Partito di Alternativa Comunista

Sul "grillismo"

Sul "grillismo"

 

di Claudio Mastrogiulio

Nelle ultime elezioni amministrative un nuovo elemento s'è prepotentemente affermato sullo scenario politico italiano. Grillo, con il Movimento 5 Stelle (M5S) ha rappresentato, indipendentemente dalla visuale da cui lo si osserva, un aspetto deflagrante rispetto ad alcune dinamiche precostituite. Per capire l'exploit elettorale del grillismo occorre prendere in considerazione tre elementi di fondo.

 

Il primo: la crisi economica

Il primo di questi si concretizza certamente nella devastante crisi economica che sta colpendo l'intera economia europea (è di questi giorni l'annuncio del quasi-default della Spagna). In un momento in cui tutti gli equilibri formali dell'assetto politico-economico ed istituzionale sembrano essere messi in discussione, il M5S appare, agli occhi dell'opinione pubblica, come una possibile risposta allo stato di cose attuale. Questo movimento politico trova spazio nella misura in cui vengono imposti sacrifici inauditi ai lavoratori ed alle masse popolari italiane (in questo caso). La crisi di legittimazione e di consensi che colpisce i partiti dominanti (Pd e Pdl), architravi su cui poggia il governo Monti, aprono ampi spazi di manovra ad un'organizzazione, come il M5S che si propone come una novità del quadro generale. Come accadde con Berlusconi nel 1994, di fronte ad una crisi profonda dell'economia e, soprattutto, dell'assetto politico-istituzionale, pezzi della borghesia virano su un presunto “uomo nuovo” che possa presentarsi credibile agli occhi delle masse. Le ricette di Grillo scontano una visione liberale, con delle nervature keynesiane, in campo economico e sociale. Ad esempio, si è sentito parlare di iniezioni pesanti di liquidità nella filiera macro-economica nazionale ed europea, così come di presunte radicalità di innovazioni tecnologiche. Quello di Grillo, infatti, pretende di palesarsi come un movimento “non partitico” in cui le decisioni vengono prese orizzontalmente da tutti gli aderenti attraverso lo strumento (magico) della rete. Niente di più spudoratamente falso! In ogni organizzazione che ambisca a conquistare il potere, lo si chiami partito oppure no, è necessario avere una strutturazione verticistica al proprio interno per poter concretizzare una gestione unitaria e disciplinata. Ora, storicamente, i casi sono due: o ci si trova di fronte ad un'organizzazione che accetta tale impostazione, verticistica e centralizzata ma, al contempo, plurale e democratica, facendo propri gli insegnamenti del centralismo democratico; oppure la gestione, apparentemente assembleare, si traduce in una legittimazione aprioristica e plebiscitaria del “leader-padrone” del  movimento, che occultamente muove i fili organizzativi e strategici. Si tratta di una dicotomia radicale, che disegna una distinzione netta tra chi, apertamente lancia la sfida diun partito effettivamente incisivo nella realtà sociale ed al contempo democratico e plurale; e chi, al contrario, dietro una fraseologia apparentemente democratica e paritaria, decide dispoticamente e senza dialettica interna. 

Tornando al programma di Grillo, uno dei temi centrali è quello del cosiddetto “Parlamento pulito”, che ha come obiettivo quello di evitare che approdino in Parlamento pregiudicati o indagati. Dunque, l'elemento di contraddizione che si manifesta in un momento di crisi così imponente, non è la messa in discussione del sistema sociale capitalista, che ormai non è più in grado di garantire il soddisfacimento dei bisogni alla stragrande maggioranza della popolazione, ma, appunto, quello di “salvare la forma” della fedina penale dei gestori del capitalismo nazionale. Secondo questo approccio, quindi, il problema non sarebbe tanto l'ingiustizia profonda per cui a pagare la crisi provocata da una ristretta cerchia di potentati economici siano le masse popolari, quanto il rispetto della legalità borghese. Una legalità che considera lecita l'accumulazione sfrenata del profitto, i licenziamenti di massa, la disintegrazione dei diritti acquisiti in nome della difesa dei profitti padronali, le guerre imperialiste, ecc.

E' la contraddizione in nuce all'approccio populista tipico di questo movimento: innescare una sterile polemica su aspetti secondari e marginali della realtà economico-sociale, accumulare una percentuale considerevole di consenso, per poi inevitabilmente disperderlo. Perché la realtà è impietosa, e nel momento in cui, in frangenti di crisi come questo, occorre decidere da quale parte della barricata schierarsi, questi nuovi epigoni del populismo sceglieranno inevitabilmente quella della difesa dell'ordine borghese. E' una scelta di campo scritta nella loro stessa provenienza sociale e nell'humus della loro visione politica generale.

 

Il secondo: la crisi di legittimazione dei partiti dominanti

Come dicevamo, nel solco di gran parte delle elezioni svoltesi recentemente in Europa (vedi Grecia), i partiti dominanti, rappresentati in Italia dal Pd e dal Pdl, hanno subito importanti ridimensionamenti. L'appoggio al Governo Monti ha determinato una pesante crisi di legittimazione politica, con l'opinione pubblica che agevolmente li riconosce come i responsabili delle politiche “lacrime e sangue” perpetrate dal governo “tecnico”. Alle ultime elezioni amministrative, in modo particolare con l'elezione del grillino Pizzarotti a sindaco di Parma, si è avuto modo di registrare questa realtà. Il Pdl ha rischiato sostanzialmente di sfaldarsi, tant'è che Berlusconi pare abbia deciso di rientrare in gioco, ricandidandosi nel 2013; il Pd di fatto ha retto, ma non ha raccolto il bacino di voti perso dal Pdl che, inevitabilmente, è andato a rimpinguare il risultato elettorale del M5S. Se a ciò aggiungiamo il polverone giudiziario che si è abbattuto sulla Lega Nord ed in particolare su Bossi ed il cosiddetto “cerchio magico” abbiamo chiare le motivazioni che hanno portato ad un così importante risultato politico. La Lega Nord, infatti, nell'ultima tornata elettorale, è crollata quasi dappertutto, perdendo roccaforti storiche e decretando una devoluzione dei voti e del suo corpo elettorale verso il M5S, che raccoglie dalla Lega Nord imborghesita e governista, il testimone di un'organizzazione populista ed apparentemente di rottura con le logiche del consociativismo dei partiti dominanti.

 

Il terzo: l'inconsistenza della “sinistra radicale”

Finora abbiamo analizzato i motivi più prettamente elettorali e politici in senso lato che hanno portato all'affermazione del grillismo. Si tratta ora di vagliare con attenzione le motivazioni sociali ed ideologiche di questo crescente fenomeno. In momenti di crisi economica, in cui non esistono le condizioni per poter elargire, dal tavolo imbandito dei profitti padronali, delle briciole alle masse popolari, crolla il ruolo storicamente determinato della socialdemocrazia, e dunque del riformismo. I poteri forti ed i loro governi, per poter privilegiare il margine del tasso di profitto, non possono concedersi il mantenimento di alcuni elementi che sembravano essere diritti acquisiti. E' in questo quadro che va letta, tanto per citare alcuni aspetti, la disarticolazione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori; o la cosiddetta spending review, che rappresenta un grimaldello ideologico volto a massacrare i diritti dei lavoratori pubblici e ad aprire la strada a privatizzazioni e dismissioni in grande stile. Delineato l'ambito oggettivo, è del tutto evidente che le politiche del riformismo socialdemocratico non possono trovare agibilità politica e concretizzazione pratica, incentrate come sono sulla difesa del modello sociale capitalista, con l'inserimento di forti iniezioni di liquidità pubblica. Da ciò deriverebbe un'ulteriore crescita del debito pubblico che gli stati nazionali, per poter rispondere positivamente ai dettati della Troika, debbono, al contrario, contenere e ridimensionare. Ecco perché, in Italia, i rappresentanti della sedicente “sinistra radicale” perdono terreno, a tutto vantaggio di guitti reazionari come Grillo. Ed è ancor più significativo il fatto che, almeno su alcuni temi come la Tav, questi residuati dello stalinismo siano addirittura superati a sinistra dal comico genovese.

 

La necessità di una sinistra autenticamente anticapitalista e rivoluzionaria

 Per poter fermare il fenomeno del grillismo è necessario, dunque, tanto più nel quadro economico dato, rilanciare le parole d'ordine della contrapposizione tra le classi sociali, del conflitto e della lotta come arena naturale in cui misurare i rapporti di forza esistenti. Lo dimostrano le importanti  manifestazioni in Spagna, che con le lotte dei minatori stanno mostrando come nelle masse sia innestata una propensione alla radicalità. Per poter portare alla vittoria questi momenti di opposizione sociale e di rinvigorimento della lotta di classe, è necessaria la presenza di un'organizzazione autenticamente rivoluzionaria, anticapitalista e con un'influenza di massa, che ancora non c'è ma che, nel vivo della lotta di classe, è indispensabile che emerga e si rafforzi.

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