Gli operai della Honda in Cina indicano la via
di Marcos Margarido (*)
Dopo due anni di relativa calma, la classe operaia cinese ricompare sulle pagine dei giornali per le notizie di scioperi avvenuti nella regione del delta del Fiume Giallo, nel sud-est della Cina, dove c'è una delle più grandi concentrazioni di fabbriche del mondo.
L'attuale crescita dell'economia cinese ha portato all'aumento dell'inflazione, specialmente dei prezzi degli alimentari, rendendo insopportabile vivere con i bassi salari del Paese. Al contempo, la maggior facilità nel trovare lavoro, associata alla riduzione di mano d'opera disponibile, sta favorendo le lotte dei lavoratori.
Un paio di esempi, tra i tanti possibili, mostrano il carattere delle attuali mobilitazioni operaie.
Nella Merry Electronics, a Shenzhen, nel sub-distretto di Dalang, una mobilitazione di migliaia di lavoratori, nonostante la repressione poliziesca, ha conquistato aumenti salariali del 22%.
Nella Cina centrale, un altro episodio simile: nella Brother Industries, fabbrica di macchine per cucire, nella zona di Xi'an, 900 operai hanno incrociato le braccia per diversi giorni, finché i padroni giapponesi hanno accettato di aprire un negoziato sugli aumenti salariali.
Anche la lunga tradizione di lotta delle lavoratrici cinese è riemersa. Più di venti lavoratrici di un cotonificio privatizzato, ad Henan, sono state arrestate con l'accusa di "fermare la produzione", dopo che 5000 operaie e operai hanno condotto uno sciopero di due settimane, rivendicando incrementi salariali, il pagamento di ferie e malattia.
Gli scioperi alla Honda
Ma le lotte più importanti, in Cina, dal punto di vista politico ed economico, sono quelle realizzate dai lavoratori dei cinque stabilimenti della Honda. La prima, il 21 maggio scorso, nella fabbrica di Foshan. I 1900 lavoratori hanno bloccato la produzione e, guidati da un giovane lavoratore di 23 anni, hanno imposto la chiusura delle quattro catene di montaggio. La richiesta: aumenti salariali di minimo 150-220 dollari mensili, fino a 300 e 370 dollari.
Presa di sorpresa, la Honda, il 31 maggio ha ceduto, offrendo un aumento del 24%. Ma, nonostante la pressione esercitata dal governo e dalla burocrazia che dirige la Federazione Sindacale di Cina, lo sciopero non è rientrato. E soltanto il 4 giugno i lavoratori hanno accettato la nuova proposta dell'azienda: un aumento del 34% che ha elevato la media degli stipendi di 300 dollari. Si stima che la lotta ha prodotto una perdita di produzione pari a 3000 veicoli al giorno.
Questa vittoria ha entusiasmato i lavoratori degli altri stabilimenti Honda. Il 7 giugno, altre due fabbriche sono entrate in lotta, portando nuovamente al blocco della produzione. Dopo tre giorni, la Honda ha annunciato la disponibilità a un accordo.
Il 9 giugno è iniziata una lotta ancora più grande: alla Honda Lock, in Zhongshan, dove lavorano 1700 operai (per oltre metà donne). I lavoratori chiedono aumenti salariali dell'89% e il diritto di costituire un sindacato indipendente dalla Federazione Sindacale. Per questo hanno eletto delegati di base da ogni settore, organizzando poi una Commissione di venti membri incaricata di negoziare con la direzione.
In questa azienda, dove lavorano operai con scarsa qualificazione, il salario è di soli 132 dollari mensili. Al contempo, i ritmi di lavoro sono brutali: i lavoratori sono costretti a stare 8 ore fermi in piedi, possono andare ai bagni solo con l'autorizzazione del capo ed è loro proibito di parlare (una pratica normale in diverse fabbriche). Le donne incinta possono lavorare sedute solo nell'ultimo trimestre della gravidanza.
La direzione ha risposto alla rivendicazione di libertà salariale in modo duro, inviando il 14 giugno dei crumiri a sostituire gli operai in sciopero. Il reclutamento dei crumiri è stato fatto con l'appoggio del governo locale, che è socio della fabbrica. Lo sciopero infine è stato sospeso, sotto la minaccia di licenziamento per coloro che non fossero tornati al lavoro. Ma, con sorpresa dei capo-squadra giapponesi, che hanno salari 50 volte maggiori dei lavoratori cinesi, gli operai hanno minacciato di riprendere lo sciopero se l'aumento concesso (ad ora il 20%) non sarà pari a quanto rivendicato. Al momento, la contrapposizione tra operai e direzione prosegue.
La lotta per la libertà di organizzazione sindacale
I lavoratori della Honda hanno già guadagnato una prima conquista: organizzarsi in forma indipendente dalla Federazione Sindacale, dando vita a una Commissione eletta dalla base.
Dopo il primo sciopero, ci sono stati scontri tra i dirigenti locali del sindacato e gli operai che non volevano più essere rappresentati da un sindacato completamente subordinato al Partito Comunista Cinese, che governa il Paese favorendo la borghesia nazionale (nata dal Pcc) e l'imperialismo, specialmente quello statunitense. Questi operai hanno definito quel sindacato "inutile".
Nell'ultimo sciopero si è avuto un salto di qualità, a partire dalla rivendicazione del riconoscimento di un sindacato indipendente. L'azienda ha risposto affermando che accettare questa richiesta non era nelle sue possibilità e ha consigliato ai lavoratori di rigirarla al governo. Il governo, ovviamente, è contrario a qualsiasi organizzazione operaia che non sia sottoposta al suo controllo.
Nonostante alcuni rappresentanti eletti dai lavoratori siano stati costretti a nascondersi per non essere arrestati, lo sviluppo della mobilitazione nella Honda Lock dimostra che l'organizzazione operaia ha già dato i suoi primi frutti, e l'esempio di queste lotte può ispirarne altre nel movimento operaio cinese.
(*) Pstu, sezione brasiliana Lit-Quarta Internazionale