Un bilancio (onesto) della manifestazione del 31 marzo
COME TRASFORMARE LA CAMPAGNA
PER IL NON PAGAMENTO DEL DEBITO
IN UNA REALE MOBILITAZIONE DI MASSA?
di Fabiana Stefanoni
Quella di non fare bilanci onesti delle manifestazioni sembra un’abitudine tutta italiana. Sembra più facile, da noi, inventarsi numeri che non stanno né in cielo né in terra anziché essere franchi e ammettere che una manifestazione non è andata come avremmo sperato, o come servirebbe per contrastare il massacro sociale del governo Monti. E’ così che, mentre ci arrivano dalla Spagna immagini di città letteralmente invase da masse oceaniche di lavoratori in sciopero contro la controriforma del lavoro, in Italia il "coordinamento No debito" (promosso da Cremaschi, leader di una componente della Cgil) è riuscito ad organizzare, purtroppo, solo una manifestazione con qualche migliaia di partecipanti a Milano. Leggiamo, un po’ basiti, che il coordinamento di Cremaschi annuncia trionfante il “successo della manifestazione” e parla di “30 mila partecipanti”. Chi è stato in piazza sabato sa che le cose, purtroppo, non stanno così: la manifestazione del 31 è stata una bella manifestazione, ma, nonostante il pesante attacco del governo Monti alle masse lavoratrici (non da ultimo lo smantellamento dell’articolo 18), è stata una manifestazione troppo piccola per essere incisiva. Bisogna prendere atto che chi l’ha promossa non è riuscito a rilanciare la mobilitazione che si è interrotta il 15 ottobre. Prima di tutto, non erano presenti, a parte poche eccezioni, molti settori che hanno animato la manifestazione del 15 ottobre, dagli operai della Fiom ai Cobas, dai comitati di lotta alle organizzazioni studentesche (assenti anche la gran parte dei centri sociali). A parte la presenza organizzata di alcune organizzazioni della sinistra sindacale e politica, il corteo non è stato di richiamo per i lavoratori e i giovani. Fare i conti con questo dato di verità è la prima cosa da fare per capire come rilanciare la lotta contro Monti e per il non pagamento del debito: non possiamo non constatare che in altri Paesi europei la mobilitazione contro la Bce e le msirue di austerità sono indubbiamente a un livello oggi più avanzato.
Una piattaforma inadeguata
Il Pdac cerca di essere presente in tutte le lotte,
indipendentemente dalle piattaforme e dalle intenzioni di chi le promuove:
dalla manifestazione della Fiom del 9 marzo alle lotte - che hanno meno clamore
mediatico, ma sono spesso più radicali e importanti - degli operai nelle tante
vertenze in corso nel nostro Paese, dalla Esselunga di Pioltello alle
manifestazioni degli immigrati (occasioni in cui è raro incontrare diversi dei
partiti promotori del 31 marzo).
Con lo stesso spirito di sostegno a tutte le lotte eravamo
in piazza anche il 31 marzo a Milano: infatti, la Lit-Quarta Internazionale,
l’organizzazione di cui siamo sezione italiana, sostiene una campagna
internazionale per il non pagamento del debito e anche in Italia crediamo che questa
parola d’ordine vada sostenuta.
Tuttavia, crediamo che sia doveroso fare un bilancio
del movimento No debito in Italia. Prima di tutto, occorre evidenziare che la
piattaforma avanzata dal Comitato di Cremaschi è – lo abbiamo scritto anche nel
volantino che abbiamo diffuso alla manifestazione del 31 marzo – inadeguata per
dare una risposta all’attacco in corso. E’ una piattaforma basata su un
generico antiliberismo, che non mette in discussione il capitalismo: non a
caso, è una piattaforma condivisa e sottoscritta da forze politiche, come
Rifondazione Comunista, che chiedono (come sancito dall’ultimo congresso
nazionale di quel partito) di essere riammesse in una futura alleanza di
governo con il Pd (cioè proprio con uno dei principali partiti che sostengono
il governo Monti).
Ferrero, ex ministro del governo Prodi, ora
segretario di Rifondazione (partito che ha contribuito con le sue politiche di
governo a determinare la situazione di disastro
sociale che viviamo oggi) ha parlato dal palco, annunciando una “dura
opposizione alla finanza”, proprio mentre contemporaneamente apparecchia il
tavolo di una futura alleanza di governo coi banchieri! E’ grave che nessuno
delle altre forze di opposizione politica e sindacale presenti, con
Rifondazione, nel comitato promotore della manifestazione abbia denunciato
questa vergogna. E’ grave che nessuno abbia ricordato che Ferrero, quando era
ministro del governo Prodi, ha votato la guerra, le leggi razziste, le finanziarie
lacrime e sangue. Ci pare che per qualcuno la concessione di qualche spazio di
visibilità (magari un intervento dal palco) venga prima della necessità di
denunciare l’ennesimo tradimento che il gruppo dirigente di Rifondazione sta
organizzando alle spalle del movimento (1).
Ma, soprattutto, quello che va denunciato con forza è
che questa piattaforma non è stata discussa né proposta a un dibatttito che
potesse coinvolgere un reale movimento radicato nei territori: è una piattaforma
proposta dall’alto da alcuni dirigenti di partito e sindacato autoproclamatisi
“coordinamento nazionale No debito” (su proposta di Cremaschi) e mai discussa
in nessuna istanza di lotta e di movimento. Questo rimanda, a nostro avviso, a
quella che è stato probabilmente la principale mancanza del percorso che ha
portato al 31 marzo: non essersi dotati di alcuna struttura democratica di
lotta. Questo spiega, probabilmente, perché la manifestazione del 31 non è
riuscita a rilanciare la mobilitazione che si era interrotta il 15 ottobre.
La necessità di una struttura democratica del movimento
Per rilanciare il movimento No debito è urgente che
esso si doti di una strutturazione democratica e radicata territorialmente. E’
necessario che si creino, a livello locale, comitati di lotta per il non
pagamento del debito, che riescano a coinvolgere operai, lavoratori, studenti,
disoccupati. Tali comitati devono essere aperti a tutte le organizzazioni
politiche, sindacali e di movimento e a tutti coloro che intendono battersi
contro il governo dei banchieri. E’ soprattutto necessario che la
rivendicazione del non pagamento del debito si saldi a quella dell’estensione
dell’articolo 18 a
tutti i lavoratori, contro ogni ipotesi di smantellamento.
Va poi creato un reale coordinamento nazionale, con
delegati eletti nei comitati locali e revocabili in qualsiasi momento: le
piattaforme vanno discusse nelle strutture territoriali. Occorre uscire subito
dalla logica burocratica e di apparato che oggi è stata imposta: ciò che
succede ora è che Cremaschi, in vista probabilmente di un suo progetto
politico, invita questo o quel "leader" a partecipare alle riunioni
di un autoproclamatosi "coordinamento nazionale" i cui componenti
paiono più interessati alla visibilità della loro sigla che a far crescere
realmente un grande movimento.
E’ una logica sbagliata, tutta interna ai giochi
degli apparati, che rischia di far morire sul nascere il movimento,
trasformandolo nella passerella (magari elettorale) di qualche partito
(Rifondazione in primis).
Solo l’avvio di una reale mobilitazione nei
territori, in grado di saldarsi con le lotte operaie e studentesche, con la
creazione di organismi eletti democraticamente permetterà inoltre di superare
altri limiti della mobilitazione, limiti che già hanno assunto una veste
tragica in occasione del 15 ottobre, come la mancanza di un reale servizio
d’ordine della manifestazione in grado di difendere i manifestanti dalla
violenza poliziesca: una mancanza evidente anche in occasione del corteo del 31
marzo.
Solo con queste premesse democratiche e di lotta sarà
possibile far avanzare il movimento e faar sì che si doti di una piattaforma di
classe, di netta opposizione al capitalismo, per un’alternativa di sistema,
cioè comunista.
(1) In questo si distingue il Pcl. Si legga il comunicato post-manifestazione che, a parte il solito grottesco trionfalismo ("il partito più grande a sinistra del Prc") e la buffa polemica su chi è più grande con l'altro partito mediatico concorrente (quello di Marco Rizzo), avalla l'idea che la Rifondazione di Ferrero sia tra le forze "che si collocano con chiarezza all'opposizione" (sic!). Ciò solo perché Cremaschi e Ferrero hanno concesso al leader Ferrando tre minuti sul palco del 31 (naturalmente dopo che il Pcl aveva sottoscritto la piattaforma neokeynesiana del comitato di Cremaschi: "rigorosi vincoli pubblici alle multinazionali", una "rivoluzione" in nome della Costituzione, ecc.).