Partito di Alternativa Comunista

Bolivia: La crisi politica

Bolivia: La crisi politica è ancora aperta

  (Correo Internacional, pubblicazione della Lit)

  

La situazione boliviana continua ad essere molto instabile. Recentemente, nell’Assemblea Costituente – che si trova virtualmente paralizzata dal suo insediamento – deputati del MAS di Evo Morales hanno fatto a pugni con i rappresentanti  delle borghesie regionali della cosiddetta “mezzaluna” (Santa Cruz de la Sierra, Tarija, El Beni e Pando).
Queste borghesie esigono la "autonomia" per i loro dipartimenti (minacciando anche di dividere il paese) ed hanno realizzato vari "scioperi civici" per rafforzare la loro rivendicazione.

D'altro lato, insieme a lotte operaie, come quella dei lavoratori di Huanuni in difesa della miniera statale, varie organizzazioni dei "popoli originari" (ampia maggioranza della popolazione del paese) hanno minacciato di rompere col governo se questo avesse ritirato dalla Costituente la proposta di "Stato plurinazionale", che preveda la concessione di "autonomie territoriali" a queste nazioni originarie (aymara, quechua e tupí-guaraní).

Si tratta di una situazione altamente complessa che, in quest'edizione del Correo Internacional, cercheremo di analizzare nelle sue differenti componenti e nella sua prospettiva.

 

 

Una situazione rivoluzionaria

 

Per comprendere l'attuale crisi, bisogna partire dal fatto che essa è il risultato di ciò che chiamiamo una "situazione rivoluzionaria". Vale a dire, una situazione in cui le masse hanno fatto irruzione con grandi processi di mobilitazione, ponendo in discussione e mettendo in scacco le istituzioni politiche tradizionali della borghesia.

Questa situazione si aprì con la "Guerra dell'Acqua" (2000), quando il popolo di Cochabamba cacciò via l'impresa Aguas del Tunari (di capitale straniero) che si stava appropriando di questa risorsa nella regione. E raggiunse i suoi picchi più alti nelle mobilitazioni che rovesciarono i governi di Gonzalo Sánchez de Lozada, il Goñi, nel 2003, e Carlo Mesa, nel 2005.

La borghesia boliviana e l'imperialismo hanno cercato di sconfiggere o sviare questo processo rivoluzionario in vari modi: la repressione del Goñi (più di 80 morti nell'ottobre del 2003), la "continuità istituzionale" con Mesa, il tentativo di golpe di Hormando Vaca Diaz, ecc. Ma tutte queste politiche sono state sconfitte.

D'altro lato, le masse boliviane, benché abbiano fatto fallire questi tentativi, non sono riuscite ad imporre la loro soluzione, un autentico governo dei lavoratori e dei contadini, che permettesse il progresso della rivoluzione. Perciò, nel quadro di tale contraddizione, la situazione rivoluzionaria è ancora aperta ed il suo sbocco futuro è ancora indefinito.

 

 

Evo Morales: un governo borghese "speciale"

 

Nelle elezioni presidenziali del 2006, la borghesia boliviana e l'imperialismo puntarono sulla candidatura di Tuto Quiroga. Ma la netta vittoria di Evo Morales scompaginò i loro piani. In queste condizioni, si videro costretti ad accettarlo come il "male minore".

In questo senso, il governo di Evo è, da un lato, un prodotto del processo rivoluzionario. Dall'altro, è un governo borghese che "dall'alto" si tenta si utilizzare come strumento per sconfiggere questo processo, "addormentando" le masse con una politica di conciliazione fra classi sociali nemiche.

È chiaro che né la borghesia né l'imperialismo vedono quello di Evo come un "proprio" governo, ma solo come uno sbocco transitorio per controllare le fasi più difficili del processo rivoluzionario. Perciò, mentre lo utilizzano in questo senso, cercano al contempo di logorarlo ed indebolirlo per preparare un'alternativa (per ora, sul terreno elettorale) che permetta loro di recuperare più direttamente il potere.

Da parte sua, Evo deve manovrare fra quest'esigenza di quelli "dall'alto" e la pressione delle lotte e gli impegni assunti col movimento di massa. Perciò, sempre nella prospettiva più strategica di proteggere gli interessi della borghesia e dell'imperialismo (v. articolo sulle truppe boliviane ad Haiti), la sua politica è spesso oscillante, segnata da avanzamenti ed arresti, a seconda della pressione dominante in un dato momento.

Il governo di Evo è, dunque, ciò che definiamo un "fronte popolare": un tipo di governo borghese "speciale" perché è composto e diretto da organizzazioni e dirigenti popolari. Ciò provoca una nefasta illusione politica fra le masse che lo vedono "il proprio governo" e non per quello che realmente è: uno strumento a servizio della borghesia.

Una chiara dimostrazione dell'autentico carattere del governo è la sua politica di preservare dal logoramento ed anzi rafforzare le forze armate borghesi. Ad esempio, nella commemorazione dei 100 anni della fondazione dell'attuale esercito boliviano, Evo disse nel suo discorso che "le FFAA sono rivoluzionarie, uno strumento a servizio della rivoluzione". Al tempo stesso, ha loro concesso un aumento salariale superiore a quello di altri settori e gli ufficiali stanno facendo corsi di addestramento in Venezuela, paese da cui ricevono nuovi equipaggiamenti.

Altro aspetto che mostra questo carattere borghese sono i bassissimi salari che continua a percepire la maggioranza dei lavoratori (con aggiustamenti che non coprono le perdite dovute all'inflazione), il mantenimento del carattere privatizzato del sistema di previdenza sociale e pensionistico (Legge 1732) e la repressione dei minatori di Huanuni, lo scorso 5 luglio.

D'altro lato, contraddittoriamente, il governo esprime le caratteristiche etniche e sociali del paese. Evo è il principale dirigente nato dalle lotte contadine negli ultimi anni ed ha origini aymara. Per questo, la gran maggioranza delle masse boliviane (contadine e/o indigene) ritiene che, con lui, ha avuto accesso al potere dopo secoli di emarginazione ed oppressione. Una visione accentuata dal fatto che l'opposizione di destra è diretta dalla borghesia bianca e latifondista di Santa Cruz. Fatte le debite proporzioni, possiamo dire che il caso di Evo è simile a quello del brasiliano Lula che, per arrivare alla presidenza, si è appoggiato al suo prestigio di dirigente operaio, originario di una delle zone più povere del paese.

 

 

Gli assi del processo rivoluzionario

 

Finora, la più rilevante rivendicazione del processo rivoluzionario, che è apparsa come il centro della lotta contro il Goñi e Mesa, è stata la nazionalizzazione senza indennizzo delle risorse naturali (il gas ed i minerali). Tuttavia, esistono altri due temi di pari importanza. Il primo è la questione indigena e contadina delle popolazioni aymara, quechua e tupí-guaraní. Il secondo è quello dell'unità del paese, minacciata dalla borghesia della "mezza luna". Tutte queste rivendicazioni si sono concentrate nella richiesta della convocazione di un'Assemblea Costituente sovrana (proposta centrale di Evo, nelle mobilitazioni del 2005, per risolvere tali questioni). Vediamo cosa è successo con ciascuno di tali temi e qual è stata la relativa politica di Evo.

 

 

La nazionalizzazione delle risorse naturali

 

Poiché fu l'aspetto centrale delle mobilitazioni del 2003 e del 2005, Evo si è visto obbligato a procedere con alcune misure parziali (la rinazionalizzazione delle ricchezze del sottosuolo, il riacquisto delle raffineria da Petrobras, la rinegoziazione dei contratti di vendita del gas, ecc.). Quantunque tali provvedimenti siano stati molto miti, e non abbiano messo in discussione il nucleo del controllo imperialista del settore, hanno però consentito un importante miglioramento delle entrate dello Stato (quasi l'8% del Pil del paese).

Al tempo stesso, come prodotto delle mobilitazioni di massa e duri scontri, ha dovuto nazionalizzare l'impianto di pompaggio di gas San Alberto (Tarija) e fare concessioni ai minatori di Huanuni, ampliando il settore statale di questa miniera rispetto a quello delle cooperative. Al contrario, laddove non ha subito la pressione del movimento di massa, ha iniziato a lasciare il giacimento di ferro di El Mutún (Santa Cruz) all'impresa Jindal.[1]

Il tema delle risorse naturali è molto lontano dall'essere stato risolto dal governo, ma il miglioramento nelle entrate statali ha permesso ad Evo, almeno nell'immediato, di far diminuire la pressione esplosiva degli anni precedenti.

 

 

La questione dei popoli originari

 

Questo tema, che riguarda la grande maggioranza oppressa della popolazione boliviana, è molto più difficile da risolvere per Evo. Questi popoli sintetizzano le loro rivendicazioni in Terra e Territorio. Vale a dire, nella riforma agraria e nel diritto ad avere regioni autonome, nei loro "territori ancestrali", dove possano organizzarsi istituzionalmente secondo le loro tradizioni e disporre delle risorse naturali con loro proprio criterio. Ma queste rivendicazioni si scontrano oggi evidentemente con gli interessi della borghesia boliviana ed i piani dell'imperialismo (la "autonomia reazionaria" reclamata dalla "mezza luna") e segnano chiari limiti alla politica che il governo può sviluppare senza scontrarsi con esse.

Evo sta portando avanti una timida consegna di terre statali o private improduttive, ma non ha nessuna intenzione di litigare con i latifondi di Santa Cruz (soia), El Beni (allevamento) o Pando (legni pregiati). Ma è in queste regioni che il problema della terra è più acuto, poiché nell'altopiano si è realizzata una riforma agraria durante la rivoluzione del 1952. Perciò, già si sono prodotte alcune mobilitazioni contadine in Santa Cruz con la rivendicazione di un progresso più rapido in questo tema.

Sulla questione della "autonomia territoriale", Evo sta cercando di mettere da parte tale questione, punto centrale del "Patto di Unità" che stipulò con la sua base contadina ed indigena, durante la campagna elettorale, nella Costituente rimpiazzandola con la "autonomia sociale", che include altri diritti (lingua, educazione, istituzioni locali e regionali) ma non la piena sovranità sulle regioni.

A fronte di ciò, varie organizzazioni indigene[2] hanno minacciato di rompere col governo. Di fronte a questo rischio, Evo è tornato sui suoi passi ed ha mantenuto la sua proposta di "Nuovo Stato Plurinazionale". Un fatto che dimostra che, sebbene questa base contadina ed indigena veda Evo come il "proprio" governo e continui a riporvi fiducia, non è disposta a lasciare che tradisca le sue rivendicazioni storiche.

 

 

Il secessionismo della borghesia della "mezza luna"

 

Il territorio storico della Bolivia ha già sofferto varie perdite determinate dall'imperialismo e dai paesi più forti del continente, come accadde con il caso dello sbocco al mare, perso nella Guerra del Pacifico contro il Cile, o della regione di Acre, oggi parte del Brasile.

L'unità del suo attuale territorio è nuovamente minacciata dalla coalizione delle borghesie regionali della "mezza luna". Questi dipartimenti possiedono una parte molto rilevante delle ricchezze naturali boliviane (petrolio, gas, ferro, produzione di soia e di carne): col 35% della popolazione generano la metà del Pil nazionale e due terzi delle sue esportazioni.

La coalizione è diretta dalla borghesia cruceña (Santa Cruz), probabilmente la più forte e dinamica del paese, con un progetto politico proprio che sta sviluppando da alcuni anni. Alcuni dei suoi membri sono di origini europee molto recenti. Il suo principale dirigente, Branko Marinkovik, è figlio di un immigrato croato. Oltre che grande latifondista, è dirigente della poderosa impresa Trasporti di Idrocarburi, che ha realizzato 6.000 km. di gasdotti ed oleodotti che giungono in Brasile, Argentina e Cile. Il 50% del capitale di quest'impresa appartiene ad Exxon e Shell.

I "comitati civici" formati dalle borghesie di questi dipartimenti costituiscono di fatto un potere parallelo. Addirittura, stanno addestrando movimenti di tipo fascista, come quello della Gioventù Civica Cruceña, per reprimere i lavoratori ed i contadini della regione. Quest'organizzazione è composta dai figli degli imprenditori e latifondisti e comprende anche giovani della classe media, ansiosi di scalare la società.

È molto probabile che, dietro le loro rivendicazioni di "autonomia", stiano sviluppando un progetto strategico di reale divisione del paese non appena le condizioni lo permetteranno.  In altre parole, poter consegnare direttamente all'imperialismo ed ai paesi più forti del continente, come il Brasile, le ricchezze naturali della loro regione, trattenendo per sé una fetta maggiore di quanto oggi ottengano, non dovendola dividere con la borghesia di La Paz. In tal modo, contemporaneamente, si sbarazzerebbero dell'"altipiano povero" e delle sue "masse rivoltose", la cui mobilitazioni sta contagiando la stessa Santa Cruz. È importante evidenziare che si tratta di un settore molto legato all'imperialismo ed alla borghesia brasiliana che, evidentemente, stanno dietro al suo progetto secessionista.

A questo progetto si oppone la borghesia dei dipartimenti dell'altopiano, specialmente La Paz, che si vedrebbe molto colpita economicamente non solo dalla divisione del paese, ma anche da una "autonomia" spinta. Non è casuale che gli alti comandi dell'Esercito boliviano abbiano dichiarato la loro opposizione. In altre parole, uno scontro reale e profondo fra settori borghesi con una dinamica imprevedibile.

Tuttavia, non si tratta solo di una competizione fra settori borghesi. La "autonomia" che esigono queste borghesie regionali non riflette la giusta rivendicazione di una nazionalità oppressa, com'è il caso dei popoli nativi. Al contrario, questa "autonomia" (ed ancor più, la divisione del paese) rappresenta un attacco all'insieme del popolo boliviano perché il suo obiettivo è una consegna ancor maggiore delle risorse naturali, un maggior arricchimento di queste borghesie regionali ed un maggior impoverimento del popolo boliviano nel suo insieme. È una proposta reazionaria e proimperialista.

Possiamo compararla con la "indipendenza di Panama che, sostenuta dall'imperialismo statunitense, si separò dalla Colombia nel 1903 per controllare il futuro Canale. O, nella stessa storia boliviana, con la "rivolta" separatista dei latifondisti di Acre, sostenuta dalla borghesia brasiliana. Per questo, i rivoluzionari debbono opporsi ad essa ed appoggiare la giusta lotta della maggioranza del popolo boliviano per mantenere l'unità geografica del paese.

 

 

Evo cammina sul filo del rasoio

 

La politica del governo è stata di cercare di "amministrare" una situazione complessa e molto polarizzata, senza superare l'ambito dello stato borghese. La sua politica verso l'opposizione borghese di destra è stata di conciliazione e concessioni permanenti, cosa che si è espressa chiaramente nell'Assemblea Costituente: malgrado i deputati del MAS ed i loro alleati contassero su una chiara maggioranza, hanno concesso all'opposizione il "diritto di veto".

Ma questa politica non ha fatto che rafforzare quest'opposizione, che esige sempre di più, passando i limiti che Evo può tollerare perché vengono troppo colpiti gli interessi dei settori borghesi dell'altopiano e perché ciò implicherebbe una rottura aperta con la sua stessa base.

In alcuni casi, si è visto obbligato a rispondere in "contropiede", come con la mobilitazione di un milione di persone a La Paz in difesa dell'unità del paese, o con le mobilitazioni di contadini cruceños per la riforma agraria. Ma l'obiettivo di questi "contropiede" non è avanzare a fondo contro l'opposizione borghese e l'imperialismo, bensì tornare ad un "equilibrio" che gli permetta di mantenere una conciliazione "tollerabile".

Al tempo stesso, Evo mantiene tutto il suo prestigio ed appoggio popolare perché, oltre ad essere visto come il rappresentante dei popoli nativi, si presenta come il "difensore dell'unità del paese" di fronte alla borghesia bianca, latifondista e secessionista di Santa Cruz.

Nell'immediato, può persino approfittare dell'impasse dell'Assemblea Costituente per dire alle masse che "la destra non mi lascia governare" (per questo non può soddisfare più le richieste popolari) e che ora l'importante è "l'unità contro la destra", come un argomento per frenare le lotte contro il suo governo.

Però, a lungo termine questa situazione gli si ritorcerà contro perché le contraddizioni fra una borghesia che esige sempre di più ed un movimento di massa che non è disposto a mettere da parte le sue rivendicazioni andranno maggiormente accumulandosi.

 

 

Le masse boliviane debbono progredire nella loro organizzazione e nella lotta indipendente

 

Il governo di Evo non solo non risolve i problemi più profondi del paese e le necessità del popolo boliviano: la sua politica di conciliazione con la destra e di smobilitazione delle masse crea le condizioni per una sconfitta tragica se queste non progrediscono nella lotta e l'organizzazione autonome, scavalcando il governo di Evo in questa lotta.

I compiti della rivoluzione (nazionalizzare senza indennizzo le risorse naturali; la riforma agraria; i diritti territoriali per i popoli originari e la difesa dell'unità del paese) potranno essere raggiunti solo se la mobilitazione di massa li prende direttamente nelle proprie mani. La grande contraddizione dell'attuale situazione è che la grande maggioranza del popolo boliviano ancora confida che sarà il governo di Evo a farla avanzare.

In questa situazione, è imprescindibile che la classe operaia boliviana irrompa sulla scena con il proprio peso ed una politica totalmente indipendente dalla borghesia e dal governo. E che, oltre a lottare per le sue rivendicazioni, sia capace di dirigere, come già altre volte in passato, le rivendicazioni e le lotte dell'insieme del popolo.

È certo che la borghesia della "mezza luna" vuole schiacciare il processo rivoluzionario ed ha un progetto secessionista per la Bolivia. Ma per sconfiggere questo progetto reazionario, la peggiore via è quella della "conciliazione" scelta dal governo di Evo. L'unica strada per battere la destra e conseguire le rivendicazioni storiche del popolo boliviano è quella della lotta e dell'organizzazione autonoma delle masse, dirette dalla classe operaia.

Certamente, se vi fosse il rischio di un golpe imminente o la borghesia della "mezza luna" tentasse di concretizzare nell'immediato la divisione del paese, sarebbe necessario fare appello alla lotta unitaria col governo di Evo per sconfiggere questi attacchi. Ma ciò che non si può fare è giustificare attraverso questi rischi, reali ma non imminenti, la capitolazione al governo ed al suo appello alla "unità contro la destra". Non solo perché ciò significa abbandonare la lotta contro un governo borghese, bensì perché, come abbiamo già detto, questa strada conduce ad un'inevitabile sconfitta nei confronti della destra.

In questo senso, il processo rivoluzionario boliviano richiede che la COB recuperi il suo ruolo storico di direzione delle masse. Il cammino per farlo è segnato dai concetti centrali delle Tesi di Pulacayo.[3] In altre parole, per lottare realmente contro la destra borghese ed affinché il processo rivoluzionario si sviluppi, è necessario lottare anche contro il governo di Evo e contro le sue politiche antioperaie e di conciliazione con la borghesia e l'imperialismo.

Per i rivoluzionari si presenta, dunque, un doppio compito. Il primo è quello di spiegare pazientemente alle masse l'autentico carattere del governo di Evo Morales e la necessità di procedere verso un vero governo dei lavoratori e dei contadini. Il secondo è quello di spingere la mobilitazione delle masse affinché esigano dal governo di Evo che mantenga le sue promesse e realizzi questi compiti.

Dato il suo carattere borghese, è assolutamente impossibile che il governo di Evo lo faccia, ma queste mobilitazioni ed il conflitto con questa realtà sono i fattori che permetteranno il progresso della coscienza delle masse e, con esso, lo sviluppo del processo rivoluzionario, superando così i limiti che oggi Evo impone loro.

Il popolo boliviano non è stato sconfitto, al contrario! Le sue forze sono intatte e, contemporaneamente, ha una grande tradizione storica ed esperienze recenti di lotta. Pertanto, il futuro cammino del processo rivoluzionario boliviano è ancora aperto.

 

 

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L'Assemblea costituente

 

L'Assemblea costituente si posiziona al centro del dibattito politico in Bolivia per due ragioni fondamentali. La prima è che, per il carattere democratico e di sovranità nazionale delle principali rivendicazioni popolari (proprietà delle risorse naturali, proprietà della terra, diritti dei popoli nativi, unità nazionale) appare come l'"ambito naturale" per discuterle e risolverle, specialmente per la maggioranza contadina ed originaria del paese.

In secondo luogo, lo stesso Evo pose, durante i processi del 2005, l'esigenza centrale della convocazione dell'Assemblea costituente. Successivamente, durante la sua campagna elettorale, questo fu l'asse delle sue proposte: in essa si sarebbero risolti questi temi e si sarebbe fondato un nuovo Stato plurinazionale boliviano. Sulla base di questa proposta, firmò il Patto d'Unità con le organizzazioni dei popoli nativi.

Per questo, ha suscitato molte aspettative nei settori popolari. Tuttavia, da che ha cominciato le sue sessioni il 6 agosto del 2006, è stata virtualmente paralizzata.

L'opposizione di destra ha ostacolato il suo funzionamento ed è la principale responsabile di questa situazione. Però il MAS condivide la responsabilità di questa situazione poiché ha vinto le elezioni nazionali per eleggere i deputati costituenti e vanta il 55% dei rappresentanti dell'assemblea. Tuttavia, prima, aveva negoziato con i partiti della destra un regolamento in base al quale la nuova costituzione potrà essere approvata solo col voto dei 2/3 dell'Assemblea. Vale a dire, ha concesso alla minoranza un diritto di veto totalmente antidemocratico.

Successivamente, il governo ha ritenuto che questo criterio era valido solo per la nuova Costituzione nel suo complesso (nel caso non fosse approvata nella Costituente sarebbe sottoposta a plebiscito), ma non per i singoli articoli. Cercava così di inserire, almeno, alcuni punti parziali che gli permettesse di dimostrare alla sua base che si stava progredendo. Ma la destra si è aggrappata alla clausola dei 2/3 ed ha posto il veto su tutti gli articoli con i quali non concordava. Esigeva, contemporaneamente, che il trionfo ottenuto dal SÌ nel plebiscito per l'autonomia nei dipartimenti della "mezza luna" (quantunque il NO abbia avuto la maggioranza a livello nazionale) fosse considerato un mandato per la nuova costituzione. Così stando le cose, l'Assemblea è rimasta paralizzata.

 

 

Svuotare l'Assemblea di contenuto

 

Al tempo stesso, nonostante il suo discorso radicale sul carattere "originario" e di "rifondazione della Bolivia" che avrebbe l'Assemblea, il governo di Evo Morales è andato "sterilizzandola" in vari punti centrali.

Sul tema degli idrocarburi e delle miniere dice che "è già stato risolto" con le tiepide misure adottate e che la Costituente dovrebbe limitarsi a convalidare il contenuto dei suoi decreti e la base concettuale dei nuovi contratti. Né sarà inclusa un'autentica riforma agraria.

L'ultimo tentativo sviluppato dal governo è stato quello di sostituire la "autonomia territoriale" per i popoli nativi con la "autonomia sociale". Ma ha dovuto fare marcia indietro per la minaccia di rottura col governo di varie organizzazioni indigene.

Il fatto che varie delle questioni centrali siano state eliminate dal dibattito dell'Assemblea costituente è stato riconosciuto dallo stesso governo: in un'intervista con Radio FIDES, il vicepresidente Álvaro García ha ammesso che "l'assemblea plenaria probabilmente non modificherà più del 20% dell'articolato costituzionale".

Tuttavia, al di là di questo svuotamento di contenuto, continuano a proporsi temi di grande rilevanza. Specialmente lo scontro irreconciliabile fra la giusta rivendicazione di "autonomia territoriale" avanzata dai popoli indigeni oppressi e l'autonomia reazionaria e proimperialista reclamata dalle borghesie della "mezza luna". Questi sono i punti che mantengono paralizzata l'Assemblea costituente.

 

 

La necessità di una politica rivoluzionaria nei confronti dell'Assemblea costituente

 

Nel quadro dello Stato borghese, ancor più con gli "accordi regolamentari" di Evo con la destra, quest'Assemblea non risolverà nessuno dei gravi problemi del paese e del popolo. Solo la mobilitazione e l'organizzazione autonoma delle masse potrà riuscirci. Per questo, anche qui è necessario spiegare pazientemente alle masse il vero carattere di classe di questa Costituente.

Però una politica rivoluzionaria non può limitarsi soltanto alla denuncia di questa istituzione borghese. Contemporaneamente, come rivoluzionari dobbiamo difendere il diritto democratico del popolo boliviano a che la Costituente funzioni e discuta i principali problemi del paese. Per questa ragione, è totalmente legittimo e necessario promuovere mobilitazioni per esigere dall'Assemblea che porti a termine il mandato per cui venne eletta dal popolo. Specialmente, contro gli ostacoli che le frappone la destra.

In questo quadro, queste mobilitazioni debbono avanzare una rivendicazione centrale allo stesso MAS ed al governo di Evo: che rompa l'accordo dei 2/3 ed utilizzi la sua maggioranza per approvare le richieste dei lavoratori e del popolo e combattere contro la destra.

Così come abbiamo segnalato nell'articolo principale, anche qui "è assolutamente impossibile che il governo lo faccia, ma queste mobilitazioni ed il conflitto con questa realtà sono i fattori che permetteranno il progresso della coscienza delle masse e, con esso, lo sviluppo del processo rivoluzionario, superando così i limiti che oggi Evo impone loro".

 

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La posizione dei marxisti sulla questione nazionale

 

La "questione nazionale" è uno dei problemi centrali dell'attuale situazione boliviana. In questo senso, è necessario, in primo luogo, differenziare chiaramente le due rivendicazioni di "autonomia" che appaiono contrapposti.

Quella dei popoli nativi aymara, quechua e tupí-guaraní è totalmente giusto e legittimo, perché essi rappresentano la maggioranza assoluta del popolo boliviano ed inoltre hanno sofferto secoli di oppressioni e saccheggi. Al tempo stesso, essi rivendicano l'unità territoriale della Bolivia attraverso uno "stato plurinazionale". Per questo, i rivoluzionari debbono appoggiare la loro rivendicazione.

Al contrario, la "autonomia" reclamata dalle borghesie della "mezza luna" (ed in più, la possibile divisone del paese) e, come abbiamo visto, reazionaria e proimperialista. Nel colmo dell'ipocrisia, la borghesia di Santa Cruz giunge a rivendicare una tradizione tupí-guaraní distinta dei popoli dell'altipiano, quando il suo principale dirigente è un puro discendente di stirpe croata. Per questo, i rivoluzionari debbono combattere questa "autonomia".

Tuttavia, è necessario precisare meglio la politica dei rivoluzionari sulla questione nazionale, un tema che fu molto dibattuto dai bolscevichi, negli anni che precedettero la rivoluzione socialista del 1917, poiché l'Impero russo era uno stato multinazionale, con numerose nazioni oppresse.

Come principio programmatica, i marxisti si oppongono alla divisione degli stati esistenti, perché ciò significherebbe anche una divisione e frammentazione della classe operaia, protagonista centrale della lotta per il socialismo. La nostra proposta per i popoli oppressi è costituire una Federazione Socialista, nella quale queste nazioni abbiano pieni diritti garantiti. Utilizzando il termine che gli stessi popoli nativi impiegano, in Bolivia parleremmo di formare uno "stato plurinazionale socialista".

Al tempo stesso, rivendichiamo il "diritto di autodeterminazione" per queste nazioni. L'integrazione in una Federazione unificata non può essere coattiva, ma deve essere il frutto di una libera decisione. Se al contrario, queste nazioni decidono di costituire un nuovo stato indipendente, rispetteremo questa decisione, benché la consideriamo errata.

Fu ciò che accadde, per esempio, con la Finlandia, il cui popolo decise di separarsi dall'URSS dopo la rivoluzione del 1917, cosa che fu completamente rispettata dal governo rivoluzionario diretto da Lenin.

 

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Tutto un programma. Le truppe di Evo ad Haiti

 

Alcune correnti politiche di sinistra caratterizzano il governo di Evo Morales come parte di un "campo antimperialista" latinoamericano che starebbe realizzando un duro scontro con l'imperialismo, specialmente nordamericano, insieme ai governi di Chávez, Fidel Castro ed altri.

È evidente che il governo di Evo è differente da quelli capitanati da agenti diretti dell'imperialismo, come quello colombiano di Uribe o del messicano Calderón. Ed è diverso anche da governi come quelli di Lula o Tabaré Vázquez, nati fra grandi aspettative popolari, ma che rapidamente hanno mostrato le loro autentiche intenzioni proimperialiste.

Tuttavia, affermiamo che la differenza con Lula o Tabaré non va riscontrata nella "vocazione di lotta antimperialista" di Evo, bensì nelle differenti condizioni politiche in cui gli tocca di governare. Sorto come prodotto di un processo rivoluzionario, Evo deve combinare la necessità di dare qualche risposta alle rivendicazioni delle masse con la sua intenzione di colpire il meno possibile gli interessi dell'imperialismo, della borghesia boliviana e delle borghesie più forti del continente, come quella brasiliana.

La timidezza dei suoi provvedimenti sul terreno degli idrocarburi e delle risorse minerarie sorge da questa combinazione. Le misure adottate si sono limitate a fare pressioni per ottenere appena una fetta un po' più grande dello sfruttamento di tali ricchezze senza toccare la questione di fondo: il saccheggio di queste risorse naturali subito dal paese.

In realtà, Evo sta sviluppando un progetto economico di esportazione di gas e minerali che è compatibile con i progetti dell'imperialismo. Ciò che è in discussione, e genera il braccio di ferro con l'imperialismo e la borghesia brasiliana, è la dimensione delle briciole che questo saccheggio lascerà nel paese, come verranno distribuite all'interno e se Evo è l'uomo su cui più si può fare affidamento per portare avanti tale progetto.

Che il governo di Evo non abbia vocazione antimperialista lo ha espresso lo stesso vicepresidente, Álvaro García Linera. In un discorso dell'anno scorso, ha dichiarato: "Gli Stati Uniti sono stati, e saranno, un alleato strategico della Bolivia". Perché nessuno potesse avere dubbi, ha aggiunto: "Le relazioni con gli Stati Uniti sono in un processo di crescente miglioramento" (Clarín, 20/12/2006).

Se c'è qualcosa che mostra con estrema chiarezza la politica di "alleanza strategica con gli Stati Uniti" (vale a dire, di sottomissione all'imperialismo) è la presenza di truppe boliviane nell'occupazione di Haiti come parte dei caschi azzurri dell'ONU. Come hanno denunciato varie organizzazioni haitiane ed internazionali, quest'occupazione, che reprime ed assassina il popolo haitiano, serve a mantenere una situazione coloniale in questo paese, a beneficio dell'imperialismo statunitense.

I soldati boliviani furono inviati all'inizio dal governo Gonzalo Sánchez de Lozada, nel 2002. Da allora i contingenti sono stati rinnovati dai governi successivi. L'anno scorso ci fu un dibattito nel governo di Evo sull'opportunità di mantenere queste truppe o ritirarle. Evo si pronunciò a favore del mantenimento come un messaggio di "amicizia" verso gli USA. La spiegazione pubblica che diede è quasi incredibile: "La presenza di queste truppe di pace boliviane permette al paese di disporre di un'entrata di 3 milioni di dollari e di creare 215 posti di lavoro" (tratto da www.lahaine.org, 16/9/2006).

Certo è che il governo "antimperialista" di Evo è complice, come molti altri governi latinoamericani, dell'occupazione coloniale del paese che, agli inizi del XIX secolo, vide nascere la prima repubblica libera dell'America Latina. Dobbiamo esigere che vengano immediatamente ritirati questi soldati da Haiti!

 

 

(traduzione dall'originale in spagnolo di Valerio Torre)



[1] Quest'impresa è la principale compagnia mineraria mondiale di ferro. Benché abbia la sua sede centrale in India, il capitale è principalmente britannico. Vale a dire, è una compagnia imperialista.

[2] È stato il caso del Conamaq (Consiglio nazionale di Ayllus e Markas del Qullasuyu) e della Cidob (Confederazione dei Popoli Indigeni di Bolivia).

[3] Le Tesi di Pulacayo furono approvate nel Congresso della Federazione Sindacale dei Lavoratori delle Miniere di Bolivia (FSTMB), celebrato nel novembre 1946 nell'omonima città. Esse sviluppano un vero programma transitorio per un governo operaio e contadino. Successivamente, furono adottate come parte del programma della COB.

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