GLI SCONTRI TRA I GRUPPI CAPITALISTICI
di Francesco Fioravanti
La "vicenda Telecom" è riuscita a catalizzare intorno a sé
l'attenzione del mondo politico e finanziario, scatenando furiose polemiche fra
i due poli e all'interno della stessa maggioranza di governo, e riaprendo un
dibattito, quello sulla crisi strutturale del capitalismo italiano, dal quale
emerge con chiarezza la consapevolezza generale della fragilità intrinseca a un
sistema che si caratterizza per la scarsezza dei capitali necessari a emergere
all'interno di un mercato mondiale nel quale pochi grandi gruppi nazionali si
confrontano nei settori vitali della moderna economia capitalistica.
Ripercorrendo la storia recente della maggiore azienda
italiana di telecomunicazioni, risulta subito evidente come l'intrecciarsi di
interessi politici ed economici ne abbia costantemente determinato le sorti,
andando ad influenzare in profondità gli equilibri di un settore industriale
dotato di un proprio notevole peso specifico; parte integrante com'è di quel
generale processo di riorganizzazione di un capitalismo tricolore sconvolto
nell'ultimo ventennio da scandali, crack e tentativi di ascesa di nuovi
parvenus. Se si procede anche in una superficiale analisi dei più
importanti avvenimenti economici italiani degli ultimi anni, non si può non
cogliere un sottile filo-conduttore che evidenzia come questo stesso processo di
riassestamento avvenga con la partecipazione attiva dei soliti protagonisti
politici. Basti qui ricordare tre avvenimenti particolarmente significativi: la
prima scalata a Telecom condotta da Roberto Colannino e dai suoi amici della
"razza padana", attuata sotto la supervisione appassionata di D'Alema e della
burocrazia dirigente dei Ds; la privatizzazione di Autostrade, gentile dono
dello stesso D'Alema alla famiglia Benetton; ed infine la fusione avvenuta lo
scorso mese fra San Paolo-Imi e Banca Intesa, espressioni entrambe di quella
"finanza bianca" che ha in Romano Prodi il suo principale alfiere.
Il terremoto che, a partire dai primi anni Novanta, ha
investito il mondo della politica e degli affari ha modificato profondamente le
relazioni fra queste due entità, andando a ridisegnare nel suo complesso
l'intero quadro politico italiano. La grande borghesia, rimasta orfana della Dc,
cerca oggi nuovi rappresentanti in grado di difendere coerentemente i suoi
interessi particolari. La futura nascita del partito Democratico in questo senso
risponderebbe a un bisogno oggettivo di rappresentanza politica delle classi
dominanti, ecco perché esso è diventato l'orizzonte strategico dei suoi più
fedeli interlocutori istituzionali. Ma la formazione di questo nuovo soggetto
non può avvenire senza che prima si delineino chiaramente i reali rapporti di
forza al suo interno: i campioni della "finanza bianca" (Prodi e Margherita) e
quelli della "finanza rossa" (Ds) sono diventati inevitabilmente concorrenti per
la conquista dell'egemonia. Egemonia che si ottiene attraverso la battaglia
quotidiana per ottenere il consenso dei salotti che contano. Egemonia che
significa capacità d'influenza dal punto di vista economico e politico. Nemmeno
l'"Affare Telecom" è analizzabile al di fuori di questa realtà; al contrario,
esso deve essere considerato come un importante tassello di un puzzle intricato
e difficile da scandagliare. Proviamo a ricostruirne brevemente le tappe
fondamentali e a fare un po' di luce su alcuni episodi che hanno destato
scalpore.
Tutto sembrerebbe avere inizio con la decisione presa da
Tronchetti Provera - formalizzata nel Cda dell' 11 settembre di riorganizzare
l'assetto interno di Telecom, scorporando la telefonia mobile dalla rete fissa e
collocandole in due società separate, con un'evidente retromarcia rispetto al
piano presentato due anni fa che portò alla scomparsa di Tim come entità
autonoma. Gli osservatori più attenti, a cominciare dal mondo politico, hanno
letto in questa decisione la volontà da parte del patron di Pirelli di vendere
la rinata Tim, che, alle attuali condizioni, passerebbe quasi certamente in mani
straniere. Alcuni giorni dopo, il Corriere della Sera pubblica i
dettagli di un piano fatto pervenire a Tronchetti Provera da Angelo Rovati,
amico e consigliere del Presidente del Consiglio Romano Prodi. In questo piano
viene prospettata la possibile acquisizione di Tim da parte dello Stato
attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, una società pubblica nata sotto impulso
dell' ex-ministro dell'economia Giulio Tremonti. Immediatamente si sollevano le
critiche dell'opposizione e degli stessi partiti che compongono la maggioranza
di centrosinistra: ad aprire il "fuoco amico" contro Prodi sono in particolar
modo i Ds, che attraverso il noto economista Nicola Rossi invocano la necessità
di una sconfessione aperta dell'operato di Rovati da parte del presidente del
Consiglio e arrivano a chiedere esplicitamente le dimissioni del suo fido
consigliere. Le polemiche, all'interno della coalizione di governo, sembrano
attenuarsi solo in seguito alle dimissioni di Tronchetti Provera -sostituito
da un uomo vicino a D'Alema, Guido Rossi e all'audizione del Presidente del
Consiglio alla Camera.
Certo è che, nonostante le smentite di Prodi, il progetto
elaborato da Rovati non sembra essere solamente il frutto dei suoi personali
passatempi. Soprattutto se si considera il fatto che due banche storicamente
vicine al "Professore" come Intesa e Unicredito escono in questi stessi giorni
dalla società che controlla il 18% del pacchetto azionario di Telecom la
Olimpia mettendo l'azienda stessa in ancora maggiore difficoltà con le banche
creditrici (il totale del debito di Telecom Italia ammonta oggi a 41 mld di
Euro). L'obiettivo sembra abbastanza chiaro: aprire le porte della società
telefonica a nuovi soci che premono per entrare a prezzi stracciati. Chi oggi in
Italia dispone dei capitali necessari e degli appoggi politici per portare a
termine un'operazione tanto complessa? Presto detto: quelle stesse banche che si
sono messe in evidenza di recente per acquisizioni e fusioni che stanno facendo
nascere anche nella Penisola quei colossi finanziari in grado di muoversi da
predatori all'interno del mercato europeo e mondiale. E' fantapolitica
prospettare un'acquisizione statale della maggiore azienda di telecomunicazioni
del Paese che poi verrebbe rivenduta a "prezzi da amico" ai privati in grado di
sostenere economicamente un'operazione del genere? No. Certo oggi questa
incontrerebbe maggiori resistenze, ma la storia personale del Presidente del
Consiglio non smentisce questa ipotesi, anzi la avvalora e le dà ulteriore
forza. Soprattutto se si considera il fatto che lo stesso Prodi deve
necessariamente rafforzare la sua posizione nei confronti dei Ds e di alcuni
settori della stessa Margherita, più interessati ad indebolirlo che a farlo
rimanere a lungo ben saldo al timone della coalizione. Perché, come dicevamo
prima, la partita per i futuri assetti del centrosinistra è tutt'altro che
chiusa.
Per quanto ci riguarda, i giochi di potere che muovono le
azioni dei politici borghesi e dei consigli d'amministrazione delle grandi
imprese ci interessano solo a partire dalla constatazione che, come sempre
accade, a pagare il conto di queste manovre sono sempre gli stessi soggetti
sociali: i lavoratori e le lavoratrici.
Di solito accade che quando il futuro di
un'azienda viene messo in discussione si comincia a parlare di tagli al
personale, necessari, secondo i padroni, ad affrontare le fasi critiche e a
superare le difficoltà. In risposta a questa ipotesi lo scorso 3 ottobre è stato
indetto dai sindacati uno sciopero al quale ha partecipato l'80% circa dei
dipendenti di Piazza Einaudi. Noi diciamo che non basta. Da parte del mondo del
lavoro serve un'azione più incisiva che sia in grado di porre un freno ad una
situazione divenuta ormai insostenibile: gli oscuri intrighi della finanza e dei
suoi governi non possono continuare a penalizzare le condizioni di vita delle
classi sfruttate. Va rilanciata la mobilitazione di piazza, a partire dalla
necessità impellente di opporsi alla nuova finanziaria di lacrime e sangue
varata da Padoa-Schioppa e dal suo governo col sostegno del Prc. Un Prc che,
come direbbe il ministro Di Pietro, con gli interessi dei lavoratori "che
c'azzecca?"