In risposta al manifesto
“Che fare con il debito e con l’euro?”
Coordinamento europeo della Lit-Quarta Internazionale
Fermare la catastrofe sociale: lottare per un’Europa dei lavoratori e delle masse popolari
È stato da poco reso pubblico il manifesto “Che fare con il debito e con l’euro?”, sostenuto da una serie di economisti della sinistra, fra cui Francisco Louçã, ex deputato del Bloco de Esquerda del Portogallo e membro del Comitato Internazionale‑IV (il vecchio Segretariato Unificato), insieme ai francesi Catherine Samary e Michel Husson o allo spagnolo Daniel Albarracín. Viene presentato da parte della “sinistra alternativa” come la proposta strategica per affrontare la crisi del debito che ha condannato la periferia europea alla catastrofe sociale e liquidato la sua sovranità.
Il manifesto, in realtà, non è altro che una specie di ultima trincea di difesa dell’Unione Europea (UE) e dell’euro, in un momento in cui ampi e crescenti settori di massa ipotizzano la rottura con questi strumenti dell’Europa del capitale e quando quest’esigenza va facendosi strada nella sinistra.
Secondo i firmatari del manifesto, “le alternative sociali e popolari a questa crisi esigono una audace rifondazione dell’Europa”, necessaria per “ricostruire il tessuto industriale, la sostenibilità ecologica e la struttura del lavoro”. Tuttavia – si rammaricano – “dato che questa rifondazione globale sembra fuori della portata, visto l’attuale rapporto di forza, in diversi Paesi si propone l’uscita dall’euro come soluzione immediata”. Ma – così affermano – questo sarebbe un “falso dilemma”: la permanenza nell’UE e nell’euro non deve assolutamente essere messa in discussione. Si tratta invece di formare un “governo di sinistra” che negozi con l’UE la “ristrutturazione del debito” (cioè, continuare a pagare). Per i firmatari del manifesto, una “strategia politica fattibile” è inconcepibile senza adeguarsi alla loro strategia parlamentare nei limiti dell’UE adattandosi alle esigenze delle borghesie periferiche.
Da parte nostra, ci rivolgiamo alle organizzazioni e agli attivisti sindacali, alle piattaforme e ai movimenti dei giovani, a coloro che combattono quotidianamente contro i tagli e per una sanità e un’istruzione pubblica e di qualità, contro le riforme del lavoro e i tagli salariali. Insomma, a coloro che resistono alla catastrofe sociale.
Non c’è altra soluzione se non la mobilitazione massiccia della classe lavoratrice e dei giovani contro chi ci sprofonda nella catastrofe. Una catastrofe che non può essere fermata se non sappiamo contro chi lottare: l’Europa del capitale e la borghesia di ciascuno dei nostri Paesi.
L’Europa del capitale ci ha condotto sempre più alla catastrofe. Non c’è riforma possibile dell’UE, bisogna rompere con essa, prendere il destino nelle mani della classe lavoratrice e aprire il cammino al’Europa unita dei lavoratori e delle masse popolari. Questa è la nostra lotta.
Un esplicito rifiuto di qualsiasi caratterizzazione di classe
I firmatari del manifesto spiegano – come farebbe qualsiasi economista borghese – che la crisi dell’UE è dovuta alla “mancanza di omogeneità” fra i Paesi membri e alla loro diversa “collocazione nell’economia mondiale”. Non si pongono affatto il problema di caratterizzare l’UE come uno strumento dell’imperialismo contro la classe lavoratrice del continente per imporle un arretramento storico, come una macchina per il saccheggio e la sottomissione della periferia a vantaggio del capitale finanziario dei Paesi centrali dell’Europa e degli Usa, I firmatari ci vendono una concezione borghese dell’UE come un apparato istituzionale “neutrale”. Allo stesso modo, l’euro sarebbe uno strumento monetario “neutrale” e non già un’arma al servizio degli imperialismi centrali, specialmente quello tedesco.
Solo a partire da questa “neutralità” dell’UE e dell’euro possono giustificare l’utopia reazionaria della loro “rifondazione”, tentativo – questo – di confondere gli attivisti con l’impossibile prospettiva di trasformare questa terribile arma di guerra sociale e di saccheggio della borghesia imperialista europea in uno strumento “progressista” al servizio delle masse popolari d’Europa.
Un “governo di sinistra”… per continuare a pagare il debito
Il manifesto definisce correttamente la politica dei governi dell’UE di “nazionalizzare i debiti privati convertendoli in debiti sovrani, imponendo l’austerità e politiche di trasferimenti per pagarle”. Siamo indubbiamente di fronte a una delle più grandi espropriazioni della storia del capitalismo, che combina lo smantellamento delle conquiste storiche dei lavoratori con il saccheggio e la devastazione dei Paesi della periferia, i cui governi si sono trasformati in sicari della Troika.
Per affrontare questa catastrofe, il manifesto propone un “governo di sinistra” con una “strategia fattibile”, proposta sintetizzata in “tre rotture con l’euroliberalismo”. Passiamo ad esaminarle.
La prima rottura, pensata “a breve termine e come misura immediata”, consiste nel “trovare mezzi per finanziare il debito pubblico al di fuori dei mercati finanziari”. Questa prima “rottura” (se così possiamo chiamarla) non rappresenterebbe – come riconoscono persino i firmatari – nessun cambiamento per il debito e gli interessi. L’unica cosa che cambierebbe sarebbe il loro finanziamento, “a spese dei mercati finanziari”, attraverso soluzioni alcune delle quali sarebbero “vietate” dalle normative europee. Tutto un contorsionismo, insomma, che può essere riassunto in una frase: mantenere il pagamento del debito.
La “seconda rottura” già non sarebbe a breve termine: “L’alternativa a lungo termine è dunque la seguente: o un’interminabile austerità, oppure una politica di cancellazione del debito e una moratoria immediata del debito pubblico”. A tale moratoria seguirebbe “un audit civico per determinare il debito illegittimo”, ciò che, a sua volta, aprirebbe la strada a “uno scambio di titoli del debito annullandone gran parte secondo necessità”. Questa è una seconda “rottura”. Ci sarebbe, infine, “una terza rottura con l’ordine neoliberale: il controllo dei movimenti internazionali di capitale, il controllo del credito e la socializzazione delle banche”.
Ma è necessario andare al sodo, perché, di queste tre “rotture”, solo la prima è operativa, l’unica che viene definita “a breve termine e come misura immediata”. Le altre puntano già ad una prospettiva lontana. I firmatari adottano una formulazione volutamente confusa per occultare che il loro “governo di sinistra” non include affatto, come “misura immediata”, la sospensione del pagamento del debito e neppure “la socializzazione delle banche”. Questi provvedimenti debbono essere messi da parte perché svierebbero il “governo di sinistra” dal suo unico obiettivo: rinegoziare il debito.
Nella loro operazione di mimetizzazione, i firmatari nascondono l’enorme prezzo che la classe lavoratrice e le masse popolari dovrebbero continuare a pagare per una politica di rinegoziazione del debito nel quadro dell’UE. Al di là del loro falso realismo, la “strategia fattibile” non è altro che la ricerca del “male minore”, una politica per rendere pi digeribili i piani di saccheggio e devastazione della Troika.
Una dimenticanza importante: lo sfruttamento della classe lavoratrice
Tutti sanno che il debito di Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, è impagabile. Non si tratta solo del debito pubblico, quanto dell’indebitamento globale, il cui nodo fondamentale sta nelle imprese e nelle banche e, in particolare, nel debito di queste con le banche tedesche, francesi e nordamericane.
Il capitale finanziario applica due misure combinate per fermare la crisi di indebitamento: l’espropriazione diretta del bilancio pubblico (con lo smantellamento e la privatizzazione dei servizi pubblici e delle pensioni) e l’aumento brutale dello sfruttamento dei lavoratori attraverso l’abbassamento dei salari, l’aumento della giornata di lavoro, i licenziamenti facili, l’abolizione della contrattazione collettiva. Questo processo, brutalmente portato avanti, rappresenta l’asse centrale dei piani del capitalismo, destinati a prolungare il saccheggio a tempo indeterminato.
E nulla sarà più come prima nell’UE. Il debito è uno strumento per ottenere questo cambio strutturale. Per questo, la lotta per la sospensione immediata del pagamento del debito va di pari passo con la battaglia per espropriare le banche, fermare e invertire lo smantellamento dei servizi pubblici, abolire la riforme del lavoro e ripartire il lavoro stesso. Ciò si aspetta la classe lavoratrice da un vero “governo di sinistra”, ma queste misure implicano la rottura con l’UE.
La soluzione alla crisi: rompere con l’UE, applicare un programma anticapitalista d’emergenza, aprire la strada all’Europa dei lavoratori
Il grande obiettivo e principale ragion d’essere del manifesto è evitare che la sinistra ponga la rottura con l’euro e la UE. I firmatari lo giustificano dicendo che l’uscita dall’euro ci porterà nell’abisso: aumento del debito, fallimento del sistema bancario e un’alta inflazione che divorerà salari e pensioni e senza che il Paese guadagni la sovranità. Louçã lo chiarisce ulteriormente – se ce ne fosse bisogno – in Le Monde diplomatique, nell’articolo “Portogallo: governo di sinistra per battere il debito”: “L’uscita dall’euro è la peggiore delle soluzioni e può solo essere imposta per volontà del direttorio europeo. Orbene, si può accettare la peggiore delle soluzioni solo quando non ne esista nel modo più assoluto un’altra, quando siano consumate tutte le alternative, quando lo richieda la sopravvivenza”.
È un’argomentazione che non si allontana di un millimetro da quella dei governi e degli economisti borghesi che agitano lo spauracchio dell’inferno se usciamo dall’euro. È anche il riconoscimento che per i firmatari non c’è altro da fare se non “addolcire” gli orrori della Troika.
Ma così può ragionare solo chi accetta le regole del gioco del capitalismo e rinuncia espressamente alla lotta rivoluzionaria per rovesciarlo. Il suo orizzonte non va oltre il richiamo a “una nuova architettura dell’Europa”: un bilancio europeo più ampio, finanziato da un’imposta comune sul capitale, che sostenga fondi di armonizzazione e investimenti sociali ed ecologicamente utili”.
Invece, la rottura con l’euro e l’UE è assolutamente necessaria. Senza di essa non c’è soluzione alla crisi. Ma da sola non potrà risolvere nulla se non sarà accompagnata dalle misure anticapitaliste di base, necessarie per difendere il Paese dal boicottaggio estero: esproprio delle banche, nazionalizzazione di imprese e settori industriali strategici sotto controllo dei lavoratori, controllo dei movimenti di capitale e monopolio del commercio estero, riorganizzazione dell’economia riaprendo le imprese chiuse e le terre abbandonate, ripartendo il lavoro esistente tra tutti i lavoratori. E, quel che è più importante, organizzare la solidarietà e la lotta unita con i lavoratori e le masse popolari del Sud e di tutta Europa. Perché senza distruggere tutti insieme l’UE e costruire al suo posto un’Europa socialista dei lavoratori e dei popoli nessun Paese da solo potrà salvarsi.
Il vero dilemma
L’UE è la piattaforma degli imperialismi centrali europei, egemonizzata dal capitalismo tedesco e associata all’imperialismo nordamericano, in cui i capitalismi periferici sono condannati a un ruolo miserabile come soci di minoranza e subalterni. Le condizioni della concorrenza internazionale e della divisione sociale del lavoro nell’UE fanno sì che la sopravvivenza del decadente capitale finanziario della periferia e la sua collocazione nel mercato mondiale dipendono dalla sua permanenza nell’UE e nell’euro. Ma il prezzo per questa permanenza è enorme: la soggezione completa del Paese agli ordini della Troika, la disoccupazione massiccia e l’imposizione di un nuovo standard di sfruttamento che non ha nulla da invidiare a quello di un Paese semicoloniale.
Il programma del manifesto non riconosce questa realtà dell’UE perché non è disposto a scontrarsi con la borghesia dei Paesi periferici. Non si definisce grazie alla sua opzione di classe, bensì per eufemismi come programma “realizzabile” e “progressista”.
Non è casuale che il suo grande riferimento sia Syriza che all’occasione ha rinunciato ad utilizzare il magnifico appoggio concesso alle elezioni dai lavoratori greci per fare appello alla mobilitazione e rovesciare il governo fantoccio, non andando un millimetro oltre i limiti istituzionali del regime greco, convertito in una parodia di democrazia e in cinghia di trasmissione della Troika. Rinunciando alla strada della mobilitazione per fermare la catastrofe sociale nei nostri Paesi, il manifesto limita il nostro obiettivo alla conquista di maggioranze parlamentari e perciò propone un programma “realizzabile” che resti nei limiti dell’attuale regime di dominazione.
Il “falso dilemma” con cui i firmatari aprono il manifesto è solo una cortina di fumo per nascondere il vero dilemma: quello che contrappone da un lato i difensori del mantenimento dell’Europa del capitale e, dall’altro, coloro che propugnano la mobilitazione di massa per la sua distruzione e l’edificazione, sulle sue rovine, di un’Europa socialista unita dei lavoratori e delle masse popolari. I firmatari del manifesto hanno già scelto l’UE, applicandole la chirurgia estetica della “rifondazione”.
Mas (Movimento Alternativa Socialista – Portogallo)
Corriente Roja (Spagna)
Pdac (Partito di Alternativa Comunista – Italia)
Coordinamento europeo della Lit‑Qi
(Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale)