di Pia Gigli
Il documento di Epifani: subalternità a governo e Confindustria
E’ iniziato a tutti gli effetti il congresso della Cgil che sfocerà a maggio nell’assise nazionale. Il 23 novembre il Direttivo nazionale ha approvato i testi definitivi dei documenti congressuali.
Il documento di Epifani rivendica questa strategia e lascia a un futuro lontano la “riconquista di un nuovo quadro di regole”. Come, d’altra parte, lascia ad un futuro lontano il contrasto alla controriforma del lavoro pubblico voluta dal ministro Brunetta che pone una pietra tombale al ruolo del sindacato nel pubblico impiego e distrugge la dignità dei lavoratori.
Niente conflitto, ricucitura con Cisl e Uil, riconquista di una sedia al tavolo con Governo e Confindustria: questi sono gli obiettivi della Cgil espressi in sostanza nel documento di maggioranza e ribaditi nella pratica. Lo dimostrano le dichiarazioni di Epifani al termine della manifestazione del 14 novembre dove “manda a dire” a Cisl e Uil che qualora “volessero fare uno sciopero generale sul fisco, la Cgil è pronta ed è in prima fila” ed il rifiuto netto dello sciopero generale richiesto dalla minoranza congressuale con un ordine del giorno proprio nell’ultimo direttivo nazionale del 23 novembre.
Ma se sulla strategia del documento di Epifani non c’è da stare allegri, il documento di minoranza “La Cgil che vogliamo” risulta “alternativo” soltanto nominalmente, mentre sarebbe stata necessaria una rottura decisa con le politiche di collaborazione di classe della Cgil, che potesse dare una risposta vera agli attacchi di governo e Confindustria al mondo del lavoro.
Come compagni del Pdac, insieme ad altri compagni attivi nella Rete 28 Aprile, abbiamo tentato di contrastare questo esito aprendo una battaglia all’interno della Rete fin da quando ci è stato chiaro che si sarebbe andati ad un documento di compromesso sui contenuti. Per noi un vero documento di opposizione avrebbe dovuto denunciare le politiche di collaborazione di classe seguite dalla maggioranza della Cgil (i cui effetti nefasti si sono avuti anche quando era al governo una coalizione di centrosinistra). Avrebbe dovuto rivendicare una totale indipendenza del sindacato e dei lavoratori nei confronti di ogni governo borghese e dei partiti che lo sostengono. Avrebbe dovuto lanciare una proposta volta allo scontro, non all’accomodamento, con l’avversario di classe, la grande borghesia imperialista italiana, riprendendo in maniera seria e conseguente la parola d’ordine che da ormai oltre un anno, segna le mobilitazioni di giovani, studenti e disoccupati: “Non pagheremo noi la vostra crisi”.
Per fare ciò, avrebbe dovuto presentare un programma di rivendicazioni di carattere chiaramente classista, per l’abolizione di tutte le leggi che hanno creato la precarietà nel mondo del lavoro (Treu e Biagi), per la cancellazione della legislazione razzista che condanna ad un feroce sfruttamento e alla marginalità sociale milioni di lavoratori immigrati (Turco Napoletano e Bossi Fini), per la rivendicazione di consistenti aumenti salariali volti a recuperare il potere d’acquisto perso dai lavoratori fin dai tempi degli accordi di luglio del 92/93, per un ritorno ad un sistema pensionistico totalmente pubblico, basato sul sistema ridistributivo e per il diritto alla pensione per tutti dopo 35 anni di lavoro. Avrebbe dovuto rivendicare investimenti nella scuola, nella sanità e nel trasporto pubblico. Avrebbe dovuto rivendicare l’occupazione e la nazionalizzazione senza indennizzo delle aziende che licenziano o mettono in mobilità i lavoratori.
Abbiamo tentato di aprire una discussione all’interno della Rete affinché, eventuali alleanze a partire dalla Fiom, si componessero su contenuti classisti ed abbiamo esplicitato le nostre posizioni in un documento di discussione presentato alla Festa della Rete di Collecchio nel mese di agosto (il documento è visibile sul sito http://www.areaclassistacgil.org/). In quel documento criticavamo la scelta dei dirigenti della Rete (essenzialmente Cremaschi), a fronte della volontà dichiarata fin dall’assemblea nazionale di Milano (maggio 2009) di presentare un proprio documento congressuale, di costruire un’alleanza interna alla Cgil, oltre che con la Fiom, anche con settori e categorie ben distanti dagli orientamenti della Rete (Fp, bancari, ex componenti della segreteria nazionali defenestrati da Epifani), essenzialmente pezzi di apparato, facendo intravedere un’alleanza di vertice, tutta burocratica, finalizzata a guadagnare spazi interni all’assetto dirigenziale della Cgil. Abbiamo affermato la necessità di una proposta autonoma della Rete elaborato su contenuti di classe e con una prospettiva apertamente antiburocratica, che rompesse definitivamente con la concertazione e che trovasse nel conflitto e anche nel coordinamento con il sindacalismo di base un terreno di unificazione delle lotte. Un documento rivolto in primo luogo ai lavoratori e non ai gruppi dirigenti e che a partire da qui potesse costruire eventuali alleanze.
Ma la scelta dell’”ampia alleanza” da parte della Rete 28 Aprile ha seguito un iter complessivamente non democratico che sconta, tra l’altro, una insufficiente costruzione e strutturazione dell’area nei territori e nelle categorie. Un iter nel quale non si è aperta una reale discussione complessiva sugli orientamenti congressuali, prefigurandone gli esiti fin dall’assemblea nazionale di Milano, non si è discussa nessuna bozza o proposta di testo congressuale (pur frutto di elaborazione con altre componenti) da parte di tutti i compagni della Rete, anzi, a decisione evidentemente già presa e a soli cinque giorni dalla presentazione in Commissione politica del documento precongressuale a firma di Cremaschi, Rinaldini (Fiom), Moccia (Fisac), Podda (Fp), Casavecchia, Peroni (26 ottobre), si è voluto dare una ratifica del tutto formale alla “ampia alleanza” con una “consultazione” (telefonica) del solo gruppo di continuità nazionale.
A differenza di altre posizioni interne alla Rete che si definiscono rivoluzionarie, ma che nei fatti non hanno in alcun modo portato avanti una battaglia conseguente, né hanno contrastato in alcun modo il portavoce Giorgio Cremaschi nelle sue pratiche e nelle sue proposte, e che hanno anzi dato una copertura "di sinistra" al tutto (è quanto hanno fatto i dirigenti del Pcl con maggior zelo, seguiti da quelli di Sinistra Critica e di Falcemartello), noi abbiamo invece ribadito le nostre posizioni programmatiche in un ordine del giorno presentato alla riunione del gruppo di continuità della Rete il 20 novembre (odg che pubblichiamo qui sotto).
Di fronte al difficile quadro sociale che stiamo vivendo, ma anche di fronte alle numerose lotte che stanno prendendo piede nel Paese, crediamo che debbano essere combattute tutte le tendenze a ridurre il ruolo del sindacato a quello di “pacificatore sociale”. A chi ci dice che la battaglia è "in salita" e che siamo degli illusi, diciamo che i milioni di lavoratori iscritti alla Cgil devono poter lottare per una prospettiva diversa del proprio sindacato che veda la rottura della collaborazione di classe. Per questo sosterremo il documento contrapposto ad Epifani, ma continueremo la nostra battaglia in Cgil per la costruzione di una vera area classista.
Di fronte ad un testo avanzato dalla maggioranza del Direttivo nazionale, che nella sostanza ricalca e rivendicata la politica seguita dal sindacato negli ultimi quindici anni, una scelta differente sarebbe stata grave e incomprensibile non solo per tutti i settori più combattivi e di avanguardia del nostro sindacato, ma anche per quei lavoratori e disoccupati che guardano con attenzione alle scelte della nostra confederazione.
Tuttavia pensiamo che questa battaglia congressuale corra il serio rischio di essere “incompiuta”, cioè di non trarre le necessarie conclusioni che la situazione politica e sociale, italiana e internazionale, impongono. Di fronte all'attacco frontale, inasprito dalla crisi, che il capitalismo sta sferrando contro i lavoratori, le risposte del sindacato dovrebbero essere all'altezza della sfida.
In questo quadro le proposte avanzate nel documento di minoranza ci sembra che assomiglino a "pannicelli caldi", non in grado di fornire quelle rivendicazioni che potrebbero mobilitare i lavoratori su una chiara piattaforma anticapitalista. Il documento alternativo presentato, non risponde al compito generale di una rottura di linea politica di cui la CGIL necessita - e che la Rete 28 Aprile, pur non in modo autosufficiente, si era candidata a rappresentare -, né di una riforma in senso antiburocratico.
Solo un chiaro programma di rivendicazioni sindacali insieme a nuovo modo di condurre la lotta sindacale per raggiungere gli obbiettivi e i programmi dichiarati, che avessero come idea finale “la crisi la paghino i padroni”, potrebbero assolvere a questo compito.
- Quindi, invece di limitarsi ad avanzare una proposta vaga sul superamento della legge 30 (Biagi), bisognerebbe rivendicare l’abolizione di tutte le leggi che hanno introdotto la precarietà nel mondo del lavoro (a partire dal famigerato pacchetto Treu), e la relativa stabilizzazione con contratto di lavoro a tempo indeterminato per i milioni di lavoratori che oggi non sanno se il loro contratto a termine verrà mai rinnovato.
- Piuttosto che proporre un rafforzamento degli ammortizzatori sociali, di fronte alle migliaia di imprese che licenziano o ricorrono alla cassa integrazione, bisogna avanzare le parole d’ordine dell’occupazione delle fabbriche, della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario fino al totale riassorbimento della disoccupazione (scala mobile dell’orario di lavoro).
- Per aumentare il potere d’acquisto dei salari, falcidiato da anni di rinnovi contrattuali figli della politica della concertazione sindacale dei primi anni ‘90 (che è servita come base per l’ultimo rinnovo contrattuale dei bancari, e per la stessa piattaforma presentata dalla FIOM), richiedere consistenti aumenti salariali minimi a livello intercategoriale di 400 euro mensili.
Abbiamo necessità di un programma che non si limiti ad essere solo una generica e utopica richiesta di eliminazione degli aspetti peggiori del sistema capitalistico, né un’altrettanto astratta rivendicazione di un altro mondo possibile, relegato ad un lontano e incerto futuro. No: serve una piattaforma che nella complessità della sua articolazione abbia la possibilità di creare quel blocco sociale alternativo e anticapitalista, non genericamente "autonomo dai partiti" ma coerentemente autonomo dai partiti della borghesia, dal suo Stato, dai suoi governi; indipendente anche da quelle organizzazioni che parlano in nome dei lavoratori ma nei fatti subordinano gli interessi delle classi subalterne a quelli delle classi dominanti sostenendo i governi "progressisti" nel gioco dell'alternanza padronale.
Una battaglia, quella della R28A, che abbiamo condiviso fin dal suo nascere e che continueremo a sostenere, consapevoli della assoluta necessità dell’esistenza di una sempre più forte area classista nel più grande sindacato italiano.