrero, deve dimostrarsi "responsabile". Ecco perché Vendola si dice pronto a "estirpare la cancrena della violenza" dal movimento; mentre Ferrero gli fa eco intonando inni al culto della "non violenza". L'unico scopo con cui partecipano al movimento è, ancora una volta, quello di usarlo come trampolino di lancio di un governo di alternanza per il post-Berlusconi. Un nuovo governo di centrosinistra che gestirà le politiche anti-operaie come già hanno fatto i vari governi di centrosinistra di tutta Europa ieri e oggi, dal Prodi I al Prodi bis, da Zapatero a Papandreu. Ecco perché questa sinistra di aspiranti parlamentari, ministri e sottosegretari, non può certo puntare il dito sulla violenza ordinaria di quelle "bande armate" del capitale che sabato non aspettavano altro che l'occasione per spezzare il corteo.
Un'occasione prontamente offerta dai consueti gruppi in nero che non mancano mai in queste occasioni, composti da un misto di infantili di sinistra effettivamente esistenti e da qualche provocatore in servizio effettivo che esce da dietro le fila degli autoblindo per aizzare lo scontro nei punti dove con più facilità il pronto arrivo delle cariche fa disperdere l'insieme della manifestazione.
Fatto sta che sabato ci è stata portata via la piazza e vani sono stati i tentativi coraggiosi a San Giovanni di manifestanti giovanissimi di difendersi e cacciare indietro l'impressionante schieramento di uomini messo in campo da Maroni e Berlusconi. Decine di compagni sono rimasti feriti, tanti sono stati fermati. Il Partito di Alternativa Comunista è al loro fianco, contro la repressione di governo e padroni.
Ma di chi è la colpa se sabato la manifestazione è stata privata della piazza? Dagli apparati della borghesia non ci si poteva certo aspettare niente di diverso: esistono appunto con l'unico scopo di reprimere le lotte dei lavoratori e dei giovani. Ai cosiddetti "black block" c'è poco da spiegare: non avendo un programma il loro scopo è la scaramuccia di piazza. Il loro spazio cresce in proporzione allo spazio lasciato vuoto da una direzione politica rivoluzionaria.
Il problema vero è piuttosto che sabato mancava, oltre a una piattaforma coerente della manifestazione (ma su questo rimandiamo a quanto abbiamo scritto nell'editoriale pubblicato sul nostro sito: http://www.alternativacomunista.it/content/view/1514/1/), sostituita dai vari programmi della sinistra governista o semi-governista, in cinque punti o più; sabato mancava, dicevamo, una organizzazione del corteo e un servizio d'ordine in grado di difendere la manifestazione dalla repressione poliziesca (e di dare un paio di pedate nel sedere agli sfasciacarrozze).
Tanto più ipocrita risultano ora le "prese di distanza" e i "distinguo" del Comitato 15 ottobre (che raggruppa dalla sinistra Cgil a Usb, da Rifondazione ai centristi di Sc e Pcl attorno a una piattaforma riformista). Sono loro che, ciascuno col proprio piccolo obiettivo di visibilità mass-mediatica, hanno lasciato la manifestazione priva di una minima strutturazione. Alcuni di questi da un mese indicavano come obiettivo i palazzi del potere solo per strappare qualche citazione sui giornali, senza preoccuparsi di come effettivamente si poteva organizzare la manifestazione e a quel punto, viste le grandi dimensioni e la combattività di tanti giovani, anche indirizzarla (come è stato fatto in tante piazze d'Europa in questi mesi) a circondare il parlamento dei padroni.
L’enorme corteo che ha attraversato le strade di Roma è stato lasciato a sé stesso: non esisteva comunicazione tra la testa e la coda del corteo, i giovanissimi manifestanti sono stati mandati allo sbaraglio, trovandosi contro i blindati della polizia e dei carabinieri: sono decine e decine i manifestanti gravemente feriti, ma non era escluso che potesse andare ancora peggio, con una triste riedizione di ciò che successe a Genova.
Il problema dell'organizzazione dei cortei e della loro autodifesa dalle bande del Capitale, cioè il problema di come organizzare la forza delle masse, insieme a quello di sviluppare un coerente programma contro il capitalismo si porrà di nuovo nelle prossime settimane. Il livello della lotta di classe è destinato ad alzarsi anche in Italia, dove pure gli ostacoli da infrangere sono più numerosi che altrove (perché più forte che altrove è il ruolo narcotizzante delle burocrazie e micro-burocrazie sindacali e quello della sinistra governista).
Si tratta infatti di un problema strategico perché gli espropriatori non si faranno espropriare in modo indolore: le classi dominanti useranno in ogni modo tutti gli apparati di cui dispongono per frenare le lotte.
La manifestazione del 15 ottobre deve essere solo l’inizio di un percorso di lotta. Perché la protesta possa crescere, estendersi e radicarsi, unire studenti e lavoratori, è necessario che si doti di un altro programma e di un’altra organizzazione. Occorre un programma rivoluzionario e anticapitalista, che non permetta ai vari Vendola e Ferrero di giocare sulla pelle dei giovani indignati, cioè un programma che rivendichi l’esproprio della grande industria e delle banche. Occorre inoltre arrivare alle prossime manifestazioni preparati, porre all’ordine del giorno in ogni assemblea e mobilitazione la questione centrale dell’autodifesa.
Soprattutto non si può pensare di far crescere un movimento di massa lasciandone la direzione in mano ai dirigenti politici e sindacali dei vari gruppi (peraltro minoritari) della sinistra riformista e centrista che mirano solo a dare visibilità ai propri leader. Bisogna invece creare comitati di "indignati" in ogni città in cui sia possibile un reale confronto democratico tra tutte le posizioni, siano esse di singoli o di partiti o organizzazioni, e in cui a decidere siano i presenti, una testa un voto (non riproponendo il metodo già sperimentato coi "social forum", in cui l'assemblea discute e dietro le quinte gli pseudo-leader decidono). E poi costruire un comitato nazionale che rappresenti tutti i comitati locali, sempre sulla base della più ampia democrazia.
Per parte nostra, come Pdac, continueremo, come abbiamo fatto sabato in piazza, ad avanzare la nostra proposta comunista e internazionalista per guadagnare quello che resta l'unico obiettivo realistico a fronte dell'imputridimento del capitalismo e qundi, per usare le parole del Manifesto scritto da Marx ed Engels più di un secolo e mezzo fa: "la violenta sovversione del tradizionale ordinamento sociale". Cioè a dire: la rivoluzione.

 

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