Un'altra faccia della crisi del capitalismo
di Alberto Madoglio
Da un semplice piccolo episodio di "immoralità" sportiva (un colloquio troppo amichevole tra controllato e controllore) si è via via presa visione di un sistema basato sulla truffa, la corruzione, la frode, insomma tutti gli ingredienti tipici di ogni crisi capitalistica, perché di ciò in realtà si tratta, e non solamente di campionati il cui risultato finale era in qualche modo predefinito.
Una premessa: anche quando parliamo di sport professionistico, di calcio nel caso specifico, si possono ritrovare i tratti fondamentali che regolano un'impresa di mercato:
- concorrenza spietata tra le varie aziende (squadre) per guadagnare quote di mercato (tifosi) e massimizzare i propri profitti;
- concentrazione di capitale in un numero sempre più ristretto di aziende (squadre), che porta alla creazione di un vero e proprio monopolio;
- centralizzazione del capitale, in quanto gli interessi economici delle squadre di calcio, almeno di quello che ha dato vita al monopolio sopra citato, non sono limitate all'ambito sportivo, ma spaziano dal settore immobiliare a quello della distribuzione commerciale, dalle telecomunicazioni e televisioni fino ad arrivare alla finanza vera e propria, nel caso delle squadre che sono quotate in borsa;
- sovrapproduzione, ci sono più aziende (squadre) che producono merci (partite) di quante il mercato ne possa consumare;
- infine, la creazione di un vero e proprio, anche se piccolo, esercito di riserva, composto dai calciatori disoccupati.
Certo, alcune di queste leggi fondamentali del capitalismo sono temperate dalla particolarità del settore economico di cui stiamo trattando (è impensabile un campionato solo di 4 o 5 squadre, col fallimento di tutte le altre, anche se a ciò si potrà arrivare con la nascita di un campionato europeo, unico caso forse in cui gli interessi del capitalismo nazionale sono troppo deboli per impedire una contrazione su più larga scala), ma la sostanza non cambia.
Chiarito questo punto, ci è più facile capire che non di semplice frode sportiva si tratta, ma di una vera e propria crisi di un sistema economico. D'altra parte che il calcio professionistico non navigasse in buone acque era chiaro da molto tempo. Tutte le società hanno i (loro) bilanci in forte perdita; per sopravvivere hanno dovuto far ricorso ad un forte indebitamento con le banche e ad aiuti di Stato (anni fa è stata varata una legge "ad hoc" che consentiva alle società di calcio di spalmare le perdite nei bilanci approvati nei cinque anni successivi l'entrata in vigore della norma).
Queste soluzioni sono servite solo a spostare in là nel tempo il momento della resa dei conti, che oggi, anche grazie allo scandalo sopraccitato, sembra essere arrivata.
Sicuramente, anche il prezzo di questa crisi verrà fatto pagare ai lavoratori. Difficilmente le grandi famiglie della borghesia italiana che sono proprietarie dei maggiori club calcistici (Agnelli, Della Valle, Berlusconi, Moratti, per citare solo le più note), si faranno carico di risanare le loro aziende. Al contrario, costringeranno le banche loro creditrici a rifarsi sui piccoli correntisti per recuperare le somme prestate: con quelle quotate in borsa che speculeranno sul calo delle azioni per trasferire sui piccoli risparmiatori le perdite di capitale. Tutte chiederanno poi al governo ulteriori aiuti sotto forma di sgravi e condoni, per vedersi cancellare il debito miliardario da loro creato verso l'erario per tasse e contributi pensionistici non pagati; e il governo Prodi, ne siamo certi, cercherà di inserire il prezzo di questo ennesimo aiuto di Stato alla borghesia nella finanziaria di settembre, se non addirittura nella manovra correttiva di bilancio che quasi certamente verrà varata prima dell'estate.
Anche contro questo ennesimo furto ai danni dei lavoratori è indispensabile una risposta di classe. Una risposta che faccia capire ai milioni di operai, giovani, disoccupati che con passione seguono gli eventi sportivi, che, se vogliono riappropriarsi di uno dei loro maggiori momenti di svago, devono con ogni evidenza lottare per la distruzione di un sistema che corrompe ogni attività umana.
L'intreccio tra politica borghese (che negli anni ha utilizzato per i propri scopi il consenso tra le masse popolari per il calcio, vedi tra tutti il caso Berlusconi), capitalismo e sport si è fatto sempre più inestricabile e anche in questo campo ogni vera "riforma di sistema" non può che passare per una azione rivoluzionaria delle masse sfruttate.
Perché è palese che crisi industriale (Fiat), bancaria (BNL, Unipol) e, in ultimo, quella del calcio sono figlie della più generale crisi che il capitalismo italiano sta attraversando negli ultimi anni.
Con buona pace di chi sostiene che nello sport non esistono interessi di classe.